Vita senza internet, un black-out imposto in Cina

Internet considerato colpevole dell’organizzazione da parte dei ribelli di sommosse e disordini? Scatta automaticamente l’isolamento mediatico e impedimento a connettersi on line: ecco cosa accade già da qualche mese a Xinjiang, una regione cinese, un vero e proprio black-out imposto dal Governo per evitare la possibilità che questi si ripresentino e non senza gravi, ed intuibili, conseguenze per tutti i cittadini ma soprattutto per chi con la tecnologia ci lavora.

E’ una storia che sa dell’incredibile che ha costretto, e tuttora costringe, parte della Cina senza internet. Siamo nella regione di Xinjiang, nell’ovest della Cina: i venti milioni di abitanti di quest’area dall’estate scorsa non possono collegarsi ad internet, né inviare sms e neppure effettuare chiamate internazionali. Si tratta del black-out più lungo del mondo ma la cosa più grave è che non si tratta di un guasto tecnico bensì di un’imposizione del Governo cinese, dettato, ufficialmente da motivi di sicurezza.

Lo scopo dichiarato è infatti quello di evitare il ripetersi degli scontri civili con la minoranza musulmana che hanno di recente portato a 200 morti. Rispettare questa proibizione non è semplice per le persone ormai da anni abituate alla tecnologia ma in particolare non lo è per chi con internet lavora. Ogni fine settimana dozzine di persone affollano la stazione di Liuyuan, la prima cittadina che si incontra in treno fuori dalla zona del black-out, a 650 km ad est della città maggiore della regione, Urumqi.

Zhao Yan, donna d’affari esile ma caparbia ha sottolineato l’esigenza della popolazione di poter usufruire di nuovo del servizio di collegamento ad internet: lei personalmente si è vista costretta a prenotare tutti i fine settimana, da agosto, la stessa postazione internet presso il Cafè di Liuyuan. Ci sono ragazzi che restano all’Internet Cafè fino a 11 ore. Ma questo tentativo di mantenere i contatti con il mondo ha un costo e molti ammettono di non poter resistere ancora a lungo.

Per molti la sensazione è quella di essere tornati indietro nel tempo di almeno 30 anni. Proprio questo mese il Governo ha garantito che gradualmente i servizi sospesi saranno reintegrati ma non tutti sono fiduciosi sostenendo che già in passato la promessa era stata fatta ma senza risultati: per il momento sono stati reintegrati solo 4 siti di informazione, due dei quali sono di gestione statale. Per il resto sono ammessi solo alcuni notiziari e film. Una situazione di certo frustante per chi la subisce. Va meglio per i cellulari che, anche se lentamente, cominciano ad essere di nuovo disponibili: per il momento il limite è di 20 messaggi al giorno, e non nella rete internazionale.

Open Net Initiative, una società con sede ad Harvard, con il compito di monitorare le restrizioni di accesso ad internet nelle varie zone del globo ha sottolineato come questa sia la prima volta nella storia in cui si assiste ad un proibizionismo prolungato così tanto a lungo. In alcune regioni sovietiche c’era stata una simile limitazione in tempo di elezioni, ma solo per poche ore o giorni al massimo.
Sicuramente la durezza e totalità del divieto del governo cinese è sintomo evidente della difficoltà di gestione e controllo della situazione.

Una restrizione di libertà grave che qualcuno ha visto anche come un esperimento sociale per capire se l’uomo possa ancora vivere senza tecnologia: certo questo avrebbe più validità se si parlasse di scelte personali e non limiti arbitrari.

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