Analisi degli studi e delle problematiche

Tutto ciò che è stato detto finora, vista la natura della materia, vista la multidisciplinarietà dell’argomento, data la chiara e variegata pluralità degli interessi in gioco, ha portato e, tuttora porta, ad un dibattito che è vivo, dinamico e in perenne evoluzione. Da un punto di vista generale, comunque, i ricercatori sono sostanzialmente divisi su due fronti: coloro che credono che le radiazioni emesse dai dispositivi cellulari, e relative infrastrutture, possono realmente causare rischi per la salute, e quelli che invece lo negano.

Ad arricchire e a rendere ancor più poliedrico il quadro di chi studia ed analizza questo argomento si aggiunge anche l’EWG (Environemental Working Group) [29], un'organizzazione no profit la quale ha comunicato alcuni ulteriori dati utili alla discussione: il profilo delle emissioni di radiazione di più di 1200 modelli di cellulari. I dati forniscono informazioni reali ed oggettive ai consumatori per aiutarli nelle loro scelte di acquisto, benché non abbiano la pretesa di voler risultare conclusivi da soli. L’indubbia utilità è quella di dar modo, in termini di danni arrecati o potenziali tali (rischi biologici), di scegliere un dispositivo che irradia meno di un altro, per quanto la scelta meramente comparativa non sembri una garanzia assoluta. Questo anche perché la posizione dell’EWG è piuttosto critica nei confronti degli standard americani, giudicati talvolta superficiali, inadeguati e noncuranti di taluni aspetti, tra cui l'impatto che le radiazioni elettromagnetiche hanno sui bambini.

Il gruppo si è anche occupato di consultare una serie di studi recenti e di documenti sulla materia, rilevando l’inadeguatezza del periodo di studio come misura rivelatrice del tasso di rischio biologico. Henry Lai, docente di bioingegneria presso l'Università di Washington, in merito ha sostenuto che i dati attualmente disponibili indicherebbero la legittimità delle preoccupazioni in merito, anche perché nessun altro dispositivo rende il corpo umano così esposto. Lai ha sollevato dubbi circa:

    - la legittimità del limite indicato dalla FCC, pari a 1.6 W/kg, notando che è solo di poco inferiore a quello che ha dimostrato di causare l'insorgere di effetti negativi sugli animali (4 W/kg);
    - la validità del supporre che la testa, e conseguentemente il cervello, possano essere, per legge, esposti al pari del resto del corpo, essendo le regioni più sensibili;
    - l’inspiegabile noncuranza della differenza tra soggetti adulti e bambini.

Per coadiuvare gli sforzi della comunità scientifica tutta, alcuni studiosi si sono occupati di definire quei canoni che rientrano nella dottrina della dosimetria. La dosimetria è quella branca della fisica che si occupa di calcolare la quota parte di radiazione assorbita dalla materia quando è sottoposta ad essa. Lo studio viene riferito, a seconda dell’ambito di interesse, sia al caso di radiazioni ionizzanti, sia a quello di radiazioni non ionizzanti.

Proponiamo un esempio dosimetrico per quantificare l'aumento di temperatura provocato in un soggetto esposto ad un campo elettromagnetico. Viene scelta una densità di potenza incidente pari a 10 mW/cm2 (non a caso, visto che fu questo il livello di densità di potenza scelto dalla normative USA nel '72 come valore massimo), che alle RF e MW, all'incirca, per metà è riflessa e per metà assorbita. Se si considera una superficie corporea pari a 1.8 m2, con il soggetto esposto per 24 h si ha che l’energia assorbita sarà pari a:
ℇ = 100 W/m2*1.8m2*0.5*24h = 2160cal

che determinerebbe una sopraelevazione di temperatura di circa 1°C, qualora nel soggetto non dovesse intervenire il sistema termoregolatore e non scambiasse calore con l'ambiente circostante. In queste condizioni, l’aumento di temperatura sarebbe decisamente non trascurabile.

Allo scopo di determinare quale sia l’umana resistenza al calore, è stata condotta, nel corso del tempo, una serie di studi. Lo scopo di questa indagine è stato quello di appurare quale potesse essere il reale aumento di temperatura provocato dall'esposizione ad un campo elettromagnetico.

A tale scopo, sono stati sottoposti degli individui a un set di temperature esterne differenti (misurata con tasso di umidità del 50%) per un intervallo di osservazione lungo. I risultati sono evidenziati in Tabella 4.4.

Vari studi sono stati condotti per valutare equivalenze tra il calore prodotto per sforzo fisico e quello provocato dall'esposizione a radiazioni. Stolwijk calcolò l'aumento di temperatura su un soggetto con il solo torace esposto a un campo di potenza pari a 500 W, alla temperatura di 30 °C e con un tasso di umidità del 50%. Il risultato ottenuto fu un aumento di 1.5 °C e pari a quello di un uomo che corre in bicicletta con una velocità dei pedali di 50 giri al minuto. L’aumento di temperatura stimato nel caso di soggetto posto in acqua alle medesime condizioni era di 4°C.

Negli esperimenti precedenti si è supposto che il soggetto fosse di sesso maschile, sano, in condizioni di riposo assoluto e nudo. L’ultima ipotesi riveste un ruolo piuttosto centrale perché l'abbigliamento ostacola il flusso di calore dalla pelle verso l'ambiente.

Effetti sull'infertilità e sul feto

Per ciò che attiene alla sfera della fertilità e alla funzione riproduttiva, le radiazioni possono influenzare i seguenti fenomeni: il processo di meiosi, la fecondazione e l’impianto. L’alto tasso di divisione cellulare e differenziazione che si verificano durante lo sviluppo fetale risultano più sensibili e suscettibili rispetto a tessuti afferenti all’organismo di un adulto. Questa differenziazione, nel caso dell’essere umano, viene meno intorno al secondo anno di vita.

Uno studio, il cui scopo è stato di valutare gli effetti dell'esposizione acuta a un'onda sinusoidale già a partire da una frequenza pari a 50 Hz sulla funzionalità degli spermatozoi, si è svolto mediante esposizione del campione con la modalità "in vitro". A seguito delle quattro ore di esposizione previste, infatti, sono state valutate la morfologia e i parametri funzionali. Già dopo un'ora di esposizione, il campione dimostra una diminuita motilità. Superate le due ore di esposizione, e da qui fino alle quattro, sono stati rilevati segni di danno morfologico alla membrana plasmatica.

Lo studio più specificatamente di nostro interesse viene condotto a partire dalle frequenze che hanno un ordine di grandezza dell’ordine dei kHz, ovvero più basso rispetto a quello che ci riguarda per poi arrivare a quelle proprie del GSM.
Una ricerca condotta su embrioni di pulcini non ha dimostrato alcuna connessione tra gli stimoli elettromagnetici impulsivi ed eventuali malformazioni. Per più di una settimana, infatti, gli embrioni sono stati irradiati ed esaminati ma il campione ha dato esito negativo.

Altri due studi, invece, condotti, questa volta, sui ratti, hanno dimostrato che alle stesse frequenze del caso precedente vi era un numero crescente di feti malformati. I risultati sono stati poi riesaminati, considerando come campione di riferimento l’intera cucciolata. In questo caso il campione ha dato esito negativo perché l’incremento del numero di feti malformati è stato pressoché insignificante. Solo in questo secondo caso si è potuto concludere, grazie alla legge economica dei grandi numeri, che il campione è risultato negativo.

Se riferiamo lo studio, ora, più specificatamente alle frequenze di nostro interesse, cioè tra 850 MHz e 1.9 GHz, è possibile notare che l’aumento di temperatura causato da campi a Radio Frequenza è piuttosto influente sui campioni di riferimento, in particolare sullo sviluppo fetale dei mammiferi. Lo stress termico, inoltre, è sempre meno trascurabile man mano che la frequenza sale.

Un’aggravante in questo quadro inerente ai mammiferi è che non solo lo sviluppo può subire modificazioni o interferenze come effetto delle radiazioni, ma anche la funzione spermatogenica può essere criticamente influenzata dall’innalzamento della temperatura testicolare dovuto all’assorbimento specifico causato dall’esposizione alle radiazioni elettromagnetiche.

Alcuni studi in merito, condotti su animali anestetizzati ed esposti a radiazioni a Radio Frequenze, hanno dimostrato che la fertilità maschile è stata influenzata negativamente dall’esposizione. Questo risultato è comunque ed è da mettere, anche, in relazione al fatto che la presenza di sostanze narcotizzanti ha influito negativamente sulla capacità autonoma del corpo di regolare globalmente la temperatura corporea. Per limitare l’influenza di questo parametro, gli stessi animali, questa volta svegli, sono stati sottoposti nuovamente ad esposizione. Questa volta l’incidenza sulla funzionalità testicolare è stata più bassa, eccetto che dopo prolungate esposizioni a livelli significativi di temperatura e con un livello di SAR costante e costantemente pari a circa 6 W/kg. Nei ratti maschi, in queste condizioni, si è riscontrata una leggera diminuzione della fertilità rispetto a quelle cavie che non erano state esposte a trattamento.

Al crescere della frequenza di radiazione (da 2.45 a 10 GHz) e per alta densità di potenza di esposizione dell’area scrotale del campione (> 500 W/m2), si è verificata, nel campione composto da conigli e ratti, l’insorgenza di gravi danni testicolari come:

    - edema (dal greco “οίδημα”, ovvero gonfiore)
    - ingrandimento del testis
    - atrofia
    - fibrosi, coagulo e necrosi (in greco “Νεκρός” ovvero morto, e quindi morte dei tessuti) dei tubuli seminiferi.

L’esposizione di coppie di ratti e topi (entrambi mammiferi afferenti al genere Mus ma di dimensioni leggermente diverse; i ratti sono, in genere, più grandi) ad una densità di potenza pari a 80 W/m2 e ad una frequenza pari a 3GHz non ha dimostrato di comportare effetti negativi.

In generale, è possibile affermare che la comunità scientifica è unanime nel considerare l’esposizione ad alte densità di potenza dannose per le gonadi (ovaie e testicoli). Ci sono, inoltre, studi in materia che testimoniano come anche bassi livelli cronici di esposizione possono portare a danneggiamento della funzionalità riproduttiva e della spermatogenesi pur in assenza di un misurabile, e quindi apprezzabile, innalzamento della temperatura.

Per quanto attiene, inoltre, agli sviluppi teratogeni, ovvero a quegli sviluppi che dimostrano di trasmettersi direttamente da madre a feto, diversi sono stati gli esperimenti che hanno dimostrato un’incidenza marcatamente negativa dell’esposizione ad alti livelli di Radio Frequenze. Esperimenti su ratti e topi esposti ad alti livelli di radiazioni hanno ottenuto risultati tra i più disparati. Tra gli altri, uno studio condotto da O’ Connor concluse che tra gli effetti vi erano perdita di peso del feto, incremento della temperatura materna e delle encefalopatie (letteralmente, malattie del cervello) e ancora, anomalie specifiche e aumento del tasso di mortalità fetale.
Concordi a questi risultati sono quelli che collegano direttamente i cambiamenti istologici e fisiopatologici nei feti e nei cuccioli sottopeso con l’incidenza sulla mortalità prenatale, con l’occorrere di grosse malformazioni e con l’alterazione del comportamento dei neonati. Tra i soggetti analizzati nel tempo vi sono anche pulcini, insetti e roditori.

L’ipertermia è una causa certificata di danneggiamenti non solo morfologici ma funzionali e strutturali dei tessuti. Diversi sono gli studi, ormai consolidati, che asseriscono che, per valori di frequenza compresi tra gli 0.8 e i 2.45 GHz sono osservati effetti che vanno dall’anormalità delle cellule germinali alla distruzione delle stesse arrivando, in taluni casi, al danneggiamento del tessuto scrotale o alla degenerazione testicolare.

L'effetto sull'esposizione degli animali e del neuroblastoma umano

L’esposizione a campi elettromagnetici, a seguito degli ultimi studi in materia, si è rivelata causa di fenomeni di rottura del DNA cellulare nelle terminazioni nervose dei ratti. Altre evidenze hanno verificato l’induzione di mutazioni del DNA, la possibilità di indurre una crescita dei radicali liberi (molecole o atomi particolarmente reattivi perché contengono almeno un elettrone spaiato nel suo orbitale più esterno) e degli ossidanti cellulari, nonché di ridurre la melatonina (ormone prodotto dalla ghiandola pineale che ha la funzione di regolare il ciclo veglia-sonno), con effetto diretto su DNA cellulare. I risultati hanno portato alla luce alcune evidenze, a fronte delle 96 ore di esposizione continuata su cavie sveglie e libere, di modificazione dei livelli di glutammato e arginina, aumentate in maniera dose-dipendente, e serotonina, noradrenalina e acetilcolina, diminuite a seguito dell’esposizione. Altri effetti osservati sono inerenti all’ambito comportamentale; è stata osservata, infatti, una diminuzione dell’attività locomotoria.

Visto, inoltre, che le microonde possono, altresì, interferire su meccanismi quali la proliferazione cellulare e la differenziazione, nonché inibire o alterare meccanismi ormonali e immunitari di controllo antitumorale, uno studio si è occupato di verificare le potenzialità dannose di questi stimoli sulla funzionalità cellulare.

Il modello cellulare adottato e le condizioni di sperimentazione hanno evidenziato che una seppur breve esposizione a microonde alla frequenza di 900 MHz e potenza pari ad 1 W/kg, è responsabile di un incremento della proliferazione cellulare di neuroblastoma (tumore maligno embrionario) umano. La conclusione sembra, quindi, essere la verifica e la validazione dell’ipotesi dell’esistenza di un rapporto di causalità tra l’applicazione dello stimolo in questione, l’accoppiamento di quegli eventi responsabili della trasduzione intracellulare dello stesso e della trascrizione genica e l’effetto biologico ad esso riconducibile a seguito dell’alterazione dell’espressione genica.

L'indice completo degli articoli relativi alla tesi di laurea sulla interazioni e sugli effetti delle radiazioni sul corpo umano, è disponibile qui

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