Nonostante vi sia in letteratura un'accesa disputa su quale delle due tecnologie sia la più efficiente, non è al momento possibile prendere una decisione indipendente dalla specifica applicazione. L’evoluzione dei CCD, arrivati ormai alla quarta generazione, è stata di pari passo contrastata da un aumento della sensibilità dei sensori CMOS che, ottimizzando l’architettura, hanno ridotto la loro rumorosità migliorando molto la loro qualità.
Possiamo fare un effettivo confronto tra le due tecnologie approfondendo le quattro operazioni fondamentali che comportano la vera e propria rivelazione delle immagini:
1-Generazione della carica
2-Separazione e raccolta della carica
3-Trasferimento della carica
4-Misura della carica
1)Generazione della carica:
La capacità del sensore di assorbire un fotone e di generare una coppia elettrone-lacuna per foto generazione è indicata con il termine: Efficienza Quantica (Q.E .). Un sensore ideale dovrebbe avere una Q.E. costante e pari al 100% per ogni lunghezza d’onda. Ciò significherebbe che ogni fotone incidente la superficie darebbe luogo alla generazione di una coppia libera elettrone-lacuna, ma com’è facilmente intuibile, ciò in realtà non avviene.
Le cause che degradano la Q.E. sono le perdite per assorbimento, riflessione e trasmissione. Gli array di CMOS manifestano una più alta perdita per assorbimento rispetto ai CCD visto che incorporano nella struttura fotosensibile i circuiti di uscita che sono otticamente inerti.
Ciò riduce il Fill Factor(F.F. ), ovvero l’area utile fotosensibile. I CCD, data la struttura, hanno un meccanismo di lettura che non necessita di circuiteria di trasporto delle cariche e quindi un F.F. intrinsecamente pari al 100%.
Nei CMOS viene combattuta la riduzione del F.F. con l’utilizzo di microlenti che collimano il fascio luminoso nelle zone di massimo assorbimento. Ciò, però, comporta la dipendenza della Q.E. dall’angolo di incidenza del fotone e dalla sua lunghezza d’onda. Nei CMOS e CCD “back side illuminated” l’illuminazione incide sul dispositivo in una zona attiva posta nel substrato comportando un aumento della superficie utile per la foto generazione. Il vantaggio di questa tecnica è stato immediatamente utile per i CCD visto che, unitamente all’utilizzo di opportuni strati antiriflesso, ha portato ad un aumento della Q.E. fino al 90% rispetto alla bassa efficienza dei CMOS che resta del 60% alla lunghezza d’onda di picco.
Entrambi i dispositivi manifestano una forte dipendenza, nell’operazione di generazione della carica, dalla temperatura. Infatti, con l’aumento della temperatura di esercizio aumentano le cariche generate per agitazione termica. Questo fenomeno che si manifesta anche in assenza di radiazione incidente, ovvero di segnale utile, è detto dark current.
Per combatterla si ricorre ad apparati di raffreddamento ad esempio del tipo a ventilazione forzata o sistema Peltier 2.
2)Separazione e memorizzazione della carica:
La seconda operazione eseguita da un generico sensore di immagine è la separazione delle coppie generate e la ritenzione della carica. I fattori che governano questo processo sono i seguenti:
1. Numero e dimensione dei pixel;
2. Numero massimo di cariche accumulabili o Full Well (FW);
3. La variazione di sensibilità tra pixel o Fixed Pattern Noise (FPN);
4. La capacità di non disperdere le cariche catturate all’interno della struttura o Charge Collection Efficiency (CCE).
Il numero di pixel attualmente disponibile è paragonabile per i due dispositivi e varia dai 128 ai 4048, con dimensioni del pixel che arrivano a 5 μm x 5 μm. I CMOS hanno una FW più profonda dei CCD ch4e riescono ad accumulare fino a 106 elettroni. La FPN è causata dalla non perfetta uguaglianza nelle caratteristiche geometriche e costruttive dei pixel che è causa, ad esempio, dei problemi noti come “Hot Pixel “ e “Cold Pixel “.
Entrambe le tecnologie manifestano una FPN paragonabile e che tipicamente tecniche software o hardware, in fase di misura, compensano quasi del tutto previa opportuna calibrazione. L’ultimo dei quattro parametri, la CCE, risulta essere critico e sfavorevole per i CMOS.
Le cariche accumulate, a causa della diffusione termica, possono disperdersi interagendo con le cariche del vicino pixel e quindi provocando il cosiddetto “pixel crosstalk “. I CCD hanno eccellentemente risolto questo problema utilizzando substrati di wafer ad alta resistenza e tensioni di pilotaggio elevate (anche 12 V).
I CMOS, invece, utilizzano basse tensioni di alimentazione e una tecnologia di fabbricazione del tutto identica a quella utilizzata per la produzione di memorie, relativamente giovane rispetto alla trentennale tecnica produttiva dei sensori CCD, nata ed ottimizzata per questo tipo di dispositivo. La profondità della “pozza di carica” rende l’immagine acquisita dai CMOS più profonda, rendendo più difficile la saturazione.
Nei CCD che hanno una FW più bassa si richiede la presenza dell’anti-blooming system che, con una circuiteria adatta, evita la saturazione ma limita la QE poiché tale circuiteria utilizza spazio utile per la fotogenerazione con conseguente diminuzione del FF .
3. Trasferimento della carica:
Nei CCD la carica è trasferita, in maniera seriale, da un pixel al successivo, con un meccanismo logico simile a quello utilizzato dai registri a scorrimento elettronici, fino a che è consegnata all’amplificatore di lettura esterno dallo shift register. Il parametro che caratterizza l’efficienza di questo trasferimento è la Charge Transfer Efficiency che in alcuni CCD per uso tecnico-scientifico, raggiunge il 99.9999% per singolo pixel trasferito.
Il meccanismo di trasferimento fa sì che l’ultimo pixel rispetto al primo, risenta maggiormente delle perdite di carica trasferita che, comunque, data l’efficienza del metodo, risultano trascurabili in molte applicazioni.
Al contrario i CMOS indirizzano direttamente vero l’amplificatore di uscita il valore della carica dopo averla amplificata con uno stadio intermedio. La diversità di questi amplificatori (guadagni non esattamente uguali tra loro), è il motivo che avvantaggia i CCD nelle applicazioni ad alta sensibilità.
4.Misura della carica:
Quest’ultimo aspetto sfavorisce nettamente, allo stato attuale della tecnologia, i sensori CMOS. Entrambe le tipologie di sensori utilizzano un amplificatore connesso con un condensatore per consegnare il segnale in uscita. Il risultato di avere un basso rumore di lettura si ottiene non solo diminuendo le dimensioni del condensatore in uscita, ma anche migliorando l’elettronica che elabora il segnale.
In realtà molti dei CMOS in commercio lavorano con amplificatori di uscita non retroazionati e ciò comporta un aumento del rumore di lettura. Un indicatore comunemente utilizzato per quantizzare l’entità del rumore di misura della carica foto generata è il dynamic range che rappresenta, in valori naturali o in decibels, il rapporto tra il massimo numero di cariche accumulabili, cioè la dimensione della FW, e il rumore di lettura.
L’informazione sul rapporto segnale rumore che si evince dal dynamic range è un utile indicatore della bontà del dispositivo ed è importante anche in sede di progetto degli apparati di lettura visto che può aiutare a scegliere, ad esempio, il giusto livello di quantizzazione dell’uscita.
Un altro problema relativo alla fase di misura e particolarmente sentito dai CMOS è causato dal non perfetto reset del condensatore di uscita che, alla successiva lettura, inficia il nuovo valore da rilevare. Il problema viene oggi risolto con la tecnica del Correlated Double Sample (CDS ), indifferentemente applicata sia ai CMOS che ai CCD.
Questa tecnica consiste nel campionare l’uscita subito dopo il reset per poi sottrarre il valore parassita dal segnale utile. Per i sensori CMOS-APS si utilizza anche la tecnica dell’Acitve Reset che fa uso di un’apposita circuiteria per il reset della capacità di uscita.
Conclusioni finali:
La conclusione a cui si arriva è che ciascuno dei sensori è ben lontano dal soppiantare del tutto l’altro e anzi si stima che per parecchio tempo le due tecnologie saranno complementari e utilizzate all’occorrenza in base all’applicazione.
I sostenitori dei sensori CCD scommettono sulla sensibilità e accuratezza della misura nelle applicazioni scientifiche. I sostenitori dei CMOS ritengono che il futuro sia nell’integrazione di sensore e circuiteria di lettura su un unico chip e quindi puntano su sensori di tecnologia CMOS ibridi come ad esempio i Thin Film on Asic in cui il sensore in film di silicio è integrato su una specifica applicazione circuitale in un unico cristallo di silicio.
Come scelta è molto difficile nella mia fotocamera reflex è montato in CMOS,perché reputato di migliore qualità,
inoltre altri fattori come la geometria e la disposizione di pixel colorati influiscano la qualità finale dell’immagine, se si pixel secondo la loro dimensione possono captare più meno luce cambiando moltissimo la qualità dell’immagine finale, infine anche questi parametri in teoria dovrebbero essere presi in conto quando si fa una scelta.
ovvio..tutti questi parametri vanno considerati su due sensori cmos e ccd a parità di pixel…comunque oggi i sensori cmos sono molto piu utilizzati nell’elettronica di consumo in quanto alla matrice di pixel puoi subito far seguire una primo circuito di elaborazione dell’immagine ..tt sullo stesso chip quindi piu low cost…i ccd invece vengono usati più in ambito di osservazioni nello spazio..
Della serie… “ma lo sapevate che” con i CCD ci hanno vinto un Nobel :
“Charge Coupled Device (2009): Willard S. Boyle e George E. Smith sono gli autori dell’invenzione e sviluppo dei CCD, tecnologia che trasforma pattern di luce in informazione digitale ed è la base per la moderna elaborazione digitale dell’immagine.”
entrambi di ..indovinate un pò..Bell Labs..attualmente sotto Alcatel-Lucent 😉