Articolo-intervista all'Arc-Team, un team di archeologi open-source-oriented. Discussione molto interessante, assolutamente da seguire, anche perché abbiamo un intervistatore d'eccezione!
Ciao Luca, vuoi innanzitutto spiegarci che cos'è ATOR (Arc-Team Open Research)? E da quali necessità è nata l'idea di un blog e di recente anche il gruppo su Facebook?
L'idea è nata nel 2008: erano alcuni anni che lavoravamo in archeologia con i FLOSS (circa dal 2002/2003) e questo percorso ci aveva portato ad avviare il progetto ArcheOS nel 2005.
Fino ad allora avevamo accumulato esperienza non solo nel condividere quello che per noi erano gli strumenti (i software), ma anche nel divulgare la conoscenza (il know-how) necessaria per utilizzarli (tramite un lavoro in comune con l'Università di Innsbruck, che è ancora un work in progress). Avevamo inoltre avviato alcuni progetti, basati su webgis, per condividere anche i dati di scavo.
Quello che volevamo fare era però condividere anche la nostra ricerca in ambito archeologico. L'idea ci sembrava buona e l'avevamo presentata durante l'ArcheoFOSS tenutosi a Padova nel 2008 (un workshop su archeologia e FLOSS che avevamo ideato nel 2005, assieme a Roberto Baganra, dell'Università di Parma, e Giancarlo Macchi-Janica, dell'Università di Siena). Purtroppo però per tre anni non abbiamo trovato un media adeguato: il sito internet era troppo statico e non permetteva un reale dialogo con la comunità, mentre avevamo una certa diffidenza per i social network. Così nel luglio 2011 ho deciso di provare con un blog e, per ora, mi sembra che questa soluzione funzioni: permette un dialogo con la comunità attraverso i commenti, scrivere un post è abbastanza veloce e riusciamo a condividere i risultati della nostra ricerca quasi in tempo reale (l'alternativa era aspettare di presentarli in un qualche convegno, con tempi tecnici di stampa molto lunghi). Altri vantaggi sono, secondo me, la larga diffusione che si raggiunge con pubblicazioni digitali (rispetto a quelle cartacee) ed il fatto che il testo digitale sia qualcosa di vivo (modificabile e aggiornabile nel tempo) rispetto ad un articolo stampato. Comunque ATOR ha funzionato bene dal punto della condivisione della ricerca e persone interessate alle stesse tematiche che trattavamo si sono fatte avanti, da prima con commenti ai post, fino a diventare autori come Cicero Moraes (artista di grafica3D) e Moreno Tiziani (Presidente Antrocom) . 
Quali sono i vostri progetti per il futuro? Continuerete a sperimentare sia sul profilo software che hardware?
Per quanto riguarda i progetti futuri, stiamo sperimentando su diversi fronti. Grazie alla collaborazione con il TIS di Bolzano dovremmo stampare in 3D il cranio di questi post:“Python Photogrammetry Toolbox (PPT) and a turntable for 3D objects” e “3D PDF for archaeology”. L'idea è quella di provare la ricostruzione cranio-facciale "tradizionale", modellando manualmente la muscolatura (ma dobbiamo ancora contattare gli esperti) per poi confrontare il risultato di questo lavoro con quello digitale. Se la qualità della stampa 3D sarà soddisfacente, probabilmente ci cimenteremo nel costruire una RepRap. Su un altro fronte stiamo lavorando sulla realtà aumentata (“Some funny experiments for ArcheOS Theodoric”) e probabilmente dovremmo costruire un prototipo per la fruizione di questa tecnologia, ma qui dobbiamo ancora iniziare col lavoro. 
Quando ci siamo conosciuti mi avevi accennato che avevate utilizzato anche dei droni radiocomandati dopo la vostra esperienza in Armenia.
Nel 2006, durante una campagna in Armenia (che seguiamo annualmente per conto dell'Università di Innsbruck), abbiamo avuto la possibilità di partecipare ad un progetto di archeologia aerea, per il quale il Ministero della Difesa Armeno ci aveva messo a disposizione un elicottero militare. Quell'anno ci siamo posti il problema di come poter affrontare progetti del genere senza un appoggio logistico esterno,che ovviamente non sempre ci sarebbe stato in futuro. Così, dopo una ricerca su internet, abbiamo deciso di concentrarci sugli UAV (Unmanned Aerial Vehicle) del tipo quadricottero.
Avevo individuato due progetti principali (entrambi rilasciati con GPL): il Paparazzi Project, che però al tempo era più orientato su velivoli del tipo di modelli di aeroplano, ed il progetto UAVP (che ora si è evoluto nel progetto UAVP-NG). Alla fine abbiamo optato per il secondo e l'abbiamo costruito con l'aiuto del creatore del progetto:Wolfgang Mahringer. Attualmente le cose si sono evolute molto in fretta.
Il primo drone che abbiamo costruito è ormai obsoleto: aveva una configurazione a croce che ormai non si usa più, essendo privilegiata una configurazione a "X". Abbiamo dunque provato altri velivoli, soprattutto quelli derivati dalla serie KK, sviluppati a partire da una scheda progettata da Rolf Bakke (aka Kaptain Kuk) che non ha posto copyright e che quindi è rilasciata in pubblico dominio.
In questo campo vorremmo provare prima o poi anche le ultimissime novità sull'auto-pilotaggio con GPS; una tecnica non nuova, ma che ora pare abbia raggiunto precisioni centimetriche (una trentina di centimetri). Se non ricordo male, gli UAV sono stati il primo argomento di elettronica open source a cui ci siamo avvicinati. Da molto tempo stiamo seguendo anche il tema della rapid prototyping, ma abbiamo aspettato a cimentarci con questo argomento perché inizialmente il livello di dettaglio che si raggiungeva con una RepRap non era sufficiente per noi. 
Avete intenzione di usare anche Arduino?
Sì, penso proprio che prima o poi ci servirà. Per ora credo che la prima cosa che proveremo a testare sarà l'arducopter, ma penso che prima proveremo l'autopilotaggio con GPS sui droni che abbiamo già.
Il kinect è stata una di quelle periferiche per X-Box che ha avuto un notevole successo anche in ambiti non ludici come ad esempio la diagnosi precoce dell'autismo. Lo avete mai impiegato?
Per quanto riguarda Kinect, lo stiamo valutando come mezzo di scansione rapida per i rilievi 3D sul campo. In realtà per questo argomento siamo già coperti sul lato software grazie alle applicazioni di Structure from Motion (SfM) e Image-Based Modeling. Insomma Kinect per noi sarebbe un'alternativa ad altri sistemi di documentazione 3D che abbiamo sperimentato (fotogrammetria, laserscan e ultimamente SfM e IBM). In base alla nostra esperienza è sempre utile conoscere più di una metodologia per fare la stessa cosa, anche per sapersi arrangiare in situazioni diverse. Ogni volta che iniziamo un nuovo cantiere sappiamo che avremo un certo numero di problematiche nuove che dovremo affrontare ed in questo l'esperienza conta fino ad un certo punto. 
Quindi adattarsi alle situazioni e avere una mentalità non troppo rigida è l'unica maniera per fare l'archeologo. Ovviamente pensare a più opzioni per fare la stessa cosa (ad esempio una documentazione 3D) e valutare quale sia la migliore in base alle circostanze è fondamentale.
Quando avete incominciato le prime prove con il Kinect?
Le sperimentazioni con Kinect sono iniziate quando hanno rilasciato i driver open source e sono nati alcuni software come RGBDemo.
Abbiamo testato per la prima volta questo software quando eravamo in Svezia (per tenere delle lezioni all'Università di Lund).
La compilazione sotto Linux è stata un po' dura, ma poi il mio collega (Alessandro Bezzi) ce l'ha fatta e abbiamo provato a scansionare la stanza dove dormivamo.
Il test era positivo, soprattutto perché per la prima volta avevamo uno strumento in grado di fare un 3D in tempo reale. Bastava muovere Kinect avanti e indietro sugli oggetti da registrare (come spennellando) e si vedeva comparire il 3D sul monitor (poi si poteva usare MeshLab per trasformare la nuvola di punti in una superficie e per fare tutte le normali operazioni di mesh editing). Avevamo però individuato alcuni punti deboli: rimanevano delle perplessità sull'effettiva capacità di documentare outdoor (per la luce solare) e la precisione ci sembrava inferiore a quella della tecnica basata su SfM/IBM.
Durante questo workshop abbiamo visto che Kinect aveva un'accuratezza piuttosto alta, sebbene controbilanciata da una scarsa precisione. Alcuni studiosi presenti al workshop (con cui abbiamo fatto dei test col nostro Kinect durante il coffe breack) ci hanno detto che l'errore medio ad una distanza dall'oggetto di 50 cm era di circa 1mm (una tolleranza più che accettabile in archeologia, quando si documentano strati, ovvero livelli di terreno diversi tra loro). Dunque siamo andati avanti con i test.
Avete “hackato” in qualche modo il Kinect?
L'ho modificato per lavorare outdoor. Si è trattato semplicemente di un piccolo "hack" per collegarlo ad una batteria al piombo da 12V e 7.2 Ah . Poi, con Kathrin Feistmantl (anche lei una collega di Arc-Team), ho provato a fare un primo test, in cui ho avuto la conferma che lo strumento non sembra ottimale per situazioni con luce solare diretta.
Comunque abbiamo fatto un ulteriore test durante un cantiere archeologico indoor (una chiesa) ed il risultato è stato abbastanza buono. La velocità di acquisizione dati è accettabile e si ha il vantaggio (non trascurabile) di vedere subito il risultato. Ora si tratta di aspettare che il software restituisca valori più precisi. Comunque allo stato attuale dei nostri studi, Kinect potrebbe diventare un'opzione interessante per la documentazione di scavi indoor e forse l'unica alternativa valida (se si eccettua il laserscan) per la documentazione di contesti legati al sottosuolo (caverne, gallerie, fortificazioni sotterranee legate alla I o II guerra mondiale).
Quest'ultimo campo di applicazioni è quello che più ci interessa, soprattutto in vista di applicazioni open source di tipo SLAM, che già esistono, ma dobbiamo ancora testare. 
Giorni fa discutevo con Moreno Tiziani (Presidente Antrocom) in che modo le “nuove tecnologie”, molte impiegate anche da voi, stiano cambiando l'archeologia, ma anche l'antropologia. Moreno mi faceva notare che in realtà s'insegna ancora la "vecchia scuola" di fare le cose, il che è corretto per l'analisi ed apprendimento di dove nasca un determinato problema, ma che in pochi descrivono le alternative ad esempio quelle da voi utilizzate. Puoi spiegarci brevemente come avviene il lavoro sul campo in modo da comprendere come impiegate la tecnologia.
Per quanto riguarda la nostra attività sul campo, le azioni, diciamo così, legate alla tecnologia riguardano essenzialmente la documentazione. Si tratta di un'operazione molto importante in archeologia perché purtroppo il principale mezzo conoscitivo dell'archeologo, cioè lo scavo, è un'azione essenzialmente distruttiva, quindi i vari strati di terra (dove sono registrate le tracce di azioni antropiche o naturali che siano), man mano che vengono scavati vengono distrutti, con la conseguenza che se la documentazione non è fatta bene, nessuno potrà verificare i dati che verranno presentati a fine scavo.  Diciamo comunque che le normali operazioni che facciamo (almeno in Arc-Team, visto che questi metodi non sono completamente accettati dalla vecchia scuola) sono le seguenti:
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Scavare lo strato, registrando la posizione di eventuali manufatti o ecofatti importanti tramite una stazione totale un GPS
- Pulire lo/gli strato/i sottostanti, posizionare dei target e fare foto zenitali per documentare tutto con un semplice photomapping 2D
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Utilizzare gli stessi target per la documentazione 3D con SfM/IBM
- rilevare con stazione totale o GPS i target
Questi dati in laboratorio vengono rielaborati come segue, tutto ovviamente in open source.
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I manufatti e gli ecofatti entrano direttamente in un database che poi verrà connesso nel GIS.
- I fotomosaici georeferenziati (photomapping) vengono elaborati tramite un sistema che abbiamo definito nel 2006 e che abbiamo chiamato metodo Aramus.
- Dal fotomosaico georeferenziato otteniamo (tramite GIS) un disegno vettoriale al quale è possibile associare un database.
I passaggi 2 e 3 sostituiscono il rilievo manuale (disegno) sul campo che è a nostro avviso dispendioso in termini di tempo e poco accurato (oltre che meno oggettivo di un rilievo fotogrammetrico 2D).
- elaboriamo con SfM/IBM e meshediting i dati in 3D, poi (nella migliore delle ipotesi) li inseriamo nel GIS.
Comparazione fra metodo classico ed Aramus
Anche se su quest'ultima operazione dobbiamo migliorare alcuni passaggi e riempire alcune lacune. Quest'ultimo punto ci sta portando verso veri e propri GIS quadrimensionali (x,y,z,t o se preferisci nord, est, altezza e tempo), che sarebbero una bella innovazione in archeologia. 
Andres Reyes
Integrational Mind Labs (Iml)
Coordinatore sezione Junior
http://integrationalmindlabs.it/
Come aderire:
http://integrationalmindlabs.it/iml-adesioni.html
Ho pubblicato con vero piacere questa intervista nella sezione 3 domande, anche se tre non sono, ma valeva la pena sicuramente approfondire l’argomento. La diffusione dell’open source è sempre cosa buona e giusta (ne discutevo solo pochi giorni fa con Giovanni Di Sirio) ci vorrebbero ora solo maggiori attenzioni da parte delle istituzioni, sia per adottare gli stessi (vincenti) metodi sia per tutelare le varie licenze, in particolare le copyleft.
Grazie Andres!
Il fatto è che troppo spesso la legge c’è ma è l’applicazione che manca. Un esmepio? Qui in Puglia la giunta Vendola, grazie al prezioso contributo di alcuni tecnici, ha approvato in materia di gestione della Pubblica Amministrazione un disegno di legge che prevede l’utilizzo dell’Open Source negli uffici e nelle scuole (leggasi anche università).
Perchè non si fa ancora?
Beh perchè adesso c’è da scrostare quella resistenza al cambiamento incartapecorita, che purtroppo si contorna anche della Apple che sta cercando di rientrare prepotenetemente nelle Università (come fece ai tempi di iMAC G3).
Se ci aggiungi che in tutto questo una università piena di ingegneri vede insegnare troppo spesso personaggi che hanno qualche perplessità perfino nel formattarsi il pc, beh… il quadro mi sembra chiaro 🙂
Colgo l’occasione per farti anche io i miei complimenti.
Bravo Andres.