Spiego il grande blackout indiano… ed anche le reti elettriche.

Allego una spiegazione dell'enorme blackout elettrico indiano. Il più grosso mai avvenuto per numero di persone private dell'elettricità. (MA un terzo degli indiani ha sempre il blackout: non hanno affatto l'energia elettrica).
È triste che le cause citate da quotidiani e perfino dall'Economist siano state: siccità, squilibrio fra domanda e offerta, interruzioni dovute a qualche guasto. Io studiavo i problemi della stabilità delle grandi reti elettriche in corrente alternata già 60 anni fa -- anche se alla facoltà di ingegneria di Roma non venivano ancora insegnate.
Il pezzo è piuttosto pesante: temo che alcuni lo troveranno ostico e lo eviteranno. Non li biasimo. Però li invito a dargli lo stesso una letta. Serve a capire che le grandi strutture tecnologiche sono, certo, complesse -- ma non incomprensibili, né esoteriche. Io, che le capisco un po', ritengo doveroso raccontarle in modo piano.

Seicento milioni di indiani senza energia elettrica per due giorni: un disastro che ha causato distruzioni di ricchezza e di derrate, tragedie personali, ritardi, scomodità, disorganizzazioni a cascata, crollo di reputazioni.
Però è anche grave che questa emergenza sia stata capita solo da pochi esperti. I giornali hanno parlato di ritardi nel realizzare infrastrutture, squilibri fra domanda e offerta, siccità. Questa ha causato mancanza d’acqua di raffreddamento alle centrali di produzione che si sono fermate (vero) e consumi aumentati delle pompe per irrigazione. Si è parlato di consumi eccessivi da parte di utenti che avrebbero dovuto obbedire a severi razionamenti. Si è parlato di guasti inspiegati, ma un blackout gigante non è causato solo da conduttori interrotti o apparecchiature difettose. Taluno ha sostenuto che la rete indiana è troppo grossa: “Se ne avessero avute tante piccole tutto sarebbe andato bene.” Queste spiegazioni sono parziali e inadeguate. Per capire che cosa sia successo, guardiamo i numeri e ragioniamo su struttura e funzioni delle reti elettriche.

La rete dell’energia elettrica indiana non è gigantesca. I dati in Tabella 1 mostrano che la rete europea e quella nord-americana la superano di un ordine di grandezza. Conviene realizzare reti molto grandi perché sono in grado di soddisfare la domanda di elettricità ovunque si manifesti e ovunque venga generata l’energia per soddisfarla. Un grande sistema strutturato a rete è una ricchezza enorme – come la rete stradale estesa su oltre 100.000 km che connetteva ogni regione e città dell’Impero Romano.

Conviene molto che la rete sia a corrente alternata – che varia secondo un diagramma sinusoidale da un massimo positivo a un massimo negativo 50 volte al secondo in Europa, nella metà orientale del Giappone e in India (60 volte/secondo in Nord America e nella metà occidentale del Giappone). Il vantaggio è che il voltaggio si può alzare e abbassare – mediante trasformatori.
Gli alternatori (mossi da motori idraulici o termici) producono energia elettrica alla tensione di circa 10.000 Volt (10 kV). Questa è troppo alta per essere usata nelle industrie. In casa usiamo 220 Volt e stiamo bene attenti a non toccare fili in tensione. Se il tuo corpo è attraversato da una corrente maggiore di 0,1 Ampere, puoi morire. [E’ la stessa intensità di corrente che passa in una lampadina a incandescenza da 25 Watt].
L’energia elettrica va fornita anche a utenti molto lontani. Quando passa in un cavo elettrico di rame, sviluppa calore e, quindi, si perde energia. Questo spreco è proporzionale al quadrato della corrente moltiplicato per la resistenza del conduttore in cui fluisce. Per limitarlo nelle linee di trasporto di energia a grande distanza, si innalza il voltaggio (detto anche “tensione”) e,quindi, si abbassa la corrente. [La potenza elettrica è uguale al prodotto tensione per corrente]. Le linee elettriche di trasporto funzionano a 60, 220, 380, 780 kV [780.000 Volt]. Alimentano trasformatori che gradatamente abbassano la tensione a valori utilizzabili con basso rischio.

Tutti gli alternatori, che generano elettricità (in centrali idroelettriche, termoelettriche, nucleari) sono interconnessi in parallelo sulla rete. Questo si ottiene sincronizzandoli esattamente con le precisione di 1/50 di secondo. Vanno tutti “al passo” dalla Spagna alla Svezia, dall’Olanda alla Sicilia. Come già accennato, questa assoluta compatibilità di frequenza consente alla domanda, ovunque richiesta, di essere soddisfatta utilizzando energia ovunque prodotta. Le quantità scambiate sono registrate automaticamente e pagate ai fornitori: le tariffe dipendono da domanda e offerta. Il funzionamento globale è semiautomatico. La frequenza è mantenuta rigorosamente costante. Se la domanda di energia tende a diventare eccessiva rispetto alle quantità producibili, gli operatori potranno escludere alcune grosse utenze (creando blackout programmati) o, in alternativa, abbassare leggermente la tensione su tutta una regione diminuendo la potenza erogata (il provvedimento si chiama “brown-out”). Dunque, i vantaggi dell’uso della corrente alternata sono notevoli.
Il comportamento delle grandi reti è complesso. Eventi che si verifichino in una parte della rete (interruzioni di circuiti, messe a terra accidentali, sovratensioni, fulmini, etc.) producono perturbazioni che si trasmettono ad altre parti della rete. I conduttori della rete hanno una loro resistenza (misurata in Ohm), ma anche induttanza e capacità. Non approfondisco (questo non è un testo di elettrotecnica), ma questi parametri possono causare la generazione di onde di tensione e corrente sulle linee. Se nelle reti ci fossero solo resistenze, corrente e tensione sarebbero sempre in fase. Con capacità e induttanza la corrente è sfasata rispetto alla tensione e si producono fenomeni di oscillazione L’elettricità alla frequenza di 50 periodi/secondo (o Hertz) ha una lunghezza d’onda di 6000 km. Su linee di trasporto dell’energia molto lunghe (centinaia o migliaia di km) si possono creare perturbazioni che viaggiano, si riflettono, producono dissesti e squilibri. Questi fenomeni sono più gravi se la rete è più estesa – ma la grande estensione è proprio la caratteristica che la rende più utile...
Un’onda di sovratensione, passando; danneggia apparecchiature di controllo, generatori, trasformatori, isolatori. Mette fuori servizio parti della rete, mentre gli apparati di controllo e protezione distaccano altre parti (danneggiate o no). Si perde il parallelo, gli alternatori si fermano – la rete non funziona più. È arduo farla ripartire. Ri-sincronizzare è processo delicato (reso difficile dai guasti dovuti al blackout): può richiedere giorni mentre gli utenti restano al buio.

L’immane blackout indiano, come anche quello famoso del 1965 in USA, è stato causato da gravi fenomeni di instabilità. Le cause non sono state solo scarsità di energia tali da non poter soddisfare domande eccessive, né guasti accidentali che abbiano interrotto i circuiti.
Per evitare instabilità delle reti si usano condensatori che modificano la fase della corrente. Non si tratta di armature separate da dielettrico (come avviene per piccoli elementi), ma di grosse macchine rotanti che producono correnti sfasate di 90° rispetto alla tensione. Si chiamano condensatori rotanti: le cui potenza e localizzazione devono essere progettate con cura per assicurarne la stabilità. La progettazione delle reti non esige solo che la potenza installata sia adeguata anche per soddisfare domanda futura. Vanno anche previsti i modi citati di rifasare i carichi e la disponibilità di generatori di riserva in grado di entrare rapidamente in funzione.

Quando grandi potenze vengono trasmesse su grandi distanze (molte centinaia o migliaia di km) conviene trasformare l’energia da corrente alternata in continua ad altissima tensione, che non ha problemi di stabilità. La corrente alternata ad alta tensione viene trasformata in continua mediante tiristor, poi viene trasportata su linee aeree in cavo, anche sottomarino, e all’arrivo trasformata di nuovo in alternata la cui tensione viene abbassata. Sulle linee a corrente continua le perdite di energia sono anche più basse perché ad altissime tensioni l’intensità del campo elettrostatico è talmente elevata che l’aria stessa diventa un conduttore dissipando energia (effetto “corona”). Tale dissipazione è più alta per le linee in alternata perché il valore massimo (da cui dipende l’effetto corona) raggiunto due volte ad ogni ciclo è del 40% più alto del valore efficace.
Le linee in continua ad altissima tensione sono diffuse in tutto il mondo. In India ce ne sono 3 alla tensione di 500 kV. Sembra, dunque, che la tecnologia indiana sia abbastanza avanzata, anche se non è stata applicata adeguatamente ai problemi di stabilità. Anche la rete della nostra penisola è connessa con linee in continua a Corsica e Sardegna e a Est con la Grecia.

Gravi guasti e disfunzioni di grandi reti elettriche che servono interi continenti si possono verificare non solo in conseguenza di instabilità. Un rischio raro, ma grave può essere costituito da una tempesta di protoni solari. Nel gennaio 2012 corremmo questo rischio che poi non si materializzò. In Appendice riporto l’articolo che scrissi sull’argomento nel Marzo scorso.

* * *

Regione

India

Italia

N.America

Europa

Asia+Oceania

Resto del mondo

Potenza

elettrica

140 GW

35GW

1.200 GW

910 GW

1.630 GW

850 GW

Tabella 1 - Potenza elettrica totale installata per regione (2010)
Dati in Giga Watt (GW = miliardi di Watt)

Fonte:

carbone

petrolio

gas

idroelettrico

nucleare

Consumo annuo

energia MTEP

278

156

62

25

5

Consumo in %

52%

30%

12%

5%

1%

Tabella 2 - India – consumi energia annui per fonte di produzione (2010)
MTEP = Milioni tonnellate equivalenti di petrolio

Altri dati sull’energia elettrica in India:
La popolazione dell’India è di un miliardo e 210 milioni. Il 34% della popolazione non ha accesso a elettricità. Il consumo annuo di energia pro capite: India 0,43 TEP - Italia 2,86 TEP. L’India ha una popolazione più che doppia di quella europea e genera potenza elettrica pari al 15% di quella europea. Il consumo medio annuo pro capite di un indiano è di 755 kWh, quello di un italiano è di 5.000 kWh.

Nota etimologica
Il termine “blackout” era usato ai primi del ‘900 nei teatri per lo spegnimento di ogni luce sul palcoscenico. Poi denotò il segnale, che spegne il raggio catodico di oscillografi e televisori, mentre torna indietro dalla fine di una riga all’inizio della successiva. Dagli anni Trenta il termine indicava l’oscuramento in tempo di guerra di tutte le luci durante la notte per non dare riferimenti agli aerei nemici.
“Blackout” si usa sia in inglese, sia in italiano per indicare una improvvisa mancanza di memoria. Indica anche l’oscuramento del campo visivo di piloti di aereo nella ripresa da un picchiata soggetti ad accelerazioni di alcune volte maggiori dell’accelerazione di gravità, che oscurano il campo visivo (il pilota “vede nero”). Accade d’estate a persone che si alzino in piedi all’improvviso dopo essere state sedute o sdraiate.
Negli anni Sessanta il termine fu usato per indicare la mancanza di energia elettrica in una vasta zona o regione. Il caso più clamoroso fu quello del grande blackout della costa atlantica degli Stati Uniti: il 9 Novembre 1965 lasciò senza elettricità per oltre due giorni più di 30 milioni di americani e canadesi. Lo descrissi 5 anni dopo nel mio saggio “Il Medioevo Prossimo Venturo” (si può scaricare dal sito www.printandread.com ).

* * *

APPENDICE

Tempesta solare scampata: e la prossima? del 5/3/2012
L’abbiamo scampata. Il 23/1/2012 satelliti e stazioni a terra segnalarono in arrivo dal sole una tempesta di protoni: quelli con alta energia sono passati da 10 a 7500 per cm2 e per secondo [vedi diagramma]. Poi il flusso di protoni si è affievolito. Se fosse cresciuto molto, avremmo avuto disastri. Anche in Italia il cielo notturno si sarebbe colorato di verde, viola e rosso: aurore boreali che si vedono vicino ai poli. Poi sarebbe diventato rosso sangue. Grossi blackout ci avrebbero tolto l’elettricità. Le linee telefoniche e telegrafiche fuori uso avrebbero impedito gli interventi di emergenza. Ferrovie, gasdotti e oleodotti avrebbero subito danni gravi. Il blocco di reti e tecnologia nelle società più avanzate, prive di energia, potrebbe causare vittime a milioni.
Sono eventi, a decine di anni uno dall’altro, causati dal vento di protoni emessi dal sole: vanno a velocità fino a 7 milioni di km/h e arrivano a noi in circa 20 ore. Queste tempeste si chiamano CME: Coronal Mass Ejection: espulsione di massa dalla corona solare e proiettano miliardi di tonnellate di protoni. Non è fantascienza: SPECTRUM (la rivista degli ingegneri elettrici USA) questo mese dedica all’argomento un lungo articolo.
I protoni seguono traiettorie elicoidali. Le CME più intense producono campi magnetici giganti interagenti con la magnetosfera terrestre. Quindi correnti elettriche molto intense fluiscono nell’aria della stratosfera che a 50 km di quota è un buon conduttore. La tempesta geomagnetica induce sulla superficie terrestre forti correnti elettriche che passano nel terreno, nelle reti elettriche ad alta tensione, nelle tubazioni, nelle rotaie, nei cavi sottomarini. In conseguenza le reti vanno fuori servizio. Sono più a rischio le centrali elettronucleari: senza energia elettrica dalla rete non possono raffreddare i nuclei che possono fondere. In Europa, USA, Cina si potrebbero avere decine di disastri tipo Fukushima.

È meno tragico, ma molto spiacevole, il rischio di fusione degli avvolgimenti dei grandi trasformatori ad altissima tensione (765 kV in USA, 1000 kV in Cina). Ogni unità pesa 200 tonnellate e costa più di 10 milioni di euro. Non sono tenuti a magazzino e la produzione richiede molti mesi. Anche i terroristi potrebbero farne saltare alcuni, ma un CME ne distruggerebbe decine bloccando per anni l’energia di continenti. I trasformatori si possono proteggere installando condensatori sulla messa a terra del neutro e bypassandoli con tubi elettronici per scaricare a terra le sovracorrenti alternate. Queste tecniche, però, non sono state sperimentate in pratica. I CME sono rari. Nel 1859 il più grave, negli Stati Uniti fu preceduto da aurore boreali e cielo rosso a basse latitudini. A quel tempo non esistevano reti elettriche, ma andarono distrutte molte linee telegrafiche.
Un altro CME nel 1921 bloccò telefoni e telegrafi in Svezia e negli Stati Uniti e mise fuori servizio i sistemi di scambi e segnali della Ferrovia Centrale di New York. Le reti elettriche di energia, poco estese all’epoca, non subirono danni gravi. Nel 1989 i cieli colorati da un CME furono interpretati come lo scoppio di una guerra nucleare, ma in Canada ci fu un blackout di un giorno che lasciò senza energia elettrica tutto il Quebec.
Qualche giorno fa Pete Riley della Predictive Science di San Diego (un centro di ricerca sponsorizzato dalla NASA e dalla National Science Foundation – vedi: www.predscience.com/portal/home.php/) ha pubblicato suoi calcoli secondo i quali ci sarebbe una probabilità del 12,5 % che entro il 2020 si verifichi una Coronal Mass Ejection. L’affermazione sembra azzardata – ma il centro di Riley sembra affidabile.
Giornali, televisioni, politici e politologi non parlano dei rischi dovuti agli arsenali nucleari, né di questi – meno letali, ma significativi. Dovrebbero farlo.

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Una risposta

  1. Avatar photo Emanuele 9 Agosto 2012

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