Cosa deve fare un gruppo di continuità? Che caratteristiche deve avere? Quanto deve durare nel tempo? Qual è la migliore soluzione? Queste ed altre domande sono quelle a cui cerca di rispondere chiunque abbia a che fare con i gruppi di continuità. Bene, oggi cerchiamo di rispondere a queste domanda analizzando come e perché è il caso di scegliere una soluzione fatta in casa piuttosto che "accontentarsi" della grande distribuzione.
Tempo fa ci siamo occupati degli UPS per parlare di come fosse possibile realizzarne uno mediante l'utilizzo dei PIC. Oggi affrontiamo la questione da un altro punto di vista: il fai-da-te.
Le soluzioni DIY (ovvero Do It Yourself) sono sempre le migliori da un certo punto di vista perché permettono di ottenere esattamente il funzionamento che si desidera con dell'hardware che si conosce fin nel più piccolo dettaglio.
Accanto al computer, molti di noi hanno una dotazione di questo tipo: una scatola grigia e rotondetta che funge da alimentatore DC, connesso alla rete elettrica da un lato e dalla coppia batteria ed inverter dall'altro.
L'alimentatore carica la batteria ed aziona l'inverter il quale ha lo scopo di convertire la bassa tensione DC in corrente AC con una efficienza che sia, potenzialmente, superiore al 90%, o che almeno si avvicina a questo valore. Quando la rete elettrica diventa, per qualche motivo, inefficiente, lo scopo dell'inverter è quello di azionare la batteria per fare in modo che il computer ed il monitor continuino a funzionare, cosa che, con un po' di possibilissimo può accadere per un'oretta se il pc in questione non è estremamente performante.
Molti degli UPS, cosiddetti off-the-shelf (letteralmente “sullo scaffale”, cioè in vendita come soluzioni commerciali), possono fare questo lavoro per pochi minuti; questo non è necessariamente un male perché in realtà serve poco tempo per salvare la sessione di lavoro e riuscire ad arrestare regolarmente il computer. Ad esclusione dei modelli più economici, tutti sono dotati di una connessione seriale al computer e di un software che sia in grado di rendere il computer interprete dello stato della batteria, sia in termini di carica sia in termini di stato di conservazione, nonchè di comunicare all'utente tutte le informazioni che possono risultare utili.
In un UPS, cosìddetto a doppia conversione, l'inverter è in funzione tutto il tempo, a differenza di quanto accade in altri. La maggior parte degli UPS sono modelli “Stand-by”, all'interno dei quali l'inverter funziona solamente quando è la corrente ad andarsene. Quando non ci sono malfunzionamenti, invece, l'alimentazione viene direttamente dalla rete ed è portata all'uscita, anche grazie ad apparati di filtraggio opportuni, quando presenti.
Il progetto del modello stand-by rende gli UPS molto più efficienti ed anche più economici sebbene abbiano globalmente una qualità più bassa visto che l'inverter raramente deve far qualcosa.
Un altro modello di riferimento sono gli UPS “line interactive”, ovvero quei modelli di gruppo di continuità in cui l'inverter funziona per tutto il tempo anche se non a “pieni giri”; l'alimentazione da rete viene fatta passare, quando è disponibile. Quando, invece, non lo è, l'inverter inizia a funzionare pienamente.
Infine esiste il modello “on-line”, un tipo di UPS che è in grado di filtrare la tensione di rete nel miglior modo possibile e non introduce alcun tipo di ritardo nello switching quando l'alimentazione di rete non è più funzionanate.
Queste tre tipologie non sono molto diverse tra di loro per quanto riguarda gli usi domestici, se non consideriamo il fattore prezzo.
Fatta questa rapida carrellata riassuntiva, passiamo a ciò che vi serve per creare il vostro UPS.
La batteria
È parte integrante del circuito e, di certo, non potete fare senza. È possibile utilizzare batterie piombo-acido, anche se non si tratta dell'unica soluzione. Nel caso, infatti, di UPS off-the-shelf si utilizzano batterie “gel cell”, ovvero batterie in cui l'elettrolita viene mischiato con polvere di silice a creare un soluzione tipo gel. Si tratta del tipo più comune nell'ambito delle batterie denominate SLA, ovvero Sealed Lead Acid.
Di solito, quando qualcuno fa riferimento a questo tipo di batterie, infatti, sta parlando proprio di gel cell.
Si tratta di modelli dal costo contenuto e non hanno perdite molto diffuse, per cui risultano molto ben standardizzati. Non solo, ma possono essere facilmente reperiti in ogni tipo di negozio di elettronica e rappresentano un buon compromesso tra qualità e prezzo dal punto di vista delle prestazioni.
L'elettrolita jelly all'interno di una gel cell non “lega” molto bene con le bolle di gas che si sviluppano velocemente se la batteria viene sovraccaricata. Altro tipo di “strani comportamenti” si possono verificare quando la batteria viene mantenuta sempre ad un livello di carica molto alto. Così, queste bolle si mischiano nell'elettrolita nelle strette vicinanze dei piatti metallici della batteria e ne riducono la capacità totale.
Queste batterie sono a 12 V e, nominalmente, sono date per “7 Ampere-orari”; tuttavia è molto facile aspettarsi che non siano in grado di provvedere all'alimentazione con un tale ammontare di potenza, nonostante ciò che c'è da aspettarsi se si tiene conto soltanto del rating, ancorché la soluzione a 24 V ed a più bassa corrente viene impiegata per la maggior parte degli UPS in circolazione.
Tutto questo si traduce banalmente non potersi aspettare più di un paio d'anni di vita media stimata per l'UPS, anche se il bilancio su questa spesa va fatto sempre in relazione con il tipo di uso che si vuole fare.
Per ottenere capacità di dimensioni ragguardevoli ed alte prestazioni in termini di corrente, quelle che possono tornare utili sono le batterie piombo-acido “wet”, che utilizzano un liquido con elettroliti acidi.
Non si tratta certo di batterie che possono essere spostate con facilità ed hanno necessità di essere alloggiate in un locale ben ventilato. Sarà, inoltre, necessario eseguire cicli di carica e scarica periodici completi per garantire loro la vita più lunga possibile e la capacità di mantenere lo stesso valore di carica nel tempo.
Tuttavia, anche una piccola batteria per auto è in grado di fornire 25 A orari, che possono essere utili per alimentare un computer. Pertanto, è solo l'abilità di trasportare oggetti pesanti a rappresentare il limite al numero di batterie che si possono mettere in parallelo per farle lavorare in un sistema di questo tipo.
Le batterie utilizzate nel campo automotive possono essere acquistate ad un prezzo davvero economico ma non è il caso di farle scaricare completamente, più o meno per lo stesso motivo per cui non è il caso di farlo per le batterie “gel cell”. Se le batterie piombo-acido vengono fatte scaricare del tutto e lasciate “a se stesse”, è molto facile che siano del tutto inutilizzabili dopo un certo tempo, visto che taluni composti dello zolfo si potrebbero venire a formare all'interno, con l'effetto di ridurne la capacità.
Ci sono batterie che sono molto più costose, dette “deep-cycle”, che sono costruite per fare meglio fronte all'esigenza di sopportare cicli completi di carica e scarica senza che questo causi grossi problemi. Alcune batterie riescono a proporre valori di corrente istantanea molto alti perché sono in grado anche di alimentare un motore. Queste due caratteristiche, però, sono in netta contrapposizione tra loro e il duty-cycle privilegiano la prima alla seconda.
La batteria visualizzata in figura non è esattamente un modello comune; si tratta di una Lifeline GPL-1300 prodotta dalla Concorde Battery Corporation la quale produce batterie più o meno per ogni tipo di applicazione, dalle gare automobilistiche fino agli aviomobili. Uno dei modelli è progettato per essere regolato a valvola con elettroliti liquidi che vengono assorbiti su di uno strato di fibre di vetro che si trova tra piatti metallici sottili (un modo intelligente di fare batterie SLA). Questa tecnologia rende le batterie “wet” molto più performanti.
Questo modello, in particolare, rappresenta l'esponente più piccolo della famiglia, ha un peso di poco meno di 7 kg ed è addirittura in grado di avviare un motore marino. La sua capacità è di 13 Ampere-orari ed è quindi piuttosto adatta all'utilizzo nelle applicazioni UPS.
L'alimentatore
Un UPS ha necessità di provvedere al caricamento della batteria e far avviare l'inverter quando l'alimentazione principale viene a mancare. Caricare le batterie piombo-acido mediante il metodo della “tensione costante” è una cosa semplice. Il punto è che non si tratta del miglior modo di effettuare il caricamento della batteria. Se si connette, pertanto, la batteria ad un alimentatore che viene impostato per fornire sempre lo stesso livello di tensione che è pari a quello che la batteria può mantenere quando è carica, allora essa si caricherà e non sarà mai possibile sovraccaricarla. Questo metodo prende il nome di caricamento “float”. Non è certamente il modo più veloce per riuscire ad ottenere il risultato ma è possibile anche lasciare il caricatore connesso per sempre senza correre rischi di sicurezza per la batteria.
A questo punto, sorge spontanea la domanda: ma quindi quale sarebbe il problema? La risposta sta nel fatto che, sfortunatamente, un processo di carica di questo tipo non riuscirà mai davvero a caricare al massimo la batteria. Inoltre, se si lascia la batteria carica in questa condizione per sempre, l'effetto che si avrà sarà certamente quello di perdere, gradualmente, autonomia della batteria perché si avrà proprio la creazione di quei solfati di cui parlavamo prima.
La soluzione? Il metodo “topping charge” di circa 2.4 V per ciascuna cella (14,4 V per una batteria da 12 V), da effettuarsi ogni sei mesi. Così, la batteria potrà certamente rendere di più, in termini di tempo di carica.
Il circuito di carica è piuttosto rodato e si trova, praticamente uguale a se stesso, in tutte le soluzioni UPS commerciali. Esso effettua periodicamente cariche mediante il secondo metodo visto ma, ovviamente, nelle soluzioni più economiche è possibile che questo non succeda. C'è da dire che buona parte della spesa cui si fa fronte quando si compra un UPS sta nel tipo di batteria che viene acquistata.
L'inverter
In generale, si potrebbe usare un inverter 300 Volt-Ampere (VA) 12-a-240 V che, nonostante il design piuttosto datato e la limitazione nel “surge power rating”, fa il suo mestiere. Vale la pena di specificare che per surge power rating intendiamo la “quantità” di potenza che è possibile che l'apparecchio eroghi in un breve intervallo di tempo. Banalmente, è un picco che sta ad indicare proprio la capacità di erogare potenza dell'inverter. Si capisce che più grande è questa figura di merito, meglio tutto il gruppo di continuità può far fronte alle necessità di alimentazione in caso di emergenza.
Parliamo, un minuto, di unità di misura: W=VA ma questa uguaglianza vale soltanto in polarizzazione (in DC) oppure per tutti quei circuiti in alternata che funzionino con carichi solamente recessivi (lampadine, frigoriferi, stufe…).
Utilizzatori come computer e monitor non rappresentano, però, solamente carichi resistivi, dal punto di vista tecnico, e dimostrano un “fattore di potenza” piuttosto "scomodo". Questo dipende dal fatto che un inverter da 300 VA ci si può aspettare che funzioni con un valore di potenza di riferimento di circa 210 W, se non di meno.
D'altronde, non ci si può neanche aspettare che siccome l'alimentatore del computer di casa si aggira intorno ai 300 W, allora è necessario utilizzare un inverter da 430 VA. Quello che, invece, è il caso di richiedere è che esso risulti perfettamente e completamente carico per ciascun “output rail” dell'alimentatore.
Ed è proprio questo che non sempre succede. In particolare, specie quando si affronta una spesa puntando sull'aspetto economico, è possibile comprare degli inverter da 300 VA con un surge rating da 900 VA ed una efficienza del 90%. Per farne una questione di spesa, più o meno per il doppio è possibile, talvolta, presso alcuni rivenditori in particolare, acquistarne una da 600 VA in continua con inverter da 1500 VA,una soluzione piuttosto ideale se si vuole alimentare un personal computer ed il suo monitor.
Parliamo delle forme d'onda...
Inutile prendersi in giro, questo è l'unico parametro che davvero conta qualcosa. Perché tutto funzioni bene e duri nel tempo, la forma d'onda deve essere semplicemente perfetta, regolare e deve avere dei livelli assolutamente uguali a loro stessi. La forma d'onda proveniente dall'inverter rappresenta il modo in cui l'uscita in tensione dell'inverter varia, attraversando cicli con picchi positivi e negativi. In questo, le specifiche sono stringenti: la frequenza deve essere esattamente 50 Hz ed i valori di tensione non possono superare i limiti imposti dall'intervallo 210-240 V. Ovviamente, queste specifiche possono variare con il paese (sappiamo perfettamente tutti che per altri paese, come gli Stati Uniti d'America, questi valori cambiano ma il concetto, invece, no).
Uno dei metodi per capire quanto effettivamente si è risparmiato, senza aver risparmiato davvero, è valutare proprio la forma d'onda in uscita.
Se, per esempio, la tensione dovesse subire un brusco incremento verso valori positivi, mantenersi a quel livello per più di mezzo periodo e poi crollare a valori negativi, non soltanto la forma della forma d'onda sarebbe errata ma anche il valore RMS della tensione fornita, senza parlare del duty-cycle.
La forma d'onda normale deve essere sinusoidale e non deve avere “asperità” ovvero deve essere una forma d'onda di tipo “smooth”. La forma d'onda sinusoidale (in verde) viene “limitata” soltanto dalle soluzioni più costose ma rappresenta la migliore soluzione possibile.
Tuttavia, in alcune applicazioni, come quelle che stiamo vedendo, cioè l'utilizzo per l'alimentazione di personal computer ad un uso domestico, non hanno bisogno di queste prestazioni, ovvero di questo livello di prestazioni. Infatti, funzioneranno bene anche con forme d'onda sinusoidali squadrate.
La maggior parte dei motori AC funzioneranno bene grazie all'utilizzo di forme d'onda quadrate ma finiranno per consumare fino al 20% in più di potenza rispetto a quello che farebbero se la forma d'onda fosse regolare. Inoltre, questo tipo di soluzioni è possibile che sperimenti dei picchi nel funzionamento che renderebbero, probabilmente, inefficiente, o sbilanciato, il suo funzionamento.
Nella figura si evidenzia anche la presenza di una forma d'onda in blu che rappresenta una “semplice” onda rettangolare. Questo andamento è abbastanza idealizzato ed è difficile trovarlo implementato in un hardware ancorché frutto di progettazione integrata. Ciò che è interessante è che questo viene a vantaggio degli utenti perché la forma in questione non è esattamente quella che vorremmo. La maggior parte dei sistemi non funzionerebbe correttamente con segnali di questo tipo.
Perchè farselo da soli?
La risposta è piuttosto semplice: perché potete curare ogni singolo aspetto e sapere esattamente con che macchina avete a che fare. La risposta sembra banale ma in realtà è molto più complessa di così, quanto meno per le sue implicazioni. Potete puntare sul tipo di batteria, sulla stabilità del riferimento di tensione oppure ancora sul metodo di carica della batteria, garantendone la durata nel tempo.
Una soluzione fatta in casa può anche essere modificata all'occorrenza con piccole modifiche che però possono essere stagliate proprio sulle esigenze personali. In una soluzione off-the-shelf non potete mettere la batteria che vi piace di più non solo perché non entra nella "scatola" ma perché il dimensionamento dell'intero progetto ne risentirebbe. La circuiteria del caricatore potrebbe avere difficoltà ad adattarsi in maniera stabile ed indolore al cambiamento di batteria effettuato.
Le soluzioni commerciali migliori dispongono di un connettore per l'espansione delle batterie mentre, ovviamente, i più economici non saranno in grado di offrire questa possibilità.
Ed insieme con la capacità della batteria va valutato anche il fattore tempo; le soluzioni più a buon mercato possono andare incontro a problematiche di surriscaldamento e di "morte prematura" se poste sotto sforzo per tempi lunghi rispetto a quelli che la batteria può tollerare.
Ovviamente, la qualità globale dell'UPS migliora per effetto di un alimentatore DC oppure di un inverter dedicato più sofisticati; pertanto non si andrà certamente incontro a queste limitazioni, così come non ci sarà da tenere sempre uno aperto per controllare lo stato della batteria o disabilitare l'ingresso di tensione quando il gruppo di continuità non è in uso.
Soluzioni parallelo come quelle di cui abbiamo discusso potrebbero rimanere in funzione anche per settimane senza che questo sia un problema.
Se qualcuno dei vantaggi di cui abbiamo parlato vi sembra interessante, allora non c'è alcun tipo di motivo perché i componenti non dobbiate procurarveli separatamente ed assemblarli solo in seguito.
Ad onor del vero, però, la soluzione custom non è mai la migliore, dal punto di vista delle prestazioni ed il rischio per la sttabilità del sistema al seppur minimo errore assume le sembianze di un deterrente davvero considerevole. La progettazione integrata è, quindi, certamente la soluzione migliore dal punto di vista della stabilità e della durata ma, come sempre nella vita, specie in quella di un ingegnere, la migliore soluzione è il compromesso e l'esperienza, ancora una volta, potrebbe essere l'elemento determinante per pendere l'ago della bilancia.
Ciao Vinnie,
benvenuto su Elettronica Open Source!
Come puoi notare, se leggi completamente l’articolo, la fonte è citata. Citiamo sempre la fonte. Forse è poco visibile per te? Comunque il link è in blu….
Inoltre, anche se il post è basato su un articolo inglese, quindi su una traduzione, direi che anche fosse soltanto una traduzione letteraria sarebbe comunque un valore aggiunto per chi magari non ha la padronanza dell’inglese al 100%.
Open Source significa anche poter fruire gratuitamente (anche a chi si firma con [email protected] ) di una traduzione che permette di comprendere appieno un testo, in questo caso abbastanza tecnico 😉
Ti ringrazio comunque della tua critica, cercheremo in futuro di evidenziare maggiormente il link alla fonte, con anchor-text migliori, ma tu evita di nasconderti nell’anonimato, noi ci mettiamo la faccia e dialogare con un omino anonimo è abbastanza triste….
Ciao “vinnie”,
innanzitutto, siccome non abbiamo il piacere di conoscerci, mi presento:
mi chiamo Pietro Boccadoro, sono l’autore di questo articolo e questo è
il mio nome di battesimo. 🙂
Lo preciso perchè mi piace l’idea di confrontarmi con le persone,
scambiando idee, commenti, opinioni o critiche in maniera aperta,
visibile, onesta e chiara. 😀
Mi accodo a quanto detto da Emanuele sul benvenuto in questa comunità: è
sempre un piacere poter interagire o dialogare con persone nuove e
questo blog vive anche e soprattutto della partecipazione attiva di
tutti noi/voi!
Detto questo, preferirei entrare nel merito del tuo commento,
analizzandolo parola per parola ma sarebbe troppo pedante, temo.
Pertanto, ci tengo a ribadire quanto sottolineato da Emanuele: la fonte è
citata e potrai facilmente verificare tu stesso che c’è.
Basterebbe aver letto questa frase:
“Le soluzioni DIY (ovvero Do It Yourself) sono sempre le migliori da un
certo punto di vista perché permettono di ottenere esattamente il
funzionamento che si desidera con dell’hardware che si conosce fin nel
più piccolo dettaglio.”
Tu stesso puoi verificare che “da un certo punto di vista” è un
hyperlink!!
Forse non è messo troppo in evidenza, in risalto, ma d’altronde potrai
verificare tu stesso che l’articolo NON è affatto una traduzione
letterale.
Si tratta di una mia personalissima opinione che traduce, spiega e
reinterpreta, in qualche misura, l’articolo che tu hai “scoperto” essere
il riferimento.
Molti dei miei articoli sono “tratti” o “liberamente ispirati” ad un
altro o a più altri…
Trovo importante, specie su un tema come un UPS DIY fornire punti di
vista diversi, poliedrici in qualche modo e questo articolo mi è
sembrato potesse essere interessante ed ho detto la mia.
Mi spiace se la scarsa evidenza del riferimento è stata fraintesa per
cui colgo l’occasione per ribadire che d’ora in poi staremo più attenti a
rendere esplicito come trattiamo un argomento.
Un ultimo appunto: capisco perfettamente la necessità dell’anonimato
quando si muovono critiche di questo tipo ma preferisco un confronto
equo e, pertanto, scusa se sembrerò arrogante, ma mi riesce comunque un
po’ difficile accettare critiche da chi utilizza come mail di
riferimento una come questa “[email protected]”.
A presto.
Piero Boccadoro.
buonasera,
scusate intanto la mia piu’ profonda ignoranza in materia, quindi se diro’ delle cavolate siate gentili 😉
Allora io mi ritrovo con un motore acque nere di cui sono al corrente solo delle seguenti cose:
Tensione 230V a 50 Hz
Potenza nominale P2 kW 0,60
intanto cosa si intende per potenza nominale quella effettiva max erogabile o quella media??? essendo un motore ha uno spunto X che non conosco, come lo calcolo?
leggendo qua’ e la’ e in modo molto semplificato trovo che gli ampere assorbiti sono uguali a kW / Tensione quindi faccio 600/230 ed ottengo 2,6 Ampere che dovrebbe essere il reale assorbimento.
A questo punto avendo a disposizione alcuni gruppo non piu’ utilizzabili controllo i loro dati e mi accordo di possedere un trust modello PW-4100T che mi riporta i seguenti dati di output:
Tensione 220-240V 50/60 Hz
3.6A 1Ø (se il simbolo non fosse visibile si tratta di uno zero tagliato)
1000VA/480W
ora se interpreto i dati giusti a parte il fatto che dovrebbe erogare solo 480W contro i 600 che servono a me, il resto andrebbe bene.
e qui la domanda sorge spontanea: ma posso portare i Watt da 480 a 600/650??? e’ un problema di batteria o di componentistica (ovviamente a me sembra piu’ un problema di componentistica che non reggerebbe il carico e si brucerebbe subito)
se quel che deduco e’ giusto ed io trovassi un gruppo che arrivi a magari facciamo 700W per starci comodi, potrei aprirlo e collegare, al posto della sua batteria, una (o anche 2 o 3 esterne) batteria deep-cycle a 12 o 24 in funzione della batteria originale (deve avere altre caratteristiche specifiche??) cosi da ottenere un controllo delle cariche (topping charge) ed un circuito protetto da sbalzi ed altro in ingresso ed una potenza di uscita costante e pulita.
a questo punto se non ho detto cavolate troppo grosse e non siete caduti dalle sedie per il troppo ridere vi chiedo un’altra cosa: quante batterie dovrei usare per avere una riserva di corrente che tenga il motore acceso per circa 1/2 ora? (situazione di pioggia forte con mancanza di corrente ed io a casa di amici)
altra domanda ma mi conviene comprare una batteria di ricambio ed ogni mese sostituirne una a rotazione per farla scaricare? oppure le collego tutte ed ogni mese ne tolgo una la faccio scaricare e la reinserisco
Possono stare in casa le batterie o faccio una nicchia all’esterno??
ps: ho preso in considerazione gruppi elettrogeni, ma con avviamento automatico per black out, mi e’ stato chiesto circa 1300 euro
grazie e resto in attesa di un Vs. cortese riscontro
Alex Caponetto
Rispondo a questo commento con un po’ di ritardo per due ragioni fondamentali delle quali la prima è che, devo confessarlo, mi era sfuggito questo commento. La seconda, invece, è che l’impegno di tutto lo staff per la partecipazione alla maker faire ci ha tenuti tutti abbastanza impegnati in questi giorni.
Quindi domando scusa per il ritardo.
Cerco di rispondere punto a punto innanzitutto precisando che la “profonda ignoranza” non è mai stata un problema. Siamo tutti qui per imparare e nessuno detiene la conoscenza assoluta! 😀
Del motore quello che viene riportato è una serie dei cosiddetti “dati di targa”.
Si tratta dei valori che caratterizzano un motore oppure una pompa e che vengono riportati allo scopo di facilitarne l’identificazione e la caratterizzazione.
In pratica su questi valori si effettua una scelta.
La “potenza nominale” rientra-in questa categoria. Si tratta del risultato tra il prodotto del valore efficace di pensione è quello di corrente in fase di funzionamento.
I valori efficaci sono quelli che bisogna considerare “validi”, quelli “veri”. Naturalmente il valore di potenza può variare a seconda del carico e della condizione di lavoro all’interno della quale ci si trova. In linea generale, però, non c’entra con quella media ma per l’appunto si tratta del valore efficace.
Per capirci, tutti diciamo che la tensione che arriva alle prese delle nostre abitazioni è “la 220”. Il valore nominale e 240 mentre il valore “vero” è proprio 220. Il valore efficace si calcola come la radice della media del quadrato sul periodo della funzione, per esempio, sinusoidale.
Questo è il modo in cui si definisce il valore rms (valore quadratico medio oppure root mean square).
Per quanto riguarda il calcolo della corrente, direi che è corretto. Il valore di riferimento è certamente 2.6 A.
C’è una differenza tra i valori indicati con VA e quelli indicati con W. La caratterizzazione in W identifica la potenza ma questo non corrisponde necessariamente con il risultato del prodotto tra una tensione ed una corrente quando di mezzo c’è un fattore di proporzionalità che è proprio il rendimento. Così, il prodotto può essere calcolato in una certa quantità ed un certo valore mentre il valore della potenza reattiva è calcolato in funzione di un certo coefficiente che indica quello che volgarmente si chiama il “palleggiamento” dell’energia. Se si tratta di tensioni e correnti continue si ha solo potenza attiva. Se sono alternate si ha una parte di potenza attiva ed una di potenza reattiva in base allo sfasamento delle sinusoidi.
Questo è uno dei motivi per cui va sempre controllato il carico in tutti gli impianti e l’adattamento di impedenza deve essere garantito.
La discrepanza tra i valori di potenza dipende semplicemente dal fatto che quel modello non è sufficiente a soddisfare le specifiche. Almeno fintantoché i dati che abbiamo sono questi.
Non è un problema “di batteria o di componentistica” si tratta proprio dell’elemento di cui stiamo parlando che è sottodimensionato.
Pertanto la conclusione sui 700 W è assolutamente giustissima.
Sono un po’ interdetto su questa domanda:
“quante batterie dovrei usare per avere una riserva di corrente che tenga il motore acceso per circa 1/2 ora? (situazione di pioggia forte con mancanza di corrente ed io a casa di amici)”
Cioè? Innanzitutto di che batterie staremmo parlando?
Comunque in linea generale le batterie che servono devono garantire una certa tensione, valore efficace come già detto in precedenza, e poi un certo valore di assorbimento di corrente, misurato in Ah (cioè ampere orari), che sia commisurato alla richiesta del sistema. Cioè in pratica deve essere un valore di potenza valutato in un’ora oppure in due ore oppure nel tempo specificato che sia concorde col fatto che bisogna mantenere sempre con valori di tensione nominale per garantire un assorbimento in potenza che sia 400, 700, 850, 1000 oppure di meno, a seconda delle richieste del sistema.
“altra domanda ma mi conviene comprare una batteria di ricambio ed ogni mese sostituirne una a rotazione per farla scaricare? oppure le collego tutte ed ogni mese ne tolgo una la faccio scaricare e la reinserisco”
Questa non l’ho capita… 🙂
“Possono stare in casa le batterie o faccio una nicchia all’esterno??”
A questa domanda la risposta dovrebbe semplicemente essere un fatto di prudenza… Qualunque accumulatore deve essere alloggiato opportunamente. Ad ogni modo comunque c’è da considerare che più lunghi sono i collegamenti maggiori sono le possibilità di perdite di carico perché semplicemente maggiore è la resistenza proposta dai collegamenti. Però dipende dagli impianti.
Un po’ come i primi impianti fotovoltaici che avevano gli accumulatori e quelli era il caso di tenerli il più isolati possibili da ogni genere di fonte di umidità e similari.
buonasera,
intanto grazie per la sua risposta e il suo tempo…
[Sono un po’ interdetto su questa domanda:
“quante batterie dovrei usare per avere una riserva di corrente che tenga il motore acceso per circa 1/2 ora? (situazione di pioggia forte con mancanza di corrente ed io a casa di amici)”]
partendo da quella presa da lei in esame, ovvero la Lifeline GPL-1300 con un assorbimento di 2,6A
link “http://www.batteryplex.com/lifeline.cfm/m/GPL-1300”
stando comodi quante ne servirebbero, esattamente che caratteristiche devono avere
voltaggio 12 o 24 in base alle originali del gruppo
un assorbimento max di 2,6A (se ho capito bene questa ha un assorbimento di 12A/orari, e’ esagerato?)
e poi cos’altro dovrei guardare, per trasformare questi dati in minuti di autonomia
[“altra domanda ma mi conviene comprare una batteria di ricambio ed ogni mese sostituirne una a rotazione per farla scaricare? oppure le collego tutte ed ogni mese ne tolgo una la faccio scaricare e la reinserisco”
Questa non l’ho capita… :)]
se devo usare piu’ batterie, e dovendo stare collegate ad un circuito che potrebbe entrare in funzione poche volte l’anno, non si rischia, come ad esempio nei gruppi di continuita’, che lo stesso tenda a durare molto meno nel tempo, il mio gruppo dopo un anno dura si e no 3-4 minuti, e’ il caso di staccarla ogni tanto e farla scaricare per poi rimetterla in carica?
[“Possono stare in casa le batterie o faccio una nicchia all’esterno??”
A questa domanda la risposta dovrebbe semplicemente essere un fatto di prudenza… Qualunque accumulatore deve essere alloggiato opportunamente. Ad ogni modo comunque c’è da considerare che più lunghi sono i collegamenti maggiori sono le possibilità di perdite di carico perché semplicemente maggiore è la resistenza proposta dai collegamenti. Però dipende dagli impianti.
Un po’ come i primi impianti fotovoltaici che avevano gli accumulatori e quelli era il caso di tenerli il più isolati possibili da ogni genere di fonte di umidità e similari.]
Potrei comprare un mobile da esterno, sigillarlo con del silicone ed alloggiarci le batterie, facendo dei buchi di aerazione sotto per evitare l’acqua piovana, potrebbe essere una soluzione valida? C’e’ bisogno di aerazione per questo tipo di batterie?
Il tempo è davvero tiranno…
Ma è solo questo il motivo del ritardo nella mia risposta 🙂
Cercherò di rispondere punto per punto.
La prima domanda certamente è la più importante:
“[…] e poi cos’altro dovrei guardare, per trasformare questi dati in minuti di autonomia”
Ecco, la tensione di una batteria, la sua capacità e così via dicendo non sono sufficienti a dare informazioni complete rispetto all’autonomia perché il problema della batteria è che fornisce l’alimentazione ad un sistema che ha condizioni di carico che magari possono essere variabili. Pertanto, se da un lato è fondamentale conoscere esattamente la batteria, dall’altro è indispensabile conoscere l’assorbimento del sistema.
In un sistema elettronico, tanto per fare un esempio, vengono caratterizzati sia la capacità della batteria sia i consumi del circuito nelle varie fasi di funzionamento.
Pertanto si definiscono I e T, ovvero correnti e periodi, sia per lo stato “run” (pieno carico) sia per lo stato “idle” sia per lo “stand-by”.
In questo modo si può provare a stimare la durata della batteria.
Quando, per esempio, si legge tra le specifiche dei telefoni cellulari “capacità della batteria 1350 mAh”, una persona di buon senso dovrebbe quanto meno arrossire. Si tratta chiaramente di una informazione inutile perché non viene per nulla identificato, invece, il grado di assorbimento dello stesso apparecchio nelle sue diverse condizioni di funzionamento.
E anche quando viene data con l’indicazione sommaria sull’autonomia, in termini di ore, si tratta chiaramente di informazioni incomplete ma tutto sommato in linea di massima vagamente indicative.
C’è da ammettere, comunque, che la resa reale di un sistema più che calcolata va testata…
Riguardo la questione
“se devo usare piu’ batterie, e dovendo stare collegate ad un circuito che potrebbe entrare in funzione poche volte l’anno, non si rischia, come ad esempio nei gruppi di continuita’, che lo stesso tenda a durare molto meno nel tempo, il mio gruppo dopo un anno dura si e no 3-4 minuti, e’ il caso di staccarla ogni tanto e farla scaricare per poi rimetterla in carica?”
La risposta è molto semplice: certo! Ma deve fare conto che le batterie per loro stessa natura del tempo si esauriscono sia nella loro capacità di ricaricarsi sia nella loro funzionalità. Sostanzialmente quello che succede è che la loro “capacità” si riduce drasticamente con i cicli di carica e scarica, soprattutto quelli non corretti, ma soprattutto con l’uso.
La mia personale opinione, ma certamente posso essere smentito, è che le batterie abbiano necessità di effettuare cicli di carica e scarica completi periodicamente per poter massimizzare la loro durata. E la cosa diventa tanto più importante quanto più passa il tempo, ovvero quanto maggiore è la loro età.
“Potrei comprare un mobile da esterno, sigillarlo con del silicone ed alloggiarci le batterie, facendo dei buchi di aerazione sotto per evitare l’acqua piovana, potrebbe essere una soluzione valida? C’e’ bisogno di aerazione per questo tipo di batterie?”
Sinceramente non saprei rispondere all’ultima domanda ma credo che ci sia una considerazione da fare prima di questo e cioè la necessità dell’ispezione: come tutti i componenti di qualunque sistema elettrico, anche queste avranno necessariamente bisogno di essere ispezionate periodicamente per controllarne quantomeno il funzionamento e questo dovrebbe suggerire la necessità di un alloggio “visitabile”.
Che sia naturalmente al riparo dalle intemperie 🙂
Credo e spero di aver risposto tutto ma in ogni caso resta a disposizione. 🙂
Salve,
ho una IPcam che vorrei alimentare con una batteria di backup nel caso che qualche male intenzionato volesse entrare a casa mia e staccare la luce. Lamia IPCam richiede una alimentazione di 5V e 1A, 4,5W (max).
L’alimentatore esterno ha due uscite, una sempre attiva in presenza di corrente Out1= 13,8V e 4,3A collegata all’ingresso di un DC/DC Input=12V e Output=5V, 3A e successivamente collegata alla IPCam.
L’uscita due dell’alimentatore Out2=13,4V e 0,5A alimenta la carica della batteria che interviene in caso di mancanza di corrente. I dati della batteria sono:
Voltage regulation:
Standby use= 13,5-13,8V; Cyclic use= 14,4-15V
Initial current= 1,8A max
Come avete capito, la batteria viene alimentata con l’ Out2, desidero sapere se la tensione e/o corrente sono dei valori corretti per alimentare e caricare una batteria da 12V oppure se è consigliabile modificare i valori di ingresso e come, in modo da avere una batteria più longeva
Grazie
Magari è possibile usare un LM317? Se si, come?