Nel campo della geologia si tenta da anni di riuscire a prevedere i terremoti, ma i risultati ottenuti finora non sono ancora per niente soddisfacenti. Non solo la geologia ma anche l'ingegneria in tutti i suoi vasti campi, stanno impiegando risorse per far fronte a questa tematica. In una situazione di tale rischio poter contare su un sistema di allarme e prevenzione significherebbe poter prendere in tempo misure di sicurezza diminuendo la percentuale di danni e feriti. In questo articolo vedremo come si è evoluta negli anni la ricerca di un possibile sistema di allerta e prevenzione contro i terremoti, e se e come funzionerebbe se questo fosse possibile cercando di capire se è allora impossibile o solo particolarmente difficile da realizzare, proprio come stanno studiando al momento su un valido progetto chiamato ShakeAlert nella città di Seattle. Il progetto è stato sviluppato da un consorzio di istituzioni tra cui: California Geological Survey, California Institute of Technology, Berkeley Seismological Laboratory (University of California Berkeley), University of Washington, University of Oregon e Swiss Federal Institute of Technology in Zurich (ETHZ)
Introduzione
Attualmente gli studi sulla previsione dei terremoti dividono la comunità scientifica in due gruppi: uno studio probabilistico e uno studio deterministico. Il primo si basa sulla ricerca e prevenzione definendo il numero di probabilità che ha un evento di ripetersi in un dato intervallo di tempo. Il secondo studio, quello deterministico, vede protagonista la ricerca e definizione di segnali “premonitori” di un evento sismico sempre in una data finestra temporale.
La storia dello studio sulla previsione degli eventi sismici
Zhang Heng, un astronomo cinese, fu il primo a studiare le onde sismiche prodotte dai terremoti, o per meglio dire tentò di registrarle e riuscì nel suo intento grazie a un rudimentale sismoscopio che perfezionò nel 132 d.C. Fu da quel momento che iniziarono i veri studi sulla previsione dei terremoti e da allora si videro varie pubblicazioni, sperimentazioni, confronti e dibattiti al riguardo. Queste, solo nel 1970 con la verifica di alcune discipline scientifiche di Thomas Kuhn, vennero rimpiazzate con altre teorie e fonti più attendibili. Con “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” (The Structure of Scientific Revolutions, in lingua originale, del 1962) dello stesso Kuhn si ha l’introduzione del termine “paradigma”: il filosofo statunitense riferisce “con tale termine voglio indicare conquiste scientifiche universalmente riconosciute, le quali, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerca”; in poche parole definisce paradigma una struttura, anzi un modello, costruito e basato su un insieme di principi, concezioni sia naturali che scientifiche a cui ispirarsi durante il lavoro scientifico in una data epoca.
Nel campo delle scienze geologiche e della sismologia si è praticamente passati continuamente dalla costruzione e distruzione di vari paradigmi. Grazie a Chales Lyell si arriva a un nuovo paradigma, quello dell’attualismo, che in parole povere identificherebbe il presente come chiave di lettura del passato: brevemente, i fenomeni geologici [...]
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Anche questo argomento mi è tanto caro. Io abito in SIcilia e anche se essa è molto sismica, dove mi trovo io è a rischio zero.
Sicuramente esistono i metodi per prevedere gli eventi sismici e personalmente ne ho condotto qualcuno. Ovviamente, non trovandomi in prossimità di faglie attive, non è stato possibile verificare gli esperimenti. Ma prima o poi sarà sicuramente possibile prevedere i terremoti.
Quali studi hai condotto?
Ho realizzato un sensore ad alta impedenza e sensibilità con un operazionale a basso rumore e con una sorta di “antennino” all’ingresso.
Lo scopo era quello di captare eventuali segnali elettrici “prima” o “molto prima” degli eventi sismici, nelle immediate vicinanze. Essendo la mia zona lontana da faglie o da zone critiche, il dispositivo non ha mai dato segnali interessanti.
Sarebbe interessante installare qualche stazione proprio vicino le zone ad alto rischio. Penso comunque che l’emissione di energia elettrica sia possibile per eventi importanti M>5.