Ma quali nerd: la programmazione software un tempo era “roba da donne”

Un luogo comune abbastanza diffuso vede elettronica e informatica come territori di studio prettamente maschili (l’icona tipica del nerd è quella dell’occhialuto secchione un po’ sfigato) e vuole le donne poco avvezze alla tecnologia. E in effetti i numeri oggi (sia in termini di iscrizioni alle facoltà scientifiche che occupazionali nel campo It) confermano in linea di massima questa opinione diffusa. Ma è sempre stato così? Vi stupirà sapere che in origine la programmazione era considerata una materia per donne, come il cucito e la cucina per intenderci! Per dimostrarlo facciamo un passo indietro.

Le donne programmatrici

Lo storico Nathan Ensmenger ha infatti spiegato che negli anni ’60 la programmazione era vista come uno sbocco professionale naturale per giovani e intraprendenti donne. Tanto che, in un articolo del tempo intitolato “The Computer Girls”, il famoso magazine femminile Cosmopolitan, invitava le donne a considerare questa carriera in un settore che offriva maggiori possibilità alle donne che agli uomini. Come ha spiegato lo scienziato Grace Hopper “programmare un pc era proprio come programmare una cena: occorre pianificare in anticipo e schedulare ogni cosa in modo che sia pronta al momento giusto”. Per questo motivo le donne sarebbero naturalmente predisposte alla programmazione. E dello stesso parere è anche James Adams dell’Associazione for Computing Machinery: “non conosco un altro settore, a parte l’insegnamento, che offra così tanto spazio alle donne”. Negli anni ’40 l’Università di Pennsylvania assunse sei donne per lavorare con i macchinari ENIAC, tra i primi prototipi storici del computer. Le “ENIAC girls” erano addette alla programmazione.

 

Questo non deve far pensare in maniera scontata ad una particolare e anacronistica apertura mentale dei manager di ENIAC nei confronti delle pari opportunità tra i sessi. L’assunzione di queste donne va letta dalla prospettiva diametralmente opposta: era la programmazione ad essere considerata un’attività di serie b, che non richiedeva particolari competenze. Il vero lavoro cerebrale relativo al computing era quello hardware, riservato agli uomini. Ovviamente c’è anche un ragione storica alla base di questa assunzione: molti uomini infatti erano partiti per la guerra e quindi il mercato del lavoro dovette inevitabilmente attingere alle risorse femminili. L’idea che lo sviluppo software fosse meno mascolino e importante di quello hardware andò avanti per diversi anni. Ma già negli anni Sessanta le cose erano cambiate e preannunciavano alla situazione odierna.

Quando la programmazione divenne roba da uomini

Eppure già nel momento in cui fu scritto l’articolo di Cosmopolitan (1967) qualcosa nell’aria stava cambiando. Ci si rese conto di quella che per noi è una verità assodata, ovvero che la programmazione è una materia difficile. E allora venne il momento di trainare uomini per queste competenze. I test selettivi, basati soprattutto sulla risoluzione di quesiti matematici favorirono sempre più gli uomini poiché le donne non avevano spesso la possibilità di prendere lezioni di matematica a scuola. Ma, a voler essere più maliziose, è anche possibile che gli uomini si siano resi conto che si trattava di professioni remunerative. Un fenomeno simile si riscontra anche in altre scienze. Prendiamo ad esempio la biologia: nell’800 essa era sostanzialmente limitata alla catalogazione di animali e piante e spesso era competenza delle donne. La scoperta del DNA aprì le porte alla biologia molecolare e l’uomo si riappropriò di questo settore.

La programmazione oggi

Ancora oggi persiste uno stereotipo che vede la programmazione come una materia prettamente maschile, così come del resto informatica e tecnologia in generale. Eppure il fatto che una volta ad occuparsene erano prevalentemente donne serve non solo a riconoscere al genere femminile il merito per i contributi passati ma anche e soprattutto a ipotizzare una nuova futura inversione di tendenza. Certo non possiamo pensare di svegliarci una mattina in cui improvvisamente le donne giocano a calcio e sperimentano in settori tecnologici o meccanici e gli uomini ricamano e fanno shopping. Ma il fatto che, mai come nell’era attuale, le differenze tra i sessi tendono a sbiadire, si potrebbe pensare di aprire le porte dell’informatica alle donne. Non si può negare che il cervello femminile e quello maschile siano impostati in maniera diversa ma ovviamente questo non significa che le donne non siano o non possano essere portate per l’IT. Del resto la tecnologia moderna tende ad accentuare la marginalizzazione delle donne proponendo un linguaggio prettamente maschile, come evidenziano alcuni studi sociologici. La studiosa Sherry Turkle (1999) ha evidenziato un collegamento tra la terminologia informatica e quella militare: comandi come “kill”, “abort” o “execute” trasmettono aggressività e sono tra le cause che allontano le donne da questo settore. Con questo non vogliamo dire che l’informatica debba vestire in rosa: a poco serve fare pc pink o accessori tecnologici per donne.

L’apertura a questo settore va fatta alla base e sicuramente non è un processo immediato. Oggi una donna iscritta ad ingegneria, per quanto capace, continuerà a sentirsi in minoranza perché così vuole la legge dei grandi numeri. Il quesito con cui vi lascio è: esistono davvero campi in cui la natura crea delle distinzioni o è piuttosto la società ad imporle?

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2 Commenti

  1. Avatar photo Piero Boccadoro 28 Giugno 2012
  2. Avatar photo MilanistaDoc 4 Luglio 2012

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