Psicologia della guerra

La rivista PEACE REVIEW dell'Università di San Francisco ha diramato un invito a scrivere un breve saggio sulla psicologia della guerra ["of Warmaking"]. L'ho scritto e l'ho mandato stamattina. L'argomento è importante - vitale, e ignorato da pensatori, autori, politici, sedicenti leader spirituali. Questo è il mio testo in italiano tradotto in italiano - non è sicuro che la rivista lo pubblichi. Riflettete e, se avete energia, parlatene e fate qualcosa. Siamo pochi a ricordare gli argomenti vitali di cui non si parla "in polite society".

Perché analizzare la psicologia della guerra? Perché capirne i meccanismi ci suggerisce misure mirate a evitare le sofferenze e la distruzione di risorse causate dalla guerra. È impossibile prevenire ogni possibile conflitto locale – come è impensabile prevenire ogni delitto. Il problema vitale è la prevenzione di grandi guerre totali. Nel 1932 il problema fu discusso in uno scambio di lettere fra Albert Einstein e Sigmund Freud, che fu pubblicato in un volumetto (“Perché la guerra?”) che ebbe scarsa diffusione. I due autori trovarono un accordo su due punti principali, che trattarono molto superficialmente.
Il primo era il concetto che gli esseri umani sono soggetti all’istinto di conservare e unificare – di amare e anche all’istinto di odiare e distruggere. Ciascun istinto è indispensabile quanto lo è il suo opposto. I fenomeni della vita vanno considerati come derivanti dalla loro interazione.
Il secondo punto era che l’impulso verso la guerra potesse essere frenato solo formando una classe superiore di pensatori indipendenti di alta moralità e capaci di illuminare e guidare sia gli intellettuali, sia le masse ispirate, quindi, a seguire i dettami della ragione – una speranza utopica secondo i due autori.
Discuterò queste ingenue opinioni in base a prove storiche e ad argomenti teorici nelle conclusioni propositive di questo scritto.
Ovviamente nel 21° secolo LA guerra totale sarebbe un conflitto termonucleare capace di produrre l’Olocausto. Accettiamo, allora, l’imperativo categorico di evitare questa guerra totale. Ricordiamo che la Carta di Londra dell’8 Agosto 1945, firmata dai plenipotenziari dei governi di Francia, Inghilterra, USA e URSS, stabilì il principio che “La sola preparazione della guerra totale costituisce un reato internazionale contro la pace e l’umanità”. Era un intento sensato e meritevole, ma in quasi 7 decenni non è stato fatto nessun tentativo di applicare questo principio – sebbene le 4 nazioni che originariamente lo avevano affermato abbiano preparato guerre totali enormemente più distruttive di quelle combattute fino al 1945.
Storicamente le grandi guerre furono scatenate da autocrati e anche da governi democratici – appoggiati dal popolo. Spesso il pubblico veniva indotto all’interventismo per mezzo di campagne che evocavano passioni viscerali mascherate falsamente come motivazioni razionali, nazionalistiche o etiche. Durante la guerra fredda l’equilibrio del terrore era accettato da milioni di persone. L’impensabile olocausto nucleare globale veniva pensato come normale. Se ne proponeva una giustificazione razionalizzando la minaccia di una esiziale guerra nucleare come se fosse un fattore frenante – un deterrente atto a garantire la pace.
Gli Accordi SALT per la Limitazione delle Armi Strategiche ci misero decenni per fare passi in direzione della eliminazione totale delle armi nucleari. Al colmo della guerra fredda il potenziale distruttivo contenuto in tutti gli arsenali nucleari del mondo era stimato equivalente a 4,5 tonnellate di alto esplosivo per ogni essere umano sulla terra. Dopo il disarmo parziale raggiunto in parecchi anni di negoziati, quel potenziale è oggi di solo 700 kilogrammi di alto esplosivo per ciascuno di noi.
Oggi NATO e Patto di Varsavia non si fronteggiano più. I Paesi che possiedono armi nucleari sono molti e cresce la probabilità che esse siano presenti negli arsenali degli “stati canaglia”. Questo termine (“crazy states”) fu coniato dal Prof. Y. Dror per definire governi che siano molto aggressivi, inclini a correre rischi, scegliere mezzi sproporzionati rispetto ai fini e preferire stili basati su riti e dogmi curiosi. Esempi: i Crociati, gli anarchici violenti, i nazisti e, recentemente, Iran e Al Qaeda. La psicologia degli stati canaglia è ardua da analizzare. Per definizione, sono imprevedibili.
I sistemi che integrano radar e satelliti per rivelare attacchi nemici e per mirare e controllare in tempo reale le traiettorie di vettori nucleari sono molto sofisticati. La loro complessità è simile a quella dei sistemi che controllano le centrali elettronucleari. Queste hanno provocato gravi disastri (Chernobyl, Fukushima). Le cause dipendevano da grave incompetenza nel progetto, nella realizzazione e nella gestione, cui non si era ovviato sebbene quelle situazioni fossero note e soggette a eventuali critiche costruttive di esperti. Invece progetto, strutture, prescrizioni, sicurezze, relative ai sistemi di armi nucleari, sono segreti. Gli esperti esterni non possono suggerire miglioramenti, né cautele verso rischi ancora occulti. La conseguenza di un guasto potrebbe essere una prima esplosione termonucleare, seguita da altre per rappresaglia verso l’attacco ritenuto volontario. Per convincere la nazione colpita che l’attacco non era deliberato, l’attaccante potrebbe, forse, infliggere un attacco identico a una delle proprie grandi città. Questo dramma fu rappresentato vividamente in un noto romanzo e nel film che ne fu tratto (Failsafe . “A prova di errore”).
La situazione è resa più critica perché la complessità del sistema non è trasparente. È nascosta nel software di controllo e dei sistemi telematici e in vari casi non è ovvia nei dettagli nemmeno agli esperti. Un problema critico nel delegare decisioni a computer è quello di integrare il funzionamento del software con le decisioni di operatori umani. I sistemi esperti servono a poco se vengono usati da incompetenti. Un obiettivo vitale è quello di rendere trasparente il software di controllo in modo che operatori addestrati possano monitorare i processi e, quando necessario, esautorare il software (come possono fare i piloti di aereo sostituendosi al pilota automatico).
Il pericolo più imminente, dunque, è che una guerra nucleare sia scatenata a causa del malfunzionamento di un sistema di controllo computerizzato o a causa di una decisione umana di lanciare per rappresaglia missili intercontinentali, dopo aver concluso in base a segnali radar erronei che è imminente l’impatto di missili nemici. Nel 1983 i radar del bunker Serpuchov15 vicino a Mosca rilevarono 5 missili americani in volo verso la Russia. Il comandante colonnello S. Y. Petrov delle Forze di Difesa Aerea Sovietiche, identificò l’evento come un falso allarme e non lanciò contro gli Stati Uniti un attacco nucleare di rappresaglia che avrebbe potuto scatenare la terza guerra mondiale.
Probabilmente, dunque, la guerra non sarebbe deliberata da politici, né decisa da militari. Sarebbe irrilevante analizzare la psicologia di quei decisori, dato che un attacco nucleare unilaterale sarebbe probabilmente dovuto a guasti dei sistemi di controllo oppure alla folle azione estemporanea e improvvisa di stati canaglia o di gruppi di rivoluzionari o jihadisti.
Il solo modo per evitare una guerra nucleare è quello di neutralizzare tutte le armi nucleari.
Più che della psicologia della guerra, dovremmo studiare la psicologia delle popolazioni assenteiste che non vedono la eliminazione di tutte le armi nucleari come la sola salvezza dalla guerra totale. Non possiamo attenderci che la diplomazia internazionale raggiunga questo obiettivo: il progresso in questa direzione è stato troppo lento. Non possiamo attenderci che un tiranno benevolo decreti la eliminazione delle bombe A e H. Dobbiamo riportare la questione del disarmo nucleare nei programmi dei nostri Paesi e degli enti sopranazionali (ONU, Consiglio di Sicurezza dell’ONU, FAO, ILO, OCSE, Corte Internazionale di Giustizia, UNDP, UNEP, UNESCO). Queste organizzazioni dovranno essere spinte dal pubblico attraverso tutti i canali dai mezzi di comunicazione di massa alle università, dal WWW a gruppi locali, dalle strutture politiche alle organizzazioni non governative. Devono essere sfidati i capi spirituali di religioni organizzate e di movimenti informali. Se continuano a ignorare questo rischio esiziale, siano sfiduciati e considerati irrilevanti.
La guerra non può essere eliminata da una (benevola?) forza bruta superiore. Può essere bloccata dalla forza della cultura. Questa asserzione è dimostrata dall’evidenza storica.
Negli anni Trenta governi militaristi e nazionalisti erano pronti a scatenare la guerra e lo fecero a sangue freddo. La cultura di quel tempo non era uniforme. Includeva democrazia proveniente dal parlamentarismo britannico, da principi Jeffersoniani, dalla Rivoluzione Francese. Includeva anche dittature nazi-fasciste e bolsceviche che negavano le libertà fondamentali ed esercitavano violenze estreme. Anche oggi ci sono dittatori e stati canaglia, ma non ci sono grandi potenze che attribuiscano alla guerra valori mistici superiori.
Nel 2012 all’Unione Europea e alla Commissione Europea fu dato il Premio Nobel per la Pace con la motivazione: “per oltre sei decenni hanno contribuito all’avanzamento della pace, della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa”.
Il Prof H Menudier della Nouvelle Sorbonne tenne un discorso all’OCSE a Vienna per celebrare quel Nobel il 18 Dicembre 2012. Disse che dal 1870 al 1945 in 75 anni la Francia e la Germania avevano combattuto tre guerre fratricide con disastrose conseguenze materiali, umane e morali – mentre oggi la sola ipotesi di una guerra franco-tedesca ci sembra del tutto assurda.
La pace europea deriva dalla cultura europea. È vero che alcuni politici estremisti e violenti hanno ancora seguaci in Francia, Grecia, Ungheria. Però le tirate isteriche e aggressive nello stile di Hitler o Mussolini non incontrerebbero il favore di vasti pubblici.
Oggi, nel 21° secolo, la pace non è certo globale. Gli europei sono intervenuti, hanno combattuto e sono morti in Irak, Afghanistan, Libia, Mali. Sono scoppiate guerre locali in Asia e in Africa. Dobbiamo ancora temere che si estendano. Quindi dobbiamo studiare, pianificare e agire per identificare una psicologia applicata a prevenire la guerra. Questa non sarebbe efficace, se si limitasse a disseminare esortazioni a fare il bene. Il messaggio FATE L’AMORE – NON LA GUERRA non ha avuto successo adeguato. Il simbolo seguente:

viene interpretato dai più come “una cosa per la pace”, mentre sta per “DN” = Disarmo Nucleare - è la sovrapposizione dei caratteri per D e per N nell’alfabeto a bandierine dei semaforisti. La cultura anti-armi nucleari deve essere disseminata spiegando il significato dei simboli, i meccanismi causa-effetto della minaccia – l’unica soluzione: il Disarmo Nucleare. Questi fattori essenziali devono essere integrati per capire e modificae la psicologia dell’assenteismo.
Certo che la cultura deve continuare a essere migliorata e rinnovata come fattore di crescita umana, progresso scientifico, ricerca e sviluppo. In senso specifico dovrebbe essere orientata verso il Disarmo Nucleare – un movimento mondiale da resuscitare sulla scia di grandi pensatori come Linus Pauling e Bertrand Russell.
L’obiettivo è quello di innalzare i livelli culturali in modo che intere popolazioni capiscano i numeri e le probabilità che ci confrontano – il fatto che il rischio è l’estinzione, non solo vita dura e decimazione. Per capire davvero questa imminente tragedia, il pubblico deve imparare a prevedere eventi futuri, a identificare pericoli reali e a calcolarne le conseguenze. Il fatto che l’equivalente di 700 kilogrammi di alto esplosivo per ogni essere umano, contenuti negli arsenali nucleari, potrebbe distruggere la maggior parte del mondo dovrenìbbe motivarci ad accettare e disseminare un nuovo manifesto BAN THE BOMB (NO ALLA BOMBA). Non dobbiamo limitarci a diffondere un testo edificante che contenga una sola idea.
Il manifesto deve essere un appello a progettare e realizzare una grande iniziativa internazionale che coinvolga molti sponsor pubblici e private, università, aziende, comunicatori, operatori Web, enti, agenzie e mezzi di comunicazione di massa.
La guerra hitech è una minaccia molto più grave della guerra convenzionale. Quindi il movimento dovrà promuovere la diffusione di un innalzamento del livello tecnologico del pubblico. Oggi l’alta tecnologia corre il rischio di essere strangolata dalla mancanza di cultura. I personal computer potenti e velocissimi costano sempre meno, ma (a parte contesti professionali) vengono usati principalmente per videogiochi, riprodurre immagini inessenziali, ascoltare musica, vedere film e chattare. Dovrebbero essere usati, invece, a fini significativi: acquisire, elaborare e creare conoscenza. Se il pubblico capirà meglio il mondo, si convincerà che conviene evitare la guerra.
Stanno crescendo i numeri e la complessità delle scelte tecnologiche che devono messere fatte da governi, enti internazionali e imprese. Esse hanno forti impatti sulle risorse, la salute e la stabilità della società e anche su drammatici problemi internazionali. Fra questi: povertà, ingiustizie, violenza esercitata per assicurarsi risorse, migrazioni verso Nord e Occidente. Molti paesi che non sono nemmeno sulla via dello sviluppo, hanno vaste risorse naturali (minerali, energia, terre coltivabili) che non sono sfruttate per mancanza di cultura e di investimenti. Non servono misure di emergenza a breve termine, ma grandi interventi internazionali mirati a pacificarli e stabilizzarli e, quindi, a soluzioni tecnologiche avanzate. Gli impatti socio-economici della tecnologia sono positivi, se è permeata di cultura e se la cultura è disseminata e offerta come un’opzione realistica. Questi risultati attenuerebbero anche le tensioni internazionali generate dall’aspirazione dei paesi sfavoriti ad assicurarsi una più equa distribuzione di risorse. Innalzare i livelli culturali è la ricetta per evitare non solo una mortale guerra totale, ma anche disuguaglianze inumane e penosi conflitti locali.

* * *

Risorse, strumenti, pietre miliari
Il WorldWide Web offre banche dati, pacchetti di software, sofisticati servizi finanziari e bancari, testi significativi, informazioni su sistemi moderni di controllo e decisione – ma la maggioranza della gente (spesso inclusi manager, pianificatori, decisori) non ne sanno abbastanza per utilizzare al meglio queste risorse. In effetti spesso non sono nemmeno in grado di distinguere informazioni e servizi di alta qualità da proposte illusorie o fuorvianti di cui la rete è piena. Finiscono così ad accontentarsi di materiale irrilevante o volatile.
È necessario creare alleanze e task force che arruolino cultura, accademia, parlamenti, aziende di ogni dimensione perché usino i media per offrire al pubblico strumenti per un continuo miglioramento culturale. Questo farà crescere non solo domanda e profitti per industrie hitech, ma anche il valore aggiunto dalle attività umane a ogni altra risorsa. La prosperità cresce nelle società in cui la ricerca di conoscenza è un valore accettato – e finanziato.
Questa impresa userà tutti i media: giornali, TV, radio, riviste, editoria elettronica. Lo stesso concetto di intrattenimento dovrà essere ridefinito. I nuovi contenuti non saranno volatili, ma edificanti.
L’arte di comunicare sarà al servizio della cultura. La disseminazione di cultura è compito di basse delle scuole, ma le loro funzioni devono essere integrate per stimolare l’emulazione. Le scuole sono lente a innovare. Occorre far partire nuove imprese culturali fuori dalle scuole. Nessuna azienda, nemmeno le maggiori, ha tante risorse da poter finanziare un programma così vasto. Si dovrà creare un consorzio internazionale di aziende (editori, produttori di tecnologia dell’informazione e della comunicazione, società di ingegneria, pubblicitari, esperti) – tutti uniti pedr promuovere una rivoluzione culturale. La cultura non può essere surrogata da spot televisivi, slogan e s e banalità.
Gli obiettivi seguenti dovranno essere pubblicizzati da persone sagge, autorevoli, visibili che torcano i polsi a politici, imprenditori, editori. La loro non partecipazione dovrà essere considerata uno scandalo.
Un programma dettagliato, preparato con l’aiuto di un numero adeguato di esperti, dovrà essere preparato e presentato a sponsor – un’impresa impegnativa.

Indottrinamento alla cooperazione
L’impresa di innalzamento culturale ha bisogno di un vastio appoggio popolare per avere sucesso. Vanno indottrinati: accademici, insegnanti, manager delle risorse umane, parlamentari, editori, giornalisti, attori. Vanno proposti esempi di pensiero razionale positivo e condannate le iniziative vaghe e astratte,
Dalla preistoria la psicologia della maggioranza è stata coartata a credere che sul lungo termine traiamo profitto dall’egoismo e dall’avidità. In tempi abbastanza recenti la teoria matematica della cooperazione ha mostrato che è vero il contrario. La cooperazione è più vantaggiosa dell’egoismo. Certo le prove logiche e il pensiero razionale sono spesso rifiutati: la gente si fida di più della pretesa saggezza convenzionale e degli impulsi viscerali. La teoria della coppe razione deve essere insegnata nelle scuole di ogni livello.
Saranno usati ovvii passaparola e ci vorranno esperti di pubblicità che si riorientino dai loro approcci tradizionali (sacrificare gusto e rigore per essere più popolari, basare i messaggi su slogan e icone) verso caratteristiche più intellettuali. Le loro abilità mireranno alla diffusione virale dell’equazione: “miglioramento culturale = salvezza”. Non abbiamo linee guida per questo percorso: dovremo procedere per tentativi-

Massime da scolpire nella coscienza collettiva
I migliori fabbri di parole dovranno produrre memi atti a incidersi nelle menti umane. Massime significative e motivanti - non slogan.

Insegnamenti dai classici – non solo dalla tecnologia
Il miglioramento culturale userà la moderna tecnologia dell’informazione e della comunicazione. Non proporrà solo programmi di riabilitazione tecnologica presentati da tecnocrati, ma la coltivazione delle “due culture” e di molte oltre le due. Diffonderà conoscenza degli insegnamenti dei classici.

Collaboratori eccellenti
Saranno arruolati a supporto scienziati di prima classe, già impegnati in attività di redenzione culturale. Come, per esempio.
1) Prof John L. Casti, Ricercatore Senior presso IIASA, International Institute for Applied System Analysis
2) Prof. Richard Dawkins, autore di “Il gene egoista”, Foundation for Reason and Science
3) Prof. Freeman Dyson, il fisico
4) Sir Harold Kroto - ha scoperto le molecule di C60 “buckyballs”, ha fondato il Vega Science Trust (www.vega.org.uk ) ingaggiando scienziati per disseminare le loro conoscenze. Ha fondato il Kroto Research Institute per nanoscienza e tecnologia.
5) Carl Weiman (Nobel per la Fisica 2001) - propone programmi per migliorare l’istruzione superiore (vedi www.livescience.com/technology/080725-sb-education-future.html)

Letture raccomandate
1. Lowell Jones, R. – International Arbitration as a Substitute for War between Nations, University Press, St.Andrews – 1907
2. Burdick, E., Wheeler, H. – Fail-Safe, 1962
3. Hardin, G. The Tragedy of the Commons, Science, 162, p. 1243, 1968
4. Dror, Y. – Crazy States, Kraus Reprint, 1980
5. Axelrod, R. – The Evolution of Cooperation, Basic Books, 1984
6. Vacca, R. - A Juridical Solution to the Problem of Nuclear Disarmament, 8th World Conference of World Future Studies Federation: “The Futures of Peace - Cultural Perspectives”, San Jose, Costa Rica, 1984.

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3 Commenti

  1. Avatar photo Emanuele 3 Febbraio 2013
  2. Avatar photo LoryD 4 Febbraio 2013
  3. Avatar photo Giorgio B. 9 Febbraio 2013

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