Il transistor ha rivoluzionato la nostra vita. Con l'avvento dei semiconduttori hanno sostituito le valvole elettroniche, il che ha permesso la produzione, con dei costi molto contenuti e accessibili a tutti, di microprocessori a elevata capacita di calcolo e circuiti a bassa potenza che ci circondano ogni giorno, più la tecnologia avanza e più riusciamo a ridurre le dimensioni dei componenti, aumentando così il numero di componenti all’interno di un singolo chip. Ma cosa succede in realtà all'interno dei nostri package? Cosa è l'"effetto transistor"? Cerchiamo di capire come funzionano e come utilizzarli nei nostri circuiti.
Scopriamo come amplificare un segnale e alimentiamo i nostri attuatori per poterli collegare ai nostri microcontrollori preferiti.
Molti di noi, assidui frequentatori del blog, conoscono già questo componente e sanno come utilizzarlo, ed è per questo motivo che l'articolo è dedicato a chi si è avvicinato da poco all'elettronica o a chi utilizza molto le famose schede di prototipazione rapida fornite da Arduino ma si affida ciecamente alle shield o a moduli vari che integrano già diversi componenti pronti all'uso. Ma spesso, fa comodo realizzare dei moduli adatti alle nostre esigenze che calzino a pennello con l'implementazione desiderata e al programma scritto.
Cos'è un transistor?
Per definizione, esso è un tripolo e svolge la funzione di amplificatore di corrente, è un componente attivo, cioè, dandogli alimentazione è in grado di manipolare il segnale in ingresso per ottenere un'uscita ben precisa, ed è realizzato con materiali semiconduttori (fino agli anni '70 era molto utilizzato il germanio, soprattutto in campo musicale, ma con lo sviluppo delle tecniche di lavorazione del silicio divenne troppo obsoleto).
Più nello specifico analizziamo il transistor più comune, cioè il BJT (Bipolar Junction Transistor). È formato da tre zone di silicio opportunamente drogate (PNP o NPN) in modo da realizzare due giunzioni PN collegate.
Il processo di drogaggio avviene in fase di produzione, successiva a quella di raffinazione, dove viene introdotto nel materiale puro una impurità costituita da un materiale trivalente o pentavalente con una bassa concentrazione:
- per realizare una zona di tipo N viene immesso un materiale pentavalente come il fosforo che funge da donatore, fornendo il cristallo di silicio di un elettrone libero, e quindi si ha la prevalenza delle cariche negative;
- viceversa, per realizzare una zona di tipo P viene immesso un materiale trivalente come l'alluminio che funge da accettore, riceve un elettrone dal silicio lasciando libera una lacuna nel cristallo, e quindi si ha la prevalenza delle cariche positive.
La conducibilità del semiconduttore varia in base all'uniformità del drogaggio e anche dalla sua temperatura.
Ma perché ci interessa così tanto la struttura atomica, dove ci sono le lacune, e dove gli elettroni? Perché questo ci è utile a capire il comportamento delle cariche e i loro movimenti all'interno del materiale.
Per spiegare l'effetto transistor, o più in generale il comportamento del silicio, dobbiamo allontanarci dal verso convenzionale della corrente ma analizzare come realmente, chimicamente parlando, gli elettroni (-) si spostano verso le lacune (+).
Infatti le cariche della zona N tendono ad invadere quella della zona P, questo accumulo e spostamento delle cariche creano una barriera di potenziale detta "tensione di soglia" (VS), e solo quando viene applicata una tensione superiore rispetto alla barriera gli elettroni passano dalla banda di valenza a quella di conduzione e la giunzione entra in conduzione (fattore molto importante nei diodi).
Nel caso del silicio, la tensione di soglia è pari a circa 0,6V, mentre per il germanio è 0,2V.
L'effetto transistor
Come accennato prima, il BJT è formato da tre zone e in base alla combinazione si distinguono i tipi di transistor: NPN o PNP. Ogni zona ha un terminale che esce dal package, i due estremi sono chiamati COLLETTORE ed EMETTITORE, mentre quello centrale è detto BASE. (L'ordine puo variare in base al componente).
Le due zone estreme hanno una concentrazione elevata di drogaggio, mentre la zona centrale è molto sottile e debole.
Essendo formato da due giunzioni PN, il transistor può essere schematizzato in prima approssimazione con una coppia di diodi collegati "back-to-back" (questa schematizzazione ci è utile per testare l'integrità del BJT). Il funzionamento come amplificatore viene ottenuto polarizzando direttamente la giunzione base-emettitore e inversamente quella base-collettore (NPN: base positiva, collettore positivo, emettitore negativo; PNP: base negativa, collettore negativo, emettitore positivo). Prendendo il caso dell'NPN, nella giunzione polarizzata direttamente (BE) vi è flusso molto elevato di elettroni maggioritari tra la zona N e la zona P ma essendo la base troppo piccola, gli elettroni vanno a diffondersi nella zona di svuotamento tra BC (polarizzata inversamente) dove vi è gia presente una corrente di saturazione inversa ed è li che il campo elettrico (sul collettore) riesce a catturare questi elettroni che passano nella zona N successiva. Questo processo ci permette di avere una piccolissima corrente sulla base (uA) che controlla una elevata corrente sul collettore (mA/A). Per quanto riguarda il modello PNP avviene lo stesso processo ma la corrente circola nel senso opposto.
Caratteristiche del BJT
Tutto cio che dobbiamo conoscere riguardo al nostro componente, ci viene fornito dal produttore tramite il datasheet. Per esempio consideriamo il BC337 acquistabile dalla CONRAD e il suo datasheet
Il parametro fondamentale in un transistor è hFE , che indica il guadagno di corrente statico (nel caso di un amplificatore di segnale variabile, ci riferiamo a un guadagno dinamico, indicato con pedici minuscoli [hfe] ), ed è il rapporto tra Ic e IB, ci dice quante volte è più grande il valore di IC rispetto a IB.
hFE = IC / IB hfe = ΔIC / ΔIB
Di fondamentale importanza sono le curve caratteristiche del componente. Di solito viene utilizzato il circuito ad emettitore comune, quindi il BJT può essere visto come un quadripolo con ingresso BE e uscita CE. Entrambi presentano un andamento tra tensione e corrente ben preciso che ci aiutano a falo lavorare correttamente.
La curva caratteristica di ingresso è identica a quella di un diodo, dove notiamo la VS e l'andamento tra la tensione di ingresso VBE e la corrente IB per valori costanti di VCE.
Mentre la curva caratteristica di uscita mette in relazione la tensione di uscita VCE e la corrente IC per valori costanti di IB, su questo grafico si disinguono tre diverse zone:
- zona di interdizione (IB troppo bassa);
- zona di saturazione (IB molto alta, e al suo variare non corrispondono variazioni di IC);
- zona attiva (suddivisa in resistenza dinamica e zona lineare, dove le variazioni sono piu uniformi).
Nel caso di un utilizzo come ON-OFF, ci interessano saturazione e interdizione, mente in un amplificatore dobbiamo utilizzare la zona lineare per avere variazioni trascurabili e un hFE stabile.
Inoltre, abbiamo il valore di massima dissipazione di potenza, che disegna una iperbole che delinea la zona detta "safe operating area" (SOA), oltre la quale la giunzione si danneggerebbe irrimediabilmente. Più ci avviciniamo all'iperbole di massima dissipazione, più il componente tende a scaldarsi. Il valore di hFE è legato alla temperatura, e quindi all'aumentare del calore la giunzione conduce meglio e il valore di hFE continuerebbe ad aumentare, ciò si può notare dal grafico presente sul datasheet.
1. Valori massimi e minimi (hFE, tensioni e correnti); 2. Caratteristica di ingresso; 3. Caratteristica di uscita; 4. Variazioni di hFE in base alla temperatura
Polarizzazione e utilizzo del BJT come ON-OFF (switch o buffer)
Polarizzare significa fissare le tensioni e le correnti continue in modo da mandare in conduzione la giunzione BE e avere il punto di lavoro nella zona desiderata (zona lineare per un amplificatore, saturazione/interdizione per uno switch). Possiamo farlo attraverso la rete di accoppiamento formata da generatori e resistenze.
Il circuito piu semplice è quello a emettitore comune con resistenza di base e resistenza di carico:
Immagini da: "Elettrotecnica ed elettronica" - Zanichelli
Questo circuito è utilizzato per l'amplificazione di un segnale costante, come ad esempio l'output di una porta logica o di un microcontrollore (5V o 3,3V), quindi, è sconsigliato invece per l'amplificazione di segnali variabili per la sua scarsa stabilità dovuta a vari elementi esterni.
La resistenza di base impone al transistor una precisa corrente in ingresso che verrà moltiplicata per hFE volte sul collettore; ipotizzando che il nostro carico sia un relè come il Relè a inesto serie 40 Finder, sappiamo che la sua tensione di lavoro è intorno hai 12V e collegandolo con una breadboard o dei cavi all'alimentazione possiamo conoscere con precisione la corrente che circola nella bobina attraverso un multimetro digitale come il VOLTCRAFT VC135. Quel preciso relè, alimentato a 12V, nella bobina scorre una corrente di circa 54mA, quindi il generatore da inserire nella maglia dl'uscita deve essere pari a quella richiesta dal carico e di conseguenza dobbiamo scegliere un transistor che sopporti una VCE pari a 12V e una corrente sul collettore di 54mA. Il BC337 che abbiamo visto prima, analizzando il datasheet, può andare bene per il nostro utilizzo.
Sappiamo che il transistor che abbiamo scelto ha un valore di hFEmin pari a 100, quindi la nostra corrente di base sarà minimo IC/hFEmin ma per assicurarci una completa saturazione scegliamo un valore piu grande, ad esempio il doppio; quindi avremo una corrente di base pari a 1mA secondo la formula:
IB = 2 * ( IC / hFEmin )
Adesso abbiamo tutte le informazioni per calcolarci le resistenza di base della rete di accoppiamento tramite la legge di Ohm:
RB = Vi-VBE / IB [ RB = 5V-0,6V / 1mA = 4,4kΩ ]
Al posto della resistenza di carico il nostro relè con un opportuno diodo di ricircolo per scongiurare danni provocati dagli effetti induttivi.
Lo stesso circuito possiamo utilizzarlo per l'amplificazione di un segnale PWM per pilorare carichi maggiori o trasformarli in un segnale variabile a tensione maggiore tramite un filtro RC come illustrato nell'articolo "Come utilizzare la PWM per generare una tensione analogica nei circuiti digitali".
Per applicazioni dove abbiamo bisogno di una tensione estremamente precisa dobbiamo ricordare che quando il transistor è in saturazione la giunzione CE ha una tensione pari a 0,2V (se l'alimentazione è di 12V, in saturazione il carico riceverà 11,8V). Per quanto riguarda le variazioni molto veloci come quelle di un segnale PWM, dobbiamo tenere in considerazione i tempi tON e tOFF forniti dal produttore che indicano quanto tempo impiega il transistor per passare da interdizione a saturazione e viceversa.
Tutto perfetto. Solo una domanda: la VBE non è 0.7?
La Vbe non è altro che la tensione di soglia di una giunzione e la decisione di porla uguale a 0.6V non è stato altro che una scelta dello scrittore dell'articolo. Ricorda che la tensione di soglia non è altro che una tensione convenzionale oltre la quale si considera accesa una giunzione. Per il silicio solitamente questa tensione è compresa tra 0.5 e 0.7 .