La rapida evoluzione dei sistemi di comunicazione radio, tradizionalmente implementati mediante dispositivi hardware, ha portato allo sviluppo di una serie di tecnologie che, da un lato, garantiscono lo sfruttamento ottimale della banda a disposizione, mentre dall'altro permettono di aumentare la flessibilità degli apparati, riducendone al contempo i costi di sviluppo ed implementazione. In particolare, il paradigma chiamato Software Defined Radio mira a trasferire, in parte o in toto, le funzionalità offerte dall'hardware al software, in maniera da semplificarne le procedure di aggiornamento, personalizzazione ed installazione. Questo approccio è già stato utilizzato in numerose applicazioni e sta conoscendo una sempre maggiore diffusione: in questo articolo ne daremo una breve panoramica, illustrandone i principi ed evidenziandone i vantaggi rispetto ai metodi tradizionali.
Introduzione
Il concetto cui, comunemente, associamo il termine "comunicazioni radio" è quello legato alla trasmissione, in broadcasting, di segnali audio. Questa associazione, però, è riduttiva: infatti, si possono definire come sistemi di comunicazione radio tutti i sistemi che operano in una parte ben precisa dello spettro elettromagnetico, chiamata radiofrequenza, che va dai 3 kHz ai 300 GHz: ciò comprende anche le reti cellulari, le WLAN che utilizziamo nelle nostre case, i segnali televisivi e molto altro ancora. Tradizionalmente, i sistemi di comunicazione radio sono implementati mediante dispositivi hardware, ognuno dei quali è in grado di svolgere una funzione ben determinata: questo, ovviamente, ne limita la flessibilità, dato che è possibile espanderne e modificarne le funzionalità solamente con interventi "fisici": di conseguenza, vi saranno costi maggiori qualora sia necessario aggiornare gli apparati, ad esempio per adattarli a nuovi standard.
Il concetto di Software Defined Radio (SDR), che introducemmo già qualche tempo fa, nasce quindi dalla necessità di dare maggiore configurabilità ai sistemi radio, rendendoli flessibili e quindi in grado di adattarsi a diverse tecnologie di trasmissione ed aggiornabili, senza dover necessariamente intervenire fisicamente per assicurare la conformità del sistema ai nuovi standard. Scopriamo insieme questo nuovo paradigma.
SDR Primer
La definizione formale di SDR è stata proposta dal Wireless Innovation Forum (WInnF): "Radio in which some or all of the physical layer functions are software defined". Questa definizione è abbastanza chiara: infatti, l'obiettivo che il SDR si pone è il superamento dei limiti dei tradizionali apparati di comunicazione, proponendo un'implementazione, anche ibrida hardware/software, che possa essere configurata mediante modifiche software, agendo sui programmi a livello applicativo (e quindi direttamente coinvolti nell'effettiva elaborazione dei segnali), sia sul firmware dei singoli apparati, che sono general purpose, e possono essere implementati su FPGA, DSP, SoC, o anche comuni PC.
In Figura 1 mostriamo l'architettura di una tipica SDR. Troviamo, da sinistra verso destra, un sistema di elaborazione general-purpose (in questo caso, un PC), dotato di un convertitore analogico-digitale (normalmente, una scheda audio), che è collegato direttamente ad un front-end RF, il quale a sua volta è a diretto contatto con l'antenna.
Per poter illustrare i singoli componenti dell'architettura di una SDR, ed in particolare l'ADC, è opportuno fare un breve richiamo a dei concetti basilari di teoria dei segnali. Per prima cosa, ricordiamo che, affinché il nostro processore sia in grado di elaborare i segnali provenienti dal canale di comunicazione, è necessario che questi siano in forma numerica. Per capirci, osserviamo la Figura 2 nella quale è mostrato lo schema di un sistema SDR che registra la voce acquisita dal microfono di uno smartphone, la inoltra ad un sistema di elaborazione e la restituisce allo smartphone affinché venga riprodotta dallo speaker interno.
Il sistema presentato in figura è, ovviamente, una versione semplificata di un sistema reale (ed, effettivamente, dalla dubbia utilità), ma è funzionale ai nostri scopi. Ricordiamo che la voce è composta da onde meccaniche, a differente pressione, generate dalle vibrazioni delle corde vocali. Il microfono dello smartphone "converte" l'onda incidente sulle sue membrane in un segnale elettrico che è ovviamente analogico (ossia assume un numero infinito di valori, sia nelle ampiezze, sia nel tempo: banalmente, è rappresentato come una funzione continua, dalla forma vagamente sinusoidale). Come già detto, dobbiamo convertire questo segnale in un formato che sia compatibile con l'apparato di comunicazione utilizzato, che può trasmettere una quantità finita di informazioni, e con il processore che effettua l'elaborazione del segnale, che soffre delle stesse limitazioni: effettueremo, quindi, una discretizzazione del segnale analogico, campionandolo nel tempo e quantizzandolo in ampiezza. Questo processo, chiamato conversione analogico/digitale, è effettuato da un convertitore analogico/digitale (ADC). Dopo che il segnale digitale è stato trasmesso ed elaborato, affinché la sequenza possa essere riprodotta dagli speaker dello smartphone, è necessaria l'operazione di conversione inversa, detta conversione digitale/analogica, effettuata da un dispositivo chiamato, evidentemente, convertitore digitale/analogico (DAC).
Torniamo all'architettura mostrata in Figura 1 e focalizziamoci brevemente sul front end RF, che rappresenta la componentistica elettronica che effettua una serie di pre-elaborazioni del segnale, tra le quali la più importante è quella di conversione da radiofrequenza a frequenza intermedia (IF), ossia ad un valore di frequenza normalmente più basso, alla quale il segnale viene filtrato per eliminare il rumore. Perché la conversione RF/IF è necessaria? Per capirlo, osserviamo la Figura 3, che esemplifica il concetto mostrando due sistemi di trasmissione radio, il primo con un'unica sorgente, il secondo con due sorgenti. [...]
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Nell’ articolo viene fatta un accenno alla tecnologia innovativa SDR per le comunicazioni radio. L’aspetto interessante di essa è che gli apparati radio possano essere configurati tramite software ma, non tutti allo stesso modo; ci sono infatti dei livelli di configurazione.
Per dare un approccio completo a questa tecnica, l’autore parte dalla definizione di trasmissione radio intesa in senso abbastanza generale per poi illustrare qualitativamente, come un segnale analogico possa essere acquisito ed elaborato. Sembra che l’autore abbia promesso di pubblicare approfondimento su questa nuova tecnologia. Sarebbe veramente interessante. Grazie. per questo bellissimo articolo.
Interessante,
per i miei studi e il lavoro che faccio sono da anni sul limite di frontiera che c’è tra l’hardware e il software; molte persone negli anni scorsi si specializzavano in un ambito o nell’altro e il dialogo tra le due categorie di esperti era difficile anche a causa di un linguaggio ostinatamente diverso. Oggi mi sembra che le cose stiano cambiando e questa ‘fusione’ dei due apsetti può essere indagata almeno mettendo in comune terminologie, intenti, clessificazione della portata degli interventi, prospettive; tutto quello che è stato trattato dall’autore in questo articolo mi pare sia assolutamente calzante con questo mio pensiero, quindi grazie.
Saluti.
Un mondo veramente interessante che non avevo mai esplorato ma del quale avevo sentito qualche accenno.
Da giovane avevo realizzato un mini trasmettitore radio che sfruttava una qualsiasi radiolina come ricevitore e permetteva di sentire quindi la propria voce alla radio. Robetta, ma eravamo già in tempi decisamente più avanzati rispetto alle radio dei miei genitori. A guardare questo argomento ci si rende conto degli ulteriori incredibili progressi compiuti.
Scartabellando un po’ su internet, vedo che esistono diverse implementazioni open, come questa (https://greatscottgadgets.com/hackrf/).
Ringrazio davvero l’autore dell’articolo per questa bella proposta e per l’esposizione chiara e dettagliata.
Al giorno d’oggi la tecnologia sta facendo passi da gigante in ambito di telecomunicazione, il tutto è molto interessante e sicuramente ad oggi non esisterebbero gli smartphone, però io penso che non bisogna dimenticare il passato e anche non abbandonare vecchie tecnologie.
Bisogna ricordare che in un sistema complesso in caso di emergenza o necessità ,la vecchia tecnologia può sempre essere utile.