Il lato oscuro del ciclismo metafora della vita

Il doping rappresenta il lato oscuro del ciclismo. Ci si chiede perché questo sport più di altri sia soggetto a manipolazioni delle prestazioni mediante sostanze non autorizzate. Forse la ragione è che il ciclismo, più di altri sport, rappresenta una metafora della vita: si corre da soli alternando salite e discese e la tentazione di barare o cercare una scorciatoia si presenta ad ogni angolo del tragitto.

La storia del doping

Chiedere se sia nato prima il doping o il ciclismo è la versione sportiva del celebre “è nato prima l’uovo o la gallina”. Pare addirittura che i gladiatori romani usassero sostanze stimolanti e che gli atleti greci assumessero funghi allucinogeni e seguissero diete ad alto contenuto proteico prima di una gara. Ma la svolta in chiave moderna si ebbe nel secondo dopoguerra, con la diffusione delle anfetamine anche al di fuori dell’ambiente militare. Le prime tracce di doping nel ciclismo si hanno già a cavallo tra ‘800 e ‘900 ma il fenomeno diventa dilagante negli anni 50. Lo stesso Fausto Coppi ammise di non poter garantire certe prestazioni senza quella che il “campionissimo” chiamava “la bomba”. Altri scandali mediatici si concentrano nel decennio successivo. Durante la tredicesima tappa del Tour de France del 1967 l’inglese Tommy Simpson ebbe un collasso in diretta tv. L’autopsia confermò che la morte era avvenuta per un mix di anfetamine e alcol. Non sono mancati perfino casi di intere squadre squalificate: clamoroso lo scandalo Festina del Tour de France 1998 che vide l’estromissione dalla gara, vinta poi da Marco Pantani, del team sponsorizzato dal marchio di orologi.

Troppo facile dire che chi bara lo fa per disonestà: conta molto anche la debolezza. Emblematico il caso di Oscar Camenzind: il ciclista svizzero racconta di aver fatto uso di EPO per recuperare le sue prestazioni dopo la mononucleosi che lo aveva indebolito. Essere macchiati con la D scarlatta del doping è una vergogna indelebile. Si tratta di eventi che segnano la vita dei ciclisti più delle cadute fisiche, come ha sottolineato lo stesso Marco Pantani, escluso dal giro d’Italia al termine della tappa di Madonna di Campiglio e morto poi di depressione nel 2004. Ma il più grande scandalo nella storia del ciclismo internazionale è senza dubbio la spagnola Operaciòn Puerto del 2006. Va detto, ad onor del vero, che quello che è passato alla storia come un processo al ciclismo, coinvolgeva in realtà anche altre discipline sportive (atletica leggera, calcio, tennis). Ma ancora una volta il ciclismo fu la vittima mediatica per eccellenza. L’indagine spagnola aveva come obiettivo la prova della somministrazione dell’Epo, sostanza dopante che aumenta la concentrazione di globuli rossi nel sangue ottimizzando la resistenza alla fatica. Secondo gli investigatori a capo dell’organizzazione c’erano il medico Eufemiano Fuentes e il direttore sportivo (della Liberty Seguros) Manolo Saiz. Nella clinica del primo a Madrid furono rinvenute 100 sacche di sangue. Nello scandalo finirono ciclisti di fama internazionale, tra cui il principale avversario di Armstrong ai tempi delle gare francesi, Jan Ullrich e l’italiano Ivan Basso. Il caso più recente invece è quello di Chris Froome: il vincitore del Tour de France 2013 ha rispedito al mittente i dubbi sull’assunzione di sostanze dopanti e ha rinnegando i paragoni con Armostrong definendosi offeso verso coloro che cercano di macchiare con l’infamia il titolo più grande conquistato.

Ma i sospetti non si placano e c’è anche chi ha proposto di passare ai raggi X i telai della biciletta nel dubbio che possa averne usata una a pedalata assistita. A destare sospetto è stato soprattutto il risultato ottenuto nella tappa con la salita finale ad Ax 3 Domaines (7,8km), in cui Chris Froome ha fatto segnare il 3° miglior tempo storico, dietro Roberto Laiseka (22’57’’ nel 2001) ed Armstrong (22’59’’ sempre nel 2001, anno in cui il texano ammise poi di essere dopato). E’ questo il triste stato al quale il doping ha ridotto il ciclismo oggi: chiunque vinca viene messo in dubbio.

Doping: impossibile fermarne la scalata?

Dando uno sguardo alla casistica verrebbe da chiedersi: perché il numero di ciclisti trovati positivi all’antidoping aumenta di continuo? In primis perché si accresce il numero di sostanze dopanti sconosciute negli anni ’50. Certo negli anni si sono affinati i test anti-doping ma contemporaneamente si sono affinate anche le tecniche per eludere i controlli.

Autotrasfusione, come funziona

Nel doping ematico autologo (autoemotrasfusione) l’inganno si perpetra mediante una trasfusione fatta circa un mese prima della gara dallo stesso soggetto (circa 700-900 ml di sangue conservati a +4°C e poi rimessi in circolo uno o due giorni prima della gara). Immediatamente dopo la trasfusione si registra un miglioramento della resistenza dovuto all’aumento della massa eritrocitaria. Per questo motivo è una tecnica adatta per il ciclismo e non idonea invece per discipline anaerobiche (sollevamento pesi, salto in lungo o in alto, velocità, lancio del peso etc). Congelando il sangue in glicerolo è possibile anche conservarlo per alcuni anni evitando così prelievi nel periodo pre gara. Il fatto che il sangue sia quello proprio evita il rischio di contagi ma non esula da altre possibili conseguenze ad esempio quello di coaguli dopo la reinoculazione (con possibili infarti, embolie o ictus).

Esame dell’urina, come eluderlo

Ma come eludere i test dell’urina? Nel 2004 la Wada, ovvero l' Agenzia mondiale antidoping, denunciò la bizzarra soluzione: un pene di plastica da fissare in modo da coprire quello vero e che, premendo l’apposito pulsante, espella l' urina ripulita dalle sostanze dopanti già inserita precedentemente nella capsula. Si è parlato anche di chicchi di riso con il compito di filtrare l’urina. Metodi questi oggi difficilmente praticabili in verità visto che l’UCI ha imposto in ogni gara professionistica gli “Chaperones” con il compito specifico di mantenere sempre il contatto visivo con l’atleta, proprio per scongiurare certe manipolazioni. Visto il business costruito dietro questo sport non si può escludere che gli aiuti per eludere i controlli antidoping non siano solo di tipo tecnologico ma anche umani, da parte di persone che operano dall’interno. Secondo l'Usada, l'agenzia americana antidoping, l'Unione Ciclistica Internazionale era consapevole dell’assunzione di Epo da parte di Lance Armstrong e l'avrebbe coperto.

Controlli anti doping: tecniche moderne per non farsi beccare

Oggi le sostanze dopanti possono essere divise essenzialmente in due gruppi: quelle riconoscibili dai test e quelle che invece non vengono captate. Nel primo caso spesso si fanno assumere microdosi per eludere i controlli. Nella seconda categoria rientrano gli ormoni peptdici. L'ormone della crescita invece, il Gh, si riconosce solo se il soggetto lo assume pochi minuti prima del controllo perché i tempi di vita sono così brevi che nelle urine si perde velocemente ogni traccia.

La tecnologia che porta ad ottimizzare le tecniche di controllo è la stessa che alimenta nuovi stratagemmi per eludere i test. Forse l'unica soluzione concreta è quella di rendere indipendente la società addetta ai controlli privatizzandola.

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3 Commenti

  1. Avatar photo Boris L. 17 Aprile 2014
  2. Avatar photo gfranco78 4 Maggio 2014
  3. Avatar photo Michela.Santini 18 Maggio 2014

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