Automazione e robotica per la pulizia degli oceani

bottiglia di plastica galleggia in mare e bottiglie di plastica sul fondo

Nel giro di sessant’anni la plastica si è diffusa nel mondo diventando un materiale primario nella produzione di molti beni di consumo. Al contempo, si è assistito a un allarmante incremento dell'inquinamento: sono milioni le tonnellate di rifiuti plastici che raggiungono il mare ogni anno, comportando gravi conseguenze per gli ecosistemi e gli organismi viventi, essere umano incluso. L'enorme portata del problema ha smosso numerosi studiosi, ricercatori e organizzazioni, che si adoperano per far fronte all’emergenza sperimentando diverse tecnologie per la pulizia dei mari. Robotica, automazione e intelligenza artificiale sono state impiegate per la realizzazione di modelli e prototipi capaci di identificare gli oggetti nell'ambiente, orientarsi e muoversi in autonomia, collezionare i rifiuti, sfruttare le correnti marine per la raccolta dei detriti e molto altro. Nell'articolo, vengono considerati alcuni progetti ed esperimenti effettuati per la pulizia degli oceani dalla plastica e da altri agenti inquinanti.

La storia della plastica comincia verso la metà del 1800 quando Alexander Parkes sviluppa e brevetta il primo materiale plastico semisintetico, il cosiddetto Parkesine (Xylonite), e arriva alla sua definitiva affermazione negli anni '60 del secolo scorso con l'introduzione nel commercio dei beni di consumo. Il difetto di questo materiale è che non essendo biodegradabile non può essere smaltito definitivamente. Inoltre, l’assenza di un’adeguata fase di raccolta e riciclo della plastica ha purtroppo permesso la sua dispersione nell’ambiente. La plastica rilasciata nell'ambiente non si degrada completamente ma, a causa degli agenti atmosferici, si frammenta fino a raggiungere dimensioni millimetriche (0,001 mm - 5 mm) rendendo praticamente impossibile controllarne la diffusione, specialmente quando raggiunge il mare. Sono milioni le tonnellate di microplastiche presenti negli oceani al giorno d’oggi. Oltre alla dispersione volontaria dei rifiuti, la problematica riguarda lo stesso sistema gestionale degli scarti: le acque reflue sono il canale principale attraverso cui microfibre e altri prodotti chimici raggiungono i mari. Una grande porzione delle microplastiche rilasciate (e di altri componenti nocivi quali creme, prodotti estetici, detersivi, ecc.) proviene dai sistemi di scarico delle acque reflue presenti nelle abitazioni; ogni lavaggio di tessuti, oltre all'uso di prodotti chimici, rilascia quantità di sostanze nocive nei mari. Fino a cinquant'anni fa (e spesso purtroppo ancora oggi, anche se non in via ufficiale), il mare veniva utilizzato apertamente come una discarica dove smaltire praticamente di tutto. La falsa percezione che le vaste dimensioni degli oceani potessero diluire sprechi e residui di ogni tipo fino a renderli innocui rappresentava il concetto su cui tali decisioni si basavano. Armi e contaminanti chimici, pesticidi, rifiuti radioattivi, petrolio, metalli pesanti e plastica di vario tipo venivano deliberatamente scaricate in mare. Ora, quei residui tornano spesso all'uomo tramite la catena alimentare: le microplastiche sono state rilevate in una vasta gamma di alimenti, nonché nell'acqua potabile e oramai nel nostro sangue. Gli impianti attuali di trattamento delle acque reflue non sono attrezzati alla completa rimozione delle microplastiche: la percentuale di microfibre e microplastiche che i sistemi di filtraggio delle acque reflue riescono a intercettare finiscono nei fanghi di depurazione, spesso impiegati per la fertilizzazione agricola (in UE).

Prototipi robotici per la pulizia degli oceani

Sono molti i progetti nati negli anni per far fronte al problema; vediamo dunque di seguito una serie di esempi di come ridurre l’impatto negativo della plastica attraverso l’impiego di tecnologie quali robotica, automazione e intelligenza artificiale.

drone subacqueo per la pulizia dei mari

Figura 1: Un drone subacqueo esplora i fondali marini

SeaClear, team di robot per la pulizia dei fondali marini

SeaClear (search, identification and collection of marine litter with autonomous robots) è un progetto Horizon 2020 nato con l'obiettivo di automatizzare la pulizia degli oceani. Le operazioni di recupero degli scarti dai fondali oceanici non sono semplici, se non in molti casi impossibili; è difficile riuscire ad agire in maniera efficace, considerando l’alta percentuale di detriti, la vastità e profondità degli oceani e l’impossibilità di raggiungere determinate zone. Automatizzare il processo di pulizia dei mari impiegando robot autonomi significa rompere alcune barriere, moltiplicare gli interventi possibili, riuscire a raggiungere zone altrimenti irraggiungibili. Il processo di ricerca e rilevamento dei rifiuti presenti nelle acque è stato automatizzato da SeaClear attraverso l'impiego di una squadra di robot autonomi specializzati e capaci di cooperazione:

    • SeaCat, sviluppato da SubseaTech, è un USV (Unmanned Surface Vehicle), si muove sulla superficie dell'acqua e ha il compito di esaminare i fondali attraverso l'impiego di un ecoscandaglio multifascio da cui ottiene una mappa batimetrica 3D dei fondali. Questa, viene utilizzata come mappa di riferimento sulla quale integrare in seguito i dati raccolti dagli altri robot relativi alla presenza di detriti. I rifiuti di dimensioni medio grandi (pneumatici per esempio), possono venire identificati dai dati batimetrici ed essere dunque già presenti nella mappa di riferimento. Il SeaCat svolge anche il ruolo di madre nave dell'intero sistema da cui gli altri robot partono e a cui ritornano; gli altri robot del team di pulizia comunicano con l'USV e ricevono alimentazione energetica da esso. I componenti AI e le risorse computazionali necessarie al rilevamento e controllo delle operazioni sono localizzati su SeaCat.
    • Se le acque sono sufficientemente trasparenti, non troppo profonde, viene impiegato un UAV (Unmanned Aerial Vehicle) con lo stesso scopo di rilevamento e localizzazione dei rifiuti. Il drone è un DJI Matrice M210 RTK modificato appositamente per permettere la connessione con SeaCat. Anche in questa fase sono i rifiuti di dimensioni maggiori che possono essere tracciati; le informazioni ricavate dal drone verranno poi trasferite agli altri robot del team. Tramite l'uso del drone è inoltre possibile indagare l'eventuale correlazione tra le isole di rifiuti presenti sulla superficie e i rifiuti depositati sui fondali. Nel caso di acque meno trasparenti il drone può comunque risultare utile: scansiona l'ambiente circostante per l’identificazione di eventuali ostacoli.
    • Un UUV (Unmanned Underwater Vehicle), sviluppato sempre da SubseaTech e chiamato miniTortuga, esplora i fondali effettuando scansioni più mirate, utili al rilevamento dei rifiuti di dimensioni inferiori. Provvisto di telecamera, sonar (forward looking sonar) e metal detector, il robot subacqueo identifica l'immondizia e ne registra la localizzazione sulla mappa di riferimento. Il riconoscimento dei rifiuti avviene attraverso l'utilizzo dell'AI e delle tecniche di deep learning per l'object detection; il robot dunque apprende la differenza tra organismi viventi e scarti da recuperare, evitando di danneggiare i primi.
    • Un ulteriore UUV denominato Tortuga e più grande di miniTortuga, diventa operativo nella fase successiva e ha il compito di collezionare i rifiuti precedentemente individuati tramite un gripper equipaggiato con un dispositivo di aspirazione che agevola la "cattura" dei rifiuti in circostanze complicate. Ogni rifiuto, prima di essere raccolto, viene riesaminato con accuratezza. I rifiuti collezionati da Tortuga vengono poi inseriti in un recipiente per il trasporto dell'immondizia su terra ferma. Il design di tale contenitore è stato sviluppato in modo da non permettere la fuoriuscita dei materiali raccolti ed è omologato per interfacciarsi in maniera ottimale con Tortuga; tale contenitore, inoltre, invia segnali all'UUV per aiutarlo ad auto-localizzarsi e a gestire le aperture per il trasferimento dei materiali dal gripper al contenitore.

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