Il vero pericolo di internet! L’uomo è ancora un animale sociale?

Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un articolo, pubblicato sul settimanale L'Espresso, in cui si affrontava il tema di come il nostro cervello, il nostro modo di ragionare, le nostre abitudini ma soprattutto il nostro modo di vivere vengano modificati per effetto dell'utilizzo di piattaforme adibite alla socializzazione. Si tratta di riflessioni che ritengo sia il caso che tutti troviamo il tempo di fare ed è per questo che vi propongo le mie.

Nella vita di tutti i giorni sarà certamente capitato a tutti di notare "l'impulso", talvolta quasi ancestrale, a controllare se ci è arrivata qualche nuova mail oppure se a qualcuno è piaciuto uno stato che abbiamo pubblicato su Facebook. Così come ci sarà certamente capitato di notare che, man mano che il tempo passa, questi controlli diventano sempre più frequenti fino, talvolta, in alcuni casi, a sfiorare la compulsività.
Ciò dipende dal fatto che entità come i social network, i motori di ricerca, i testi che ci permettono una lettura veloce ma anche le applicazioni multi-piattaforma, per esempio di messaggistica, hanno degli effetti sul nostro cervello che troppo spesso non siamo in grado di analizzare in maniera acritica ma che certamente si dimostrano presenti ed influenti nell'intero bilancio dell'equilibrio psichico che, come soggetto pensante, abbiamo la necessità di preservare.

Google e la ricerca automatizzata

Tutti noi ci saremo certamente accorti che dall'epoca in cui lo studio era faticosa ricerca tra polverosi scaffali di libri con pagine ingiallite che potessero suggerirci una risposta a domande poco "popolari", la ricerca e lo studio oggi si sono trasformati in brillante ticchettio di tastiere che freneticamente riempiono le caselle predisposte all'inserimento di testo dei motori di ricerca che sono in grado, entro al massimo mezzo secondo, di proporre una sfilza di risultati davvero senza pari.

Una mole di dati ingente, grazie alla quale siamo subito a conoscenza di tutto quello che conta su quell'argomento, ma anche di molta informazione connessa con cosa la gente pensa di quell'argomento. E questo, indipendentemente dal grado di competenza che queste persone dimostrano di avere sullo stesso. Non a caso, praticamente qualunque domanda facciate a Google, tra i primi risultati c'è Yahoo Answers. Per l'amor di Dio, è evidente a tutti che si tratti di una piattaforma piuttosto valida. Offre la risposta, quasi sempre giusta, a molte domande diversificate e suggerisce gli spunti dai quali partire per una grande quantità di dubbi che sembrano non poter trovare una soluzione.
Tuttavia, quella ricerca faticosa tra pagine impolverate aveva certamente non soltanto del fascino, un chè di folkloristico che nulla avrebbe di utile. Serviva ad imparare che la ricerca, quella con la "R" maiuscola, è il risultato di una maturazione dello spirito critico che deriva dal fatto che ci si è speso tanto tempo e che ci è voluta tanta fatica per arrivare a conoscere qualcosa.
Quello che abbiamo oggi a disposizione è uno strumento che ci permette di connetterci con tutta l'informazione "che conta" e con molta altra che, in realtà, diciamo semplicemente che conta un po' di meno.
Prendiamo il caso di una domanda tecnica che possiamo fare alla rete. Per esempio, supponiamo di voler sapere che cosa è necessario per formattare un computer. La domanda è molto chiara, è semplice. Tra i primissimi risultati, però, certamente, troveremo forum che parlano dell'argomento, è chiaro, ma che propongono una serie di commenti assolutamente inutili al fine di rispondere alla sua domanda. Quando chiedo "come si fa a formattare un computer", non voglio, in realtà, sapere che secondo l'utente tal-dei-tali chi gli ha dato la risposta (ammesso che sia quella corretta) per lui "è un dio! \_/". Vorrei soltanto sapere che funziona, perché magari, e se quella procedura è valida sempre. E se non è valida sempre, mi piacerebbe sapere perché.
Questo comincia a portar via un po' più di tempo e comincia ad assomigliare ad una vera ricerca.
Certo, in questo caso non ci sono libri ma c'è comunque, in pillole, l'idea che tutto quello che hai trovato non è "informazione" ma una mole indistinta di dati tra i quali dovrei cominciare a scegliere, maturando uno spirito critico che, prima, non avevi.
E questo ci porta un poco più vicino allo "star studiando".
A questo punto, potreste chiedermi, perché sono diversi se il punto di arrivo e comunque la maturazione della conoscenza critica? Effettivamente sembrano quasi equivalenti ma non lo sono e lo vedremo tra un attimo.

Il mondo dei social network

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Mediamente possediamo tre profili connessi a social network. Ed effettivamente c'è solo l'imbarazzo della scelta, tra Facebook, Twitter, LinkedIn, Google+ ecc ecc. Quello che gli studiosi stanno cercando di capire è se l'utilizzo di queste piattaforme sia effettivamente l'artefice di un cambiamento nel nostro modo di pensare, del modo in cui vengono attivate le aree diverse del cervello ed in che cosa noi siamo realmente più socievoli, o sociali, grazie all'utilizzo delle piattaforme di cui abbiamo fatto menzione.
La tesi è davvero interessante perché si tratta di un cambiamento progressivo, invisibile e, per giunta, inevitabile. Il funzionamento del cervello, benché praticamente ancora misterioso, è stato codificato secondo alcune linee guida per le quali le connessioni che si attivano, le aree che si atrofizzano, quelle che si sviluppano sono connesse, necessariamente, con quello che facciamo.

L'esperienza migliora la manualità? Certo, e questo è vero perché il cervello, la prima volta che compie un'azione, mappa (letteralmente) tutto quello che il corpo deve fare, tutte le reazioni che l'organismo deve avere a seconda dei vari stimoli che vengono ricevuti creando quella che tutti definiamo "esperienza". La manualità non è altro che la familiarità con un'operazione già compiuta diverse volte che, poiché si è tramutata in esperienza, può essere eseguita con più "destrezza".
Cosa c'entra con i social network? Bene consideriamo un esempio piuttosto semplice: è il compleanno di un vostro amico. Nella vita reale, le convenzioni sociali suggeriscono che sia il caso di inviargli un messaggio, piuttosto che di fargli una breve telefonata, o magari organizzare una festa, perché no. Sappiamo tutti, invece, come funziona su Facebook: le bacheche di persone più o meno vicine a noi si riempiono di improbabili ma sincerissimi messaggi di auguri, tutti deliziosamente uguali.
Eppure, tutti possiamo concordare che fare gli auguri ad un amico per il suo compleanno è un'esperienza piacevole.
Alcuni ricercatori inglesi hanno studiato quello che loro chiamano "effetto Facebook" sul cervello di un campione di 125 ragazzi tutti volontari. A questi sono state poste domande del tipo:

  • quanti nomi compaiono sulla tua agendina telefonica?
  • quante persone interessate ad una festa?
  • quanti legami hai mantenuto con i tuoi compagni di classe del liceo oppure dell'università?
  • quanti amici hai su Facebook?

Lo studio si è soffermato sull'osservazione del cervello dei volontari, grazie a tecniche di imaging tridimensionale ed i risultati hanno notato un notevole aumento della materia grigia nell'amigdala proprio nelle persone che dichiaravano di avere il maggior numero di amici inclusi all'interno della loro rete sociale. Questa regione il cervello, come i ricercatori hanno fatto notare, e quella predisposta alla gestione della memoria ma anche delle emozioni. Questo risultato indicherebbe in maniera chiara che l'utilizzo dei social network ha un effetto reale sul cervello di chi lo utilizza. D'altronde questo, in realtà, non basta perché la capacità sociale non è semplicemente memoria o reazione emotiva ad un singolo stimolo.
Quello che sarebbe interessante chiedere, magari allo stesso campione di volontari, sarebbe (stato):

  • a quante delle persone a cui fare gli auguri perché te lo suggerisce Facebook faresti gli auguri nella vita reale se li incontrassi per strada?
  • e se non li avessi incontrati per niente?
  • con quante persone della tua rete di contatti sei andato in giro a fare compere un giorno di ferie?
  • oltre alla data di compleanno di un tuo contatto, ricordi di aver parlato con un tuo "amico" di Facebook di qualcosa di personale che lo riguardasse?
  • qualcuno dei tuoi amici di Facebook conosce i dettagli, o almeno le linee guida, del tuo progetto di vita?

La paura è che ci sia un enorme pericolo di fraintendimenti in termini. Essere "amici", e non è certamente per voler spaccare il capello in quattro, vuol dire condividere se stessi con gli altri piuttosto che un avatar creato ad hoc.
Molte delle cose che diciamo e facciamo nei social network non avrebbero mai "corso" nella vita reale. L'utilizzo di uno schermo, e di un numero così ingente di interfacce, ci fa sentire inevitabilmente più protetti di quanto non lo siamo nella vita reale.

La domanda allora diventa: siamo davvero ancora così "sociali"?
Si tratta del segno che i tempi cambiano, e con essi anche il nostro modo di vivere, ma l'idea che sia necessario vivere in una società non è cambiata dai tempi di Rousseau. L'uomo è effettivamente un animale sociale, che necessita del contatto con altre persone e di organizzarsi in gruppi che vivano dei bisogni e delle necessità dei singoli per poter progredire insieme. Ma la condivisione delle proprie esigenze fatta grazie al Web, è davvero così autentica e trasparente?

Immagine tratta da: http://epspark.com/images/800/social-network-icons.jpg

I pericoli di internet

In questo quadro si inseriscono anche le risultanze di Betsy Sparrow, del Dipartimento di psicologia della Columbia University di New York. Sulla rivista "Science", ha pubblicato i risultati di uno studio che è stato condotto su un centinaio di studenti del campus. Secondo la ricercatrice, l'utilizzo di quella che lei definisce "memoria esterna", rende il cervello meno flessibile. Per esempio l'utilizzo di un computer all'interno del quale immagazzinare le informazioni, o magari di un'agenda per i più tradizionalisti, rende il cervello meno pronto a ricordare i nomi, date, concetti, fatti così come ricorrenze oppure "dati" più in generale. Sembrerebbe, quindi, che questo sia l'ennesimo esempio di rimbambimento a mezzo Internet. Questo effetto era già stato studiato in passato e ci si era accorti che l'utilizzo di un bloc-notes, piuttosto che di un'agenda, per memorizzare appuntamenti, date le ricorrenze rendeva effettivamente il cervello meno capace di ricordare quegli eventi ma più disponibile ad acquisire nuove informazioni. Una sorta di valvola di sfogo che crea un'espansione virtuale della nostra capacità di memorizzare. Su questo risultato, effettivamente, lo studio conclude che chi delega almeno in parte la propria memoria ad un supporto (comunque inteso) è effettivamente più disponibile (rispetto a chi non lo fa) a saper ritrovare su quel dispositivo le informazioni che ci ha inserito. Quindi, non si tratterebbe di essere rimbambiti da Internet o dalla tecnologia ma di modificare il nostro processo di memorizzazione, archiviazione e recupero dati in funzione degli strumenti che si hanno a disposizione oggi.

In favore della tesi sul "rimbambimento", però, ci sono gli esperimenti condotti dal direttore del Center for Neural Decision Marking della Temple University, Angelika Dimoka; lei ha verificato, chiedendo sempre ad un gruppo di volontari, le loro reazioni mentre prendevano parte ad un'asta. Scopo dell'esperimento era fornire ai partecipanti una serie di parametri e farli ragionare su quale sarebbe stato il miglior rapporto qualità-prezzo che fossero riusciti ad ottenere. La migliore combinazione di quei parametri al prezzo più basso, in particolare.

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All'aumentare del numero di parametri di cui i partecipanti dovranno tener conto, aumentava il numero di offerte sbagliate ed analizzando il loro cervello, grazie all'utilizzo di una risonanza magnetica funzionale, la ricercatrice si è accorta che man mano che il carico di informazioni, di cui dovevano tener conto, aumentava, l'attività della corteccia prefrontale dorso laterale aumentava. In quest'area vengono gestiti i processi decisionali ed avviene anche il controllo delle emozioni. Superata una certa quantità di informazioni di cui tener conto, però, l'effetto rilevato è stata una sorta di blackout. L'attività di quell'area subiva un drastico calo con l'aumentare dell'informazione, come se non si potesse più gestire quel numero di parametri così ingente. Taluni dei partecipanti hanno anche dimostrato segni di stanchezza mentale ed ansia.
I risultati di altri esperimenti condotti suggeriscono anche che la capacità di concentrarsi più a lungo nel tempo, o meglio, in maniera duratura su un unico compito, oppure su un'unica attività sta diminuendo drasticamente.
Alcuni di questi studi, già noti in passato, hanno animato tutta la teoria sulla quale si basa la struttura delle odierne riunioni di lavoro, preferibilmente organizzate in blocchi temporali della durata massima di 30 minuti, o delle puntate delle serie televisive, che, peraltro, devono necessariamente prestare il fianco anche ad esigenze di tipo pubblicitario.
Sembrerebbe, dunque, che non solo le caratteristiche del cervello ma anche gli stimoli che al cervello vengono forniti determinino il suo comportamento. Il rapporto causa-effetto non è chiaro né univoco né tantomeno unilaterale. Tutto quello che facciamo influenza la natura del cervello ed essa è in grado di plasmarsi per essere più ricettiva nei confronti degli stimoli.

Qualche riflessione in merito

Quello che dicevo dell'atteggiamento critico che bisogna avere nei confronti delle cose che si è ricercato, dei risultati ottenuti grazie all'utilizzo di un motore di ricerca, e di quello che io cerco di considerare valido o meno, rispondente alle mie esigenze o meno, è che se da un lato la comunità scientifica, prima di validare una teoria (e considerarla patrimonio delle conoscenze scientifiche che l'uomo ha maturato) impone verifiche stringenti e ferree, la comunità virtuale, quella che qualche comico da strapazzo titola come "la gente", è molto meno selettiva, molto meno critica e certamente più disposta a discutere anche tesi palesemente false. Il guaio è che chi non è preparato, chi non ha gli strumenti, chi cerca di farseli degli strumenti, rischia di non avere la coscienza critica sufficiente per accedere a questi strumenti e discernere cosa è affidabile e cosa non lo è.
Una tesi recente in tal senso è quella dell'americano Nicholas Carr, che riprende concetti all'epoca già elaborati da un teorico americano della comunicazione che tutti conosciamo, Marshall McLuahn. Egli sostiene che non soltanto i media modellano il processo del pensare nonché le nostre attitudini, ma lo fanno anche in maniera subdola, se volete sotterranea, rendendoci incapaci in una serie di abilità che hanno contraddistinto la nostra specie. La rete, secondo, Carr riesce proprio nel lavoro di mandare a monte la nostra capacità di concentrarsi o di prestare attenzione ad una cosa per volta per più di due minuti di fila.
C'è chi osserva che l'utilizzo di strumenti di comunicazione di questo tipo ha ridotto drasticamente le ore che tutti noi passiamo davanti alla televisione, mezzo di comunicazione certamente meno interattivo è di gran lunga meno stimolante. Altri fanno notare come il numero di persone che legge libri sia diminuito drasticamente ed a queste preoccupazioni qualcuno risponde che l'accattivante funzionalità dell'iPad nella lettura di un libro potrebbe certamente risolvere il problema.
Ma la vera domanda diventa: a quale prezzo?

 

Articolo liberamente ispirato a: "Come ci cambia Facebook" di Elisa Manacorda pubblicato su L'Espresso n.47 anno LVIII del 22 Novembre 2012.

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4 Commenti

  1. Avatar photo Boris L. 5 Gennaio 2013
  2. Avatar photo Emanuele 6 Gennaio 2013
  3. Avatar photo PsyGiuseppe 7 Gennaio 2013
  4. Avatar photo Piero Boccadoro 9 Gennaio 2013

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