Regolare in DC con i Microcontrollori – Parte 2

Sul blog di Elettronica Open Source puoi leggere non solo tutti gli articoli Premium riservati agli abbonati Platinum 2.0 e inseriti nella rivista Firmware 2.0 (insieme ad articoli tecnici, progetti, approfondimenti sulle tecnologie emergenti, news, tutorial a puntate, e molto altro) ma anche gli articoli tecnici della Rubrica Firmware Reload. In questa Rubrica del blog abbiamo raccolto gli articoli tecnici della vecchia rivista cartacea Firmware, che contengono argomenti e temi evergreen per Professionisti, Makers, Hobbisti e Appassionati di elettronica. Analogico è bello, senza dubbio, ma digitale a volte è meglio, per più di un motivo; da quello dei rendimenti indubbiamente più elevati a quello del contenimento dei costi di realizzazione, oggi drammaticamente attuale. Nell’articolo che segue saranno affrontate in modo esaustivo tutte le sfaccettature dell’alimentazione microcontrollata.

DESCRIZIONE FUNZIONALE

Se da un lato tutto quello che abbiamo detto fino a questo momento è servito ad inquadrare il problema e a proporre un approfondimento su quale hardware dovessimo reputare idoneo, adesso è arrivato il momento di entrare più nello specifico e cercare di capire meglio che cosa vogliamo ottenere. Per farlo, dobbiamo cercare di andare più nel dettaglio, per fare una descrizione funzionale di quello di cui abbiamo parlato fino a questo momento. Concettualmente parleremo di:

  • Peak Current Mode Control
  • Voltage Mode Control
  • Zero Voltage Switching o Low Voltage Switching
  • Synchronous Rectification
  • Regolazione di tensione in uscita con variazioni di carico

Vediamoli iniziando dal Peak Current Mode Control. L’implementazione di questa modalità di controllo richiede, come abbiamo avuto modo di specificare in precedenza, la generazione di forme d’onda PWM piuttosto complesse che vengano controllate in maniera assai precisa. La famiglia di dispositivi Texas Piccolo permette questo genere di controllo e quindi risulta utile proprio a questo scopo. Gestisce il tutto grazie a comparatori analogici, convertitori analogico-digitali (DAC), risorse PWM e hardware per la compensazione, che fungono da periferiche. La Figura 1 altro non è che lo schema a blocchi sintetico che rappresenta l’implementazione della PCMC.

Figura 7: Schema a blocchi sintetico dell’implementazio ne della PCMC

Figura 1: Schema a blocchi sintetico dell’implementazione della PCMC

La corrente nel trasformatore viene comparata al valore di picco calcolato come riferimento dall’anello di tensione che utilizza il primo comparatore. Se diamo uno sguardo alla Figura 2 ci rendiamo conto che tutto questo viene dimostrato proprio dalle forme d’onda. Infatti, in ciascuna metà del ciclo completo, quando la corrente raggiunge il valore di riferimento di picco, una delle forme d’onda PWM che pilota l’altro ramo del ponte viene impostata dopo una finestra temporale denominata “dead-band” (dead- time).

Figura 8: Forme d’onda PCMC

Figura 2: Forme d’onda PCMC

 

Figura 9: Schema a blocchi VCM

Figura 3: Schema a blocchi VCM

Viene applicata anche la giusta slope compensation, la quale aggiunge una rampa tramite una pendenza negativa programmabile al valore di riferimento di picco della corrente. Le azioni di “Reset” e “Set” sono comandi di controllo sulle PWM di un ramo del ponte che hanno effetto di pilotaggio e che generano lo scostamento di fase. Di quanto la fase venga effettivamente ruotata, e pertanto quale sia la sovrapposizione tra di esse, dipende proprio dall’entità della corrente, ovvero maggiore sarà il valore di picco di riferimento, più a lungo ci sarà la sovrapposizione tra le forme d’onda, il che vuole anche dire che sarà maggiore la quantità di energia trasferita al secondario. Il controllore regola l’uscita verificando il trasferimento di energia proprio applicando il monitoring al valore di corrente di riferimento. È proprio per questo motivo che il valore di corrente di picco rappresenta il parametro fondamentale del sistema. Una caratteristica importante di questo tipo di implementazione è che lo stesso comando viene utilizzato in entrambi i semi-cicli del periodo di commutazione in qualunque condizione operativa; questo permette un bilancio del flusso ottimale per il trasformatore e riduce qualunque possibilità di fenomeni di saturazione.

E passiamo ora al Voltage Mode Control. Nelle implementazioni del VCM si utilizzano segnali complementari PWM con duty cycle 50% in entrambi i rami del circuito. Sia il duty cycle sia la frequenza dei segnali sono fissi. Si vede chiaramente che il controllore pilota direttamente il salto di fase ed i segnali in una parte del ponte rispetto a quanto avviene nell’altra. Il salto di fase impone, come nel caso precedente, la sovrapposizione delle forme d’onda ed è quello che viene dimostrato proprio dalla seconda delle due figure. Maggiore sarà la sovrapposizione, più a lungo la tensione in ingresso risulta essere ai capi del primario e pertanto si ottiene un migliore e più efficace trasferimento di energia al circuito secondario. Il controller regola l’uscita proprio grazie al trasferimento di energia usando per condizione direttamente il salto di fase grazie all’imposizione dei segnali PWM. Da quanto abbiamo detto, non c’è alcuna necessità di includere un condensatore di blocco DC all’interno del circuito primario per evitare possibili saturazioni del trasformatore.

La seconda voce in quell’elenco era “Zero Voltage Switching” o “Low Voltage Switching”. I convertitori DC-DC PSFB fanno uso di elementi parassiti all’interno del circuito per assicurare e garantire il livello di tensione nulla attraverso gli switch MOSFET prima della loro accensione; questo riduce considerevolmente la quantità di perdite associate alla commutazione. Per il sistema che abbiamo finora trattato, le transizioni nel ramo Q2-Q3 lo caratterizzano come “Active to Passive”. Questo sostanzialmente dipende dal fatto che quando c’è la transizione per gli switch in questo ramo, la corrente nel primario è molto vicina al suo valore massimo per la metà del ciclo PWM. La corrente riflessa al carico aiuta l’energia all’interno del circuito primario durante questa fase, il che rende possibile per la tensione ai capi dei MOSFET in questo ramo di assumere un valore pressoché nullo. È possibile raggiungere la condizione ZVS per Q2-Q3 sull’intera escursione; vale la pena di notare che man mano che il carico diminuisce, il dead-time aumenta se si vuole raggiungere la condizione ZVS. Le transizioni per Q1-Q4, invece, danno inizio al periodo di tempo in cui avviene il trasferimento e per questo motivo questo ramo del circuito prende il nome “Passive to Active”, ovvero il simmetrico del precedente. Durante la fase di transizione, la corrente nel circuito primario diminuisce, attraversa il valore di zero e cambia direzione. Questo vuol dire che si avrà una più bassa energia disponibile per raggiungere la condizione ZVS. Infatti, per tutte le operazioni che si svolgono al di sotto di queste condizioni di carico, la tensione attraverso questo ramo potrebbe non raggiungere il valore di zero prima dell’accensione, il che farebbe manifestare delle perdite che possono comunque essere mantenute ad un valore minimo accendendo questi switch in condizione di tensione minima ai loro capi.

Questa condizione prende il nome di “Valley Switching” oppure anche di “Low Voltage Switching” (LVS). Parliamo adesso di “Synchronous Rectification”. I rettificatori sincroni possono funzionare in una delle tre modalità che vediamo elencate qui di seguito:

  • Mode 0: si tratta del classico “diode current doubler”, configurazione che si ottiene mantenendo spenti i rettificatori sincroni. È molto utile per carichi molto bassi e relative operazioni quando le perdite dei rettificatori sono molto più grandi rispetto al risparmio di potenza ottenuto dalla rettificazione.
  • Mode 1: in questa modalità il rettificatore commuta come se ci fossero diodi ideali. Questa modalità è molto utile quando si opera con carichi molto bassi, tipicamente quando viene utilizzata la modalità burst.
  • Mode 2: quest’ultima modalità risulta molto utile in tutte le altre condizioni di carico. I rettificatori sono spenti solo quando c’è la sovrapposizione dei segnali sul ponte.

“Regolazione di tensione in uscita con variazioni di carico” identifica una condizione di grande interesse. La tensione di uscita regolata è affetta da condizioni di variazione di carico. Il problema esiste, come ben sappiamo e certamente possiamo immaginare, per via del fenomeno di ripple sul valore della tensione in uscita, che compare ad un valore di frequenza doppio rispetto a quella di commutazione. Quando il carico è basso, il ripple di tensione picco-picco è relativamente molto piccolo, mentre man mano che il carico aumenta si hanno aumenti anche considerevoli. Se le conversioni degli ADC sono sincronizzate con un certo istante del ciclo di commutazione, così come vediamo nella Figura 5, allora la tensione convertita che sarà rilevata risulterà più piccola per carichi che crescono. Questo fenomeno, a parità di tensione d’uscita media, dimostra che una minore tensione verrà sentita dal controllore man mano che ci saranno operazioni su carichi più grandi. Il controller compenserà la variazione di tensione e ne causerà un aumento nel valore della tensione d’uscita quando il carico cresce. Per minimizzare questo effetto è possibile adottare alcune soluzioni. Prima di tutto la conversione analogico-digitale può essere sintonizzata con un istante specifico della mezza forma d’onda PWM, cioè entro il duty- cyle. Questo permetterà di sentire direttamente il valore della tensione d’uscita.

Con l’implementazione PCMC, il duty-cycle non è già impostato ed il punto di trigger è comunque da determinare. Questo metodo funziona bene con il VCM. Un’altra possibilità riguarda il calcolo del valore medio della tensione d’uscita, che può essere effettuato correggendo il feedback o il valore di tensione di riferimento. Naturalmente, dal momento che stiamo andando a variare parametri del comportamento dinamico, questo avrà effetti non trascurabili sulle prestazioni complessive in transitorio dell’intero sistema. Un’altra soluzione prende spunto dal fatto che il valore medio di tensione in uscita può essere calcolato per ciascun ciclo, sovra-campionandolo su uno o due cicli di ripple. Dal momento che il valore medio viene calcolato su un intero periodo, qualunque tipo di effetto, più o meno evidente, in questo modo verrebbe eliminato o quanto meno evitato. Inoltre, dal momento che il valore medio viene calcolato in uno o due cicli ed utilizzato nel successivo ciclo di commutazione PWM, il comportamento dinamico ed il controllo delle prestazioni non ne soffrono molto. Con questo metodo, è vero che da un lato sono richieste più conversioni analogico-digitali in un singolo ciclo, ma questo metodo risulta essere raccomandato proprio per l’implementazione PCMC, perché qui il valore della tensione di uscita viene sovracampionato otto volte. Un’ultima soluzione consiste nell’aumentare il filtraggio dell’ingresso attenuando proprio il ripple. Naturalmente, questo significa diminuire di molto la dinamica del sistema ed inficiare le prestazioni generali, mentre il comportamento della tensione in uscita rischia di rimanere perfettamente identico.

Figura 10: Forme d’onda VCM

Figura 4: Forme d’onda VCM

 

Figura 11: Conversioni sincrone degli ADC

Figura 5: Conversioni sincrone degli ADC

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