
A tutti (o quasi) è nota la discutibilissima tendenza delle aziende italiane (e sembra che questo malcostume accomuni tutti i Paesi del Sud Europa) di ogni settore ad assumere principalmente, se non esclusivamente, individui giovani, ostacolando così il reinserimento nel mercato del lavoro di coloro che hanno oltrepassato una certa età, anche quando si tratta di persone con ottimi curricula. Personalmente, reputo questa discriminazione anagrafica totalmente illogica e priva di fondamento; è sconcertante che per le aziende essere giovani spesso conti più dell’esperienza e delle competenze. In ogni modo, volendo anche postulare che avere meno di trent’anni sia un pregio per chi si candida ad una posizione lavorativa, considerato che l’esperienza è inversamente proporzionale all’essere giovani, ritengo che sarebbe saggio chiedersi quale sia l’età ideale per trovare lavoro, ovvero l’età che realizzi il miglior compromesso giovinezza-esperienza. Per tentare di rispondere a questa domanda, ho provato ad usare la matematica e più precisamente la programmazione matematica, già trattata in tre articoli di ELETTRONICA OPEN SOURCE: Capire la programmazione lineare, La programmazione lineare e Un esempio di programmazione non lineare.
ATTENZIONE: quello che hai appena letto è solo un estratto, l'Articolo Tecnico completo è composto da ben 1647 parole ed è riservato agli ABBONATI. Con l'Abbonamento avrai anche accesso a tutti gli altri Articoli Tecnici che potrai leggere in formato PDF per un anno. ABBONATI ORA, è semplice e sicuro.

Ciao
vorrei aggiungere anche…
Piero scrive: Il lavoro è un fatto di coscienza, prima che una forma di emancipazione.
Sono pienamente d’accordo ma, non possiamo generalizzare perchè l’Italia è suddivisa (purtroppo) in Italia del nord e Italia del sud.
Al sud il lavoro è visto come una sorta di despotismo: vediamo dipendenti (i fortunati che hanno un lavoro) impegnati nel lavoro per 10-12 ore al giorno per sette giorni su sette e per avere uno stipendio da fame, conosco persone che prima di venire assunte sono state obbligate a firmare la loro lettera di licenziamento…
E’ chiaro che con questi presupposti ognuna di queste persone renderà non più del 20%.
Con questo non voglio giustificare nessuno ma, solo far presente una realtà diversa per ogni zona d’Italia
Ciao
Mario
Davvero molto interessante questo articolo. Complimenti!
Certo che voi siete veramente incredibili… Quando credo che abbiate già parlato di tutto, riuscite a tirare fuori un articolo completamente diverso.
Complimenti davvero.
Ora però vorrei fare delle osservazioni all’autore.
La prima è giusto una nota “polemica”. k com’è?! Reale? Intero?
Sei un matematico per cui mi sembra strano che non lo specifichi! (Scherzo, ovviamente)
no comunque, al di là degli scherzi, su k una domanda vera ce l’avrei: come fai a quantificare k? C’è la rilevanza per ogni impiego ma come la identifichi davvero? È soggettiva e dipende anche dal singolo esaminatore o piuttosto dipende dal lavoro in quanto tale.
Sei d’accordo?
Sono un po’ in dubbio sul paragrafo che va da “I casi 2” fino a “non più giovanissimi.”
Io non so se sia davvero così semplice. Cioè c’è una differenza tra giovani e meno giovani però tu hai ragione sulla discriminazione. Allora io vorrei capire da te tu come la interpreti? Cioè al posto di discriminare tu che faresti?
Alla fine discriminare vuol dire riconoscere in maniera critica che dividere, distinguere. Sono tutti sinonimi anche se discriminare indica qualcosa di cattivo e fatto quasi con rabbia. Non trovi?
Ti faccio i miei più sentiti complimenti per la minuzia e il dettaglio con cui sei riuscito a descrivere in termini matematici tutti i vari fattori da considerare per poter scegliere un lavoratore. Unico mio dubbio (o per lo meno un mio punto di vista) è che io credo che l’età vada messa con una relazione logaritmica nell’equazione, oppure vada aggiunto il parametro “maturità lavorativa”. Io penso che inizialmente un ragazzo inizi a lavorare con uno spirito da ragazzo, acquisendo poi una maturità lavorativa che prescinde dall’esperienza tecnica. Acquisizione di un certo metodo, comprensione dei tempi di lavoro, dell’interazione con gli altri, etc. sono tutti parametri che inizialmente salgono con grande rapidità, per poi assestarsi una volta raggiunta la propria maturità. Un altro parametro difficilmente valutabile è “passione per il lavoro”, ma come si misura??? Non credo che esista un “passioneperillavorometro” 🙂 !
Concordo a pieno con le conclusioni: non è possibile dare infine una valutazione davvero matematica. Ma soprattutto vedo come anche lo studio riportato sul comportamento delle aziende sia del tutto corrispondente alla realtà che ho potuto sperimentare io. Le aziende assumono giovani per risparmiare, ma poi (non tutte) pretendono competenze immediate perché con la crisi attuale la necessità di guadagnare tanto in breve tempo porta le aziende a valutare un investimento buono solo se porta profitto a breve termine, e soprattutto se è un investimento a basso costo.
Per Giorgio: in generale un’azienda dovrebbe scegliere ciò che porta maggior profitto nel breve e nel lungo termine. In questo momento il lungo termine richiede idee eccelse (non per tutti!) e/o grandi investimenti, cosa che pochi possono permettersi. Attualmente chi può permettersi di investire non sempre sono menti eccelse, ma sicuramente sono persone che hanno un po’ di soldi e “coraggio da vendere”. Ma non sempre questo è sufficiente, per cui “ciò che si dovrebbe fare” non è compatibile con “ciò che è possibile fare”. Discriminare non è necessariamente qualcosa di fatto con rabbia o con cattiveria, ma scegliere in base a dei fattori. La negatività del termine può essere nel fattore di discriminazione.
Ovviamente ciò è il mio punto di vista e la mia esperienza, le risposte che aspetti dall’autore te le darà lui 🙂
Dunque, qui mi sa che si può aprire una bella parentesi ed una bella discussione.
Vorrei dire prima di tutto che sono assolutamente d’accordo con la simpatica provocazione: un matematico deve essere in grado di specificare a quale campo numerico appartengono le variabili… 😀
Dai Marco, stiamo scherzando.
Tra l’altro si capisce perfettamente che si tratta di numeri reali positivi in cui anche lo zero ha poco senso, talvolta.
Il problema poi, se siano interi o reali, dipende dal fatto che coefficienti frazionari possono rendere i valori assoluti più piccoli ma non tolgono nulla al valore delle formule, specie per via del fatto che alla fine si tratterebbe di guardare il tutto in percentuale, nella peggiore delle ipotesi (se uno scrive 0.2 alla fine sta parlando del 20%…).
Comunque sono d’accordo anche sul fatto che k va articolata in maniera più precisa.
Chi sceglie quanto vale?
Non si può pretendere che ogni lavoro sia pesato da coefficienti che siano identici e pertanto le migliori qualità o le maggiori esperienze devono essere concepite in funzione del lavoro.
E qui forse il limite del tuo tentativo: tirar fuori una teoria matematica unificata per creare un modello che spieghi il tutto forse è un poco ardito come scopo però sono d’accordo con te: si può fare!
Perché alla fine si tratta soltanto di migliorare questi piccoli aspetti.
Per esempio l’esperienza posseduta rispetto all’esperienza richiesta deve essere pensata in funzione del grado di preparazione ma anche dell’importanza dell’azienda perché una grande azienda può permettersi anche di non scegliere persone che sono “troppo qualificate” per mantenere bassi i costi ma una piccola azienda, soprattutto se nascente, ha bisogno di tutte le competenze che può mettere insieme ed una persona se è molto più preparata di quanto richiesto in realtà dovrebbe rappresentare una ricchezza perché l’azienda piccola dovrebbe voler crescere bene e molto velocemente anche per cui acquisire una persona più competente di quanto non serva in quello specifico momento è vero che pone un problema di costi di gestione ma è anche vero che è un investimento per il futuro.
Ecco, a questo punto bisognerebbe capire se l’amministratore di questa società è in grado di fare un ragionamento di questo tipo.
Secondo me, visto che siamo in Italia, assolutamente no: la media non è capace di fare un ragionamento di questo tipo.
Tornerei, se non vi dispiace, anche su un altro punto e cioè quello di quel paragrafo.
Il valore di un lavoratore non è, in effetti, inversamente proporzionale alla sua età.
Anche perché un lavoratore, prima di essere un lavoratore, è una persona la quale, una volta tornata a casa, trova una determinata situazione, qualunque essa sia.
Se è giovane probabilmente vorrà farsi una famiglia e quindi avrà o cercherà un partner.
Se invece ha superato la mezza età probabilmente avrà una moglie e dei figli ai quali dovrà garantire un futuro.
Questo costa di più del sogno del giovane, sicuramente, ma il punto è che le aspettative e le speranze di vita sono condivise per quanto diversificate a seconda dell’età.
La domanda secondo me deve essere: ma è davvero legittimo che si discriminino le persone sulla base delle legittime aspettative e speranze di vita?
Perché secondo me stiamo parlando proprio di questo.
Ed in effetti, forse, se capisco bene lo spirito col quale scrivi, caro Marco, lo dici tu stesso, appena poco dopo: “non scenderebbero facilmente compromessi sul lavoro irregolare”.
Secondo me il problema è tutto qui!
La forza del ricatto che costringe le persone ad essere schiave oltre ogni più terribile scenario da loro immaginato.
E se vogliamo ritornare a crescere, come Paese, dovremo cercare di far capire a tutti quanti che la vera crisi sta proprio qui.
La crisi non è un fatto economico. Sì, è vero: esiste la speculazione, esiste un sistema che trasferisce ricchezza da molti a pochi e così via dicendo.
Ma la vera crisi sta nel fatto che ognuno di noi ogni giorno quando si alza la mattina non dà il 200 %.
Che si stanca, si permette il lusso di essere demotivato, non tratta il lavoro col giusto rispetto e così via dicendo.
E non certamente perché uno è “statale” lo fa di più di altri…
Il lavoro è un fatto di coscienza, prima che una forma di emancipazione.
Almeno, secondo me. 🙂
Sulla legittimità o meno mi permetterei di spezzare una lancia a favore di un’azienda che cerca di far funzionare le cose (premetto che per lo più sono filo-dipendente e non filo-aziendale! ).
Immagino che molte piccole e medie imprese, in questo particolare periodo, abbiano problemi economici, per cui si troveranno ad affrontare dei problemi che vogliono risolvere subito, seppur guardando al lungo periodo.
A quel punto un padrone “poco imprenditore” potrebbe dire: “Ho bisogno di un ingegnere, lo prendo neo-laureato, gli faccio un contrattino da 1000€, e mi risolve tutti i problemi”. Un imprenditore con un minimo di coscienza potrà invece pensare: “Vorrei un lavoratore sì giovane, con la grinta per poter prendere in mano una situazione e con un cervello abbastanza aperto ad apprendere e magari rinnovare dei metodi stantii, ma comunque abbastanza maturo ed esperto da poter fare in tempi piuttosto brevi ciò di cui ho bisogno”. Per cui direi che gli ultra 45-enni potrebbero essere esclusi non per incapacità, ma perché potrebbero (sottolineo e sottoscrivo l’uso del condizionale) non corrispondere alle necessità di cui l’azienda ha bisogno. In questo credo che un’azienda abbia buoni motivi per “discriminare”. Se poi invece succede che “ENEL assume 1500 giovani” sotto i 30 anni, allora sono sicuro che i motivi sono tutti riconducibili a minori costi e sgravi fiscali. A questo punto dico anche io: è legittimo? E’ legittimo considerare un ragazzo di 31, 33,36 anni “non più giovane” per trovare lavoro? E’ giusto che tra 1500 posti di lavoro non si possa trovare spazio per persone di tutte le età, anche se magari con un occhio di riguardo verso i più giovani?
E’ proprio vero, manca proprio l’amore per la persona all’interno del mondo del lavoro. E questo manca sia nel rapporto tra colleghi, sia nell’atteggiamento del datore di lavoro nei confronti del dipendente, sia nell’atteggiamento del dipendente verso il lavoro. Certamente non è così per tutti e ovunque, ma in gran parte delle realtà lavorative almeno 2 di questi 3 aspetti mancano.
Quando si cerca di scavalcare un collega, non lavorando meglio, ma utilizzando sistemi “scorretti”, si creano disagi e dissapori che non fanno bene all’azienda. Un imprenditore che maltratta o schiavizza o sottopaga (o una qualunque combinazione di queste tre cose) un dipendente non fa bene all’azienda. Un dipendente che non lavora con impegno e dedizione non fa bene all’azienda. E’ tutta questione di mancanza di amore e rispetto per se stessi e per gli altri.
Siamo in un periodo storico che richiede un cambio di mentalità generale.
Ma sono sicuro che qualcosa sta cambiando. Il cambiamento portato da Papa Francesco ne è l’esempio e contemporaneamente uno stimolo un più.
Ciao a tutti
Non posso leggere l’articolo perchè non sono abbonato, essendo senza lavoro anche un semplice abbonamento “pesa”.
Vorrei ugualmente “intrufolarmi” nel discorso per rispondere ad alcune frasi dei vari commenti:
Piero chiede: Chi sceglie quanto vale?
A questo posso affermare che la scelta è già stata fatta dai politici che forniscono incentivi SOLO per chi assume giovani, quindi hanno già deciso a priori che noi “vecchietti” dobbiamo andare a buttarci nella pattumiera (però nella raccolta differenziata hanno dimenticato di aggiungere la voce “vecchietti”).
E’ chiaro che, chi deve assumere, sceglierà la forma più economica ed assumerà solo giovani perchè otterrà i vari sgravi fiscali previsti.
Quoto Piero nella sua frase: La media non è capace di fare un ragionamento di questo tipo.
Come analogia vorrei portare l’esempio di una ditta che ho visto nascere due anni fa e, che ora è pronta per chiudere:
per approfittare degli sgravi fiscali, i due titolari, hanno deciso di assumere solo giovani alle prime armi (quindi stipendi molto bassi e primi sei mesi in nero). Questi ragazzi, non avendo esperienza, spendono in ricambi, molto più di quello che riesco a far guadagnare alla ditta, risultato: ditta prossima alla chiusura…
eppure bastava assumere un paio di persone esperte per guidare i giovani e tutto sarebbe andato alla grande (politici permettendo sempre…)
Ciao e scusate “l’intrusione”
Mario
Innanzitutto, grazie per i complimenti.
Anche se tu e Piero dite di scherzare, non è del tutto insensata la domanda sul coefficiente k. Mi sono limitato a dire che è > 0 e che quantifica la rilevanza dell’esperienza lavorativa. Ovviamente assume valori reali (non certo complessi), ma giustamente mi chiedete di che tipo (naturali, razionali, irrazionali) e a quale intervallo appartengono (non certo tutto il semiasse reale positivo, ossia da 0 a +infinito). Direi che k potrebbe assumere, ad es., valori interi > 0 e <= 10 proprio come i voti che si danno a scuola; oppure potremmo far variare k tra 0 e 1 e in tal caso ovviamente assumerà valori frazionari (naturalmente non avrebbe senso scomodare i numeri irrazionali, che hanno infinite cifre dopo la virgola) tipo 0,1, 0,5, 0,7 ecc.. Il problema vero comunque non è questo: semmai è come calcolare k. Ho detto che dipende innanzitutto dal posto in cui il candidato ha lavorato, e già qui si potrebbe aprire un dibattito: come si misura l'importanza di un'azienda? Dal suo fatturato? Dal numero dei suoi dipendenti? Dal numero delle sue sedi? Dalle dimensioni dei suoi edifici? Poi ho detto che dipende dai risultati ottenuti, e questo forse è più significativo del prestigio dell'azienda. Infatti cos'è meglio: aver lavorato alla Microsoft come normale programmatore oppure aver sviluppare in una società informatica piccolissima o anche per conto proprio un software rivoluzionario? Concludendo il discorso su k, non è affatto facile quantificarlo in una maniera che sia la più oggettiva possibile; bisognerebbe definire una procedura rigorosa che tenga conto di tutto ciò che ho detto e magari anche di altro. Ci si potrebbe scrivere un intero articolo solo su questo. Cosa farei io invece di discriminare? Ovviamente non discriminerei. Non ritengo minimamente sensata questa discriminazione. Non assumerei uno che non vale nulla solo perché è giovane e in quanto tale mi costa di meno e forse è anche più "manipolabile" di un lavoratore più anziano. Se non vale nulla assumerlo è solo un danno per l'azienda; chi se ne frega se assumerlo mi è costato di meno rispetto ad uno meno giovane. Come ha giustamente asserito Tiziano Pigliacelli, la discriminazione non è necessariamente dettata dalla cattiveria, dall'astio o dal razzismo.
Grazie per i complimenti.
Se ho capito bene, intendi dire che kx andrebbe sostituito con klnx o klogx? In tal caso, semmai, scriverei kln(x+1) dal momenmto che il logaritmo si annulla in 1, è < 0 per x < 1 e tende a -infinito per x che tende a 0. Ovviamente il mio pseudo modello matematico non è perfetto: non ingloba tutti i fattori, che sono molteplici e alcuni dei quali presumo sfuggano ad un'analisi di tipo matematico. Solo per fare un esempio, ci sono molti che appena entrano nel mondo del lavoro sono ambiziosi, grintosi, energici ed entusiasti; poi però scontrandosi con la dura realtà della vita, spesso non ottengono ciò a cui ambivano e/o incontrano più difficoltà di quante si aspettavano. Di conseguenza, diventano più disillusi, frustrati, demotivati e "mosci", e quindi meno efficienti. Neanch'io ho idea di come si possa misurare al passione che un candidato prova per la posizione lavorativa per cui si candida, però, come ho scritto nell'articolo, si può "misurare" l'attinenza del suo percorso formativo con quella posizione. Se ad es. per un posto da programmatore si presenta un laureato in lettere o giurisprudenza, c'è da aspettarsi che programmare non sia la sua più grande passione/ambizione.
sono assolutamente d’accordo con te: almeno qui in Italia (all’estero non so) sono in pochi a fare ragionamenti di questo tipo.
No Piero, non lo dico io, è emerso dal sondaggio di cui parlo nella parte finale dell’articolo. Non so dirti se corrisponda a verità, ma non mi sembra affatto improbabile: mi sembra abbastanza normale che i lavoratori maturi, quelli con diversi anni di esperienza alle spalle, siano più “tosti” dei novellini, più decisi a far valere i propri diritti.
Dai Piero, l’attuale crisi come fa a non essere economica? E poi non sono d’accordo quando dici che OGNUNO DI NOI non dà il massimo. Come fai a generalizzare? C’è chi da il massimo e chi non fa nulla dalla mattina alla sera, chi è più motivato e chi meno, chi è serio e competente e chi no, eccetera. E’ sempre stato e sarà sempre così, dappertutto.
Sì, hai capito bene, ln (x+1) secondo me è più adatto. Però tengo a precisare che, sebbene l’articolo sia bello, divertente, ben scritto e molto minuzioso nel modellizzare le capacità di una persona, credo fermamente che un’azienda non debba MAI pensare di poter rendere una persona come un numero. L’uomo ha un’anima che può modificare il suo rendimento da un momento all’altro. Io credo che l’azienda, ed in particolare chi si occupa di selezioni, debba essere svincolata da valutazioni tipo test psico-attitudinali, formulazioni matematiche, etc. Sono sicuro che un sano colloquio tra persone, in cui c’è interazione tra persone, sia la base per poter capire come sarà un possibile rapporto con quel lavoratore. Tra l’altro ci sono sempre 3 mesi di prova nei contatti per le valutazioni più approfondite.
Ovviamente il colloquio di lavoro rimane assolutamente imprescindibile, anche perché molta gente millanta conoscenze e competenze che non possiede.
Se ci pensi, una persona, più che un numero, “è” una funzione vettoriale del tempo. Infatti, ogni individuo ha un certo numero di caratteristiche/pregi/difetti (di cui l'(in)efficienza sul lavoro è una), ciascuna delle quali col tempo può migliorare, peggiorare o rimanere invariata.
Concordo, e tra tutte queste caratteristiche, che sono variabili nel tempo ma non solo a causa del tempo, ma anche in relazione a vari fattori, penso che un’azienda cercando di fare valutazioni matematiche potrebbe rischiare di incappare in una valutazione errata magari solo perché in quel particolare momento è la persona giusta (perché in quel momento la funzione vettoriale del tempo, non potendo essere valutata nel futuro, è valutabile come un numero, per cui uomo = numero), ma chi può dirlo per il domani(quale sarà il numero che la funzione tirerà fuori domani)? Infatti il mio dubbio su questo non ha nulla a che vedere su tutto ciò che dici, che davvero ho trovato interessante, ma è questo: vale la pena per un’azienda cercare di fare valutazioni minuziose, in cui inserire persone capaci di studiare nei minimi dettagli le capacità degli individui, magari spendendo molte risorse e molte ore lavoro, ma anche tempo utile, per fare una selezione?
In pratica la domanda può riassumersi in questo: siamo sicuri che il trascorso dell’individuo (il quale non necessariamente è noto all’azienda, ma dipende anche da quanto l’individuo sia in grado di “vendersi”) sia sufficiente per dire all’azienda come sarà l’individuo domani?
Si è trattato soltanto di un esercizio di pignoleria…
Almeno da parte mia, naturalmente. 🙂
Però so perfettamente che per un matematico non essere assolutamente preciso scrupoloso è una specie di onta da lavare col sangue, un conto che resterà in sospeso con egli stesso per molto tempo… 😀
Dai, scherzi a parte: facciamo sul serio perché mi sembra davvero un bel su questo.
Effettivamente non possono essere valori complessi perché altrimenti dovremmo tenere a mente anche il complesso coniugato che non ha senso dal momento che stiamo parlando di grandezze che non possono avere segno negativo.
Sinceramente non credo che cambi molto tra numeri naturali e frazionari proprio perché la normalizzazione, come dicevi anche tu, non perdere e non fa perdere informazione.
Sinceramente penso si potrebbero escludere i numeri razionali ed irrazionali.
Vuoi stabilire un massimo? Io non credo che sia il caso… E quindi anche la normalizzazione verrebbe meno… Se da un lato il vero, infatti, che la conoscenza è potenzialmente infinita ed è anche vero che è impossibile che un uomo sia capace di raggiungere la conoscenza completamente è anche vero, però, che ci sono persone largamente più preparate di altre e la normalizzazione rischia, se il range di valori non è sufficientemente ampio, di mortificare alcuni 🙂
Ma il problema vero, hai certamente ragione, è calcolare k.
Su questo, in realtà, dobbiamo davvero metterci d’accordo…
Certamente il fatturato è un parametro! Microsoft è infinitamente più importante di un qualunque piccola società che programma e che è nata ieri da una join venture tra uno studente non laureato di informatica ed uno che ha vinto 100€ al gratta e vinci.
Il numero dei dipendenti è una misura del successo dell’azienda ma soprattutto della sua capacità di gestire ed organizzare il personale e se tutti pensassimo di ragionare sempre così probabilmente licenziamenti sarebbero molti meno… 😉
Il numero delle sedi è un fatto abbastanza difficile da valutare perché bisognerebbe capire la sede che tipo di ruolo ha…
Potrebbe essere un impianto industriale completamente formato, completato ed in funzione piuttosto che una semplice sede commerciale e di rappresentanza e non sarebbe giusto che entrambe queste grandezze pensassero allo stesso modo… Non trovi?
Le dimensioni degli edifici non sono (DA SOLE!) un fatto rilevante perché esistono aziende che devono erogare semplicemente servizi, utenze e così via dicendo ed altre che invece devono produrre beni, lavorare con le materie prime per cui hanno bisogno certamente di capannoni di tipo industriale e non sarebbe giusto pensare che un’azienda di questo tipo debba necessariamente pensare di più perché potrebbe essere piccola ma avere già tutto quello che le serve per partire in grande stile…
Piuttosto valuterei direttamente il settore produttivo 😉
Effettivamente avete ragione tutti e due: la discriminazione non è semplicemente un fatto dovuto a sentimenti negativi. Un imprenditore tiene alla sua azienda e vuole che vada avanti ma per andare avanti ha bisogno di soldi… Magari quel dipendente che non vale, però, è il nipote del cugino del cognato dello zio del fratello di uno che conosce un tizio che abita nello stesso palazzo di un assessore che forse, se tutto dovesse andare bene, potrebbe essere tollerante rispetto al fatto che l’azienda non è ancora del tutto a norma o in regola ma che potrebbe diventarlo in tempi brevi e quindi forse sarebbe il caso di lasciarle fare nonostante tutto per non perdere una realtà produttiva che magari si candida ad essere forte su un territorio povero…
Mi spiego?
Giusto!
Anche perchè si tratta degli stessi test che dicono che se mi piacciono i fiori sono gay…!
E non è affatto una battuta, ahimè…
Fosse stata una generalizzazione fine a se stessa sarebbe sicuramente stata una cosa stupida.
Io credo che però non sia verosimile che tutti noi siamo così onesti nel raccontarci al mondo anche nell’essere critici nei nostri confronti rispetto alla nostra posizione lavorativa e a quello che facciamo…
Proprio per quello che si diceva prima, cioè che ogni uomo ha un’anima, e anche una coscienza, io sono convinto che le persone sappiano nel loro intimo e tengano per se stesse la verità rispetto a quanto hanno fatto per quanto avrebbero potuto fare.
Dopodiché se io chiamo un idraulico a casa per aggiustare una pompa di un impianto che gli spiego anche com’è fatto da telefono prima che lui arrivi, lui viene con otto ore di ritardo o si presenta il giorno dopo senza avvertirmi, mi chiede € 70 solo per essere venuto e poi mi dice che deve tornare dopo due settimane perché il pezzo da cambiare non ce l’ha e che prima di poterlo avere deve finire un altro lavoro da un’altra parte, che il lavoro verrà a costare € 480 quando io so perfettamente che la pompa ne costa soltanto 30…
Devo continuare?
Ovviamente non lo è, ma – altrettanto ovviamente – ci consente di farci un’idea, di fare qualche pronostico. Volendo fare un esempio un po’ estremo, se di un individuo si sa che ha trascorso la maggior parte della sua vita in galera, non occorre essere chiaroveggenti per poter asserire con certezza quasi assoluta che non verrà mai sottoposto ad un processo di beatificazione.
Perfettamente! 🙂
Ho la vaga impressione che tu non conosca la storia di San Paolo 😉
Aggiungerei che, secondo me, è vero quel che dici, cioè che noi tutti non diamo il 200% tutti i giorni, ma non necessariamente in mala fede. Se tutto noi fossimo Robot programmati, sarebbe diverso e daremo sempre il 100%. Ma ringraziando Dio non lo siamo e ci sono momenti in cui siamo in grado di dare il 200% e anche di più, ma altri in cui non rendiamo il massimo, anche perché abbiamo una vita al di fuori del lavoro che, a mio parere, conta molto di più. E ciò che viviamo non può non condizionarci in qualche modo, a chi più e a chi meno. Ed anche lo stesso ambiente lavorativo può condizionarci. È molto più stimolante lavorare con colleghi con cui si condivide la stessa passione per il lavoro, ad esempio. Oppure c’è chi lavora bene sotto pressione e ci invece lavora meglio se messo in condizioni di lavorare tranquillo. Potrei andare avanti per ore…
mi “intrufolo”anch’io,sono un vecchione ormai fuori “corso”,ma ho avuto occasione di seguire una scelta che mi ha un pò “spiazzato”.Una persona di circa 40 anni è stata assunta a tempo indeterminato e con stipendio ragionevole,in una piccola ditta specializzata per un lavoro totalmente diverso da quello che aveva fatto per 15 anni!
Al momento ho sospettato in un “pacco” …chissà cosa c’è “dietro”!
Beh,mi sto ricredendo!L’assunzione è stata fatta sulla base del “carattere” del personaggio,stimando che 1) aveva realmente molto interesse per il nuovo lavoro 2) che aveva una età ed una esperienza adeguata ad imparare quanto di nuovo era necessario alla ditta 3) forse anche perchè era stato stimato “sveglio” a sufficienza per adattarsi al nuovo ambiente ed al nuovo lavoro.
Insomma una specie di scommessa “ragionata”..
Mi sembra che definire una scelta simile con dei “k” o altre variabili matematiche sia molto difficile, poichè l’aspetto “umano” della scelta è preponderante!
Questo esempio che hai fatto dimostra che alcuni aspetti delle persone solo le persone possono riuscire a valutarli, e non attraverso espressioni matematiche ma attraverso caratteristiche che solo gli esseri umani possono avere. Ci sono degli aspetti umani che non sono stimabili: il famoso “sesto senso”, che poi è quello che ha avuto il datore di lavoro del tuo esempio, non è proprio possibile stimarlo attraverso espressioni matematiche. Probabilmente nessuna formula matematica, nessun piano economico strategico, nessun test psico-attitudinale avrebbe scelto quel lavoratore: e questo semplicemente perché valutare la voglia di svolgere un certo tipo di lavoro si può anche attraverso lo sguardo di una persona (i famosi “occhi di tigre” di Rocky Balboa … ), e magari se tutto il resto gioca contro si rischia di prendere un abbaglio.
Io, invece, non sono d’accordo! 😀
Credo che l’approccio debba essere inteso in senso statistico e non deterministico, cioè un singolo “esperimento” o caso non inficia la teoria. Se posso permettermi di parafrasare l’autore penso che l’articolo voglia solo mostrare come sia possibile modellare i legami tra comportamenti umani mediante il rigore di un ragionamento di tipo matematico (ed oggi le scienze sociali si basano proprio sull’approccio quantitativo/matematico).
Dopotutto l’articolo non esprime valori numerici e lascia le costanti “indeterminate”: è giusto dire che non è possibile conoscere i valori delle “k”, ma è vero che è possibile descrivere in maniera concisa, con una sola formula, delle valutazioni comunque qualitative ed arrivare ad una conclusione logica (l’illogicità di una discriminazione basata sull’età!). Volendo fare una battuta: nel tuo caso si potrebbe benissimo formulare un problema di ottimizzazione , dove le variabili non sono misurabili in senso fisico (“interesse al lavoro”, “capacità di apprendere”, ecc), ma comunque valutabili.
Geniale!!
🙂
Grazie.