Perché isolare i circuiti? In quali applicazioni è importante effettuare l’isolamento galvanico? Quali tecniche bisogna utilizzare per isolare due circuiti? Queste e altre domande troveranno ora risposta.
L’isolamento elettrico, o isolamento galvanico, è la condizione per cui tra due punti a differente potenziale non ha luogo una circolazione di corrente continua. Più precisamente, non è possibile lo spostamento dei portatori di carica da un punto all’altro, mentre l’energia elettrica (o un segnale) può ancora essere scambiata mediante altri fenomeni fisici, come l’induzione elettromagnetica, l‘accoppiamento capacitivo o la luce. Tale condizione è equivalente a una resistenza elettrica infinita tra i due punti, anche se in pratica è sufficiente una resistenza del l’ordine dei 100 megaohm. Si tratta di una separazione elettrica tra due circuiti, se tra essi non può circolare alcuna corrente continua (detta anche galvanica). In teoria ciò si verifica quando la relativa resistenza di isolamento che li separa è infinita. Nella pratica, il limite di tale resistenza ammonta a 100 megaohm. Praticamente i due circuiti non sono collegati tra loro da conduttori metallici (ad esempio fili di rame). Quando i due circuiti sono galvanicamente isolati, le seguenti componenti elettriche sono bloccate e non passano attraverso il circuito:
» corrente continua;
» correnti di frequenza molto bassa (50 Hz);
» le armoniche più significative del segnale, spesso causa di disturbo in ambiente industriale.
Scopo dell’isolamento galvanico L’isolamento galvanico ha sostanzialmente due obiettivi principali che sono la funzionalità e la sicurezza. Dal punto di vista funzionale esso permette il funzionamento distaccato e separato dei circuiti di misura e di trasmissione dei segnali (master) da quelli di acquisizione (slave), che possono in questo modo avere riferimenti di tensione indipendenti. In questa maniera si evita la formazione di anelli di massa che possono disturbare il circuito. Infatti in uno strumento di misura si isola la parte digitale da quella di misura per ridurre il rumore. Dal punto di vista della sicurezza l’isolamento galvanico protegge circuiti e persone da tensioni elevate tra il circuito di ingresso e quello di uscita, dovute a guasti o sovratensioni di origine atmosferica. In una macchina elettrica si isola la parte di controllo dalla parte di potenza per proteggerla da sbalzi di tensione che potrebbero distruggere i circuiti digitali. Negli amplificatori di isolamento le tecniche per ottenere l’isolamento galvanico sono principalmente due: l’accoppiamento con trasformatore e l’accoppiamento ottico. Esiste anche una terza opzione più economica ma molto meno affidabile che utilizza un condensatore. L’isolamento migliore è quello che si ottiene utilizzando un trasformatore nel quale l’amplificatore è suddiviso in tre parti (alimentazione, ingresso, uscita), tutte accoppiate tra loro mediante trasformatori interni. Per quanto riguarda l‘isolamento ottico, esso è ottenuto utilizzando i fotoaccoppiatori, che sono formati da diodi LED e da fototransistor.
I metodi utilizzati
Allo stato attuale esistono due metodi principali per effettuare l’isolamento galvanico:
» isolamento tramite campo magnetico (trasformatore);
» isolamento tramite luce (fotoaccoppiatore).
Di ognuno di essi esamineremo le caratteristiche e le particolarità, evidenziandone gli aspetti positivi e quelli negativi.
Isolamento tramite campo magnetico (trasformatore)
Grazie alla separazione fisica tra primario e secondario, l’isolamento galvanico è garantito poiché il segnale transita solo per via induttiva. Le scelte della metodologia utilizzata e del trasformatore spaziano su tre possibili alternative:
» trasformatore in linearità;
» trasformatore saturato;
» trasformatore modulato.
Trasformatore in linearità
Con questa tecnica la corrente continua non deve scorrere sul primario e l’integrale della tensione del primario deve essere sempre minore di k, quest’ultimo determinato dal tipo di trasformatore:
Questo tipo di soluzione permette di ottenere una tensione di uscita con valore medio nullo nonché maggiore di quella di ingresso. Nello schema di figura 1 è proposta una soluzione di principio nella quale il condensatore concorre a ottenere un valore medio nullo mentre gli Zener proteggono il PowerMos da inevitabili extratensioni. Esiste il vincolo per cui il duty cycle dell’impulso deve essere pari al 50% perché il valore medio dell’uscita è nullo.
Trasformatore saturato
Permettendo la saturazione del nucleo del trasformatore, all’uscita del secondario troviamo dei picchi di tensione in corrispondenza delle transizioni sul primario. Tali picchi si utilizzano per caricare o scaricare il gate del Mos. Nello schema di figura 2 il diodo di M2 con duce caricando il gate di M1 in corrispondenza di impulsi positivi, mentre in presenza di impulsi negativi M2 conduce scaricando il gate. Per questa soluzione occorre scegliere il valore del condensatore sufficientemente grande in modo tale da permettere la saturazione, inoltre il trasformatore deve essere capace di saturarsi molto velocemente.
Trasformatore modulato
Per questa soluzione si deve modulare il segnale di comando con una portante RF. Per questa applicazione si deve scegliere un trasformatore abbastanza ridotto per permettere un’alta frequenza di modulazione. Il condensatore consente di annullare il valore medio della tensione d’ingresso e la resistenza sul gate del Mos lo scarica in assenza di portante. Con questa tecnica esistono sostanzialmente alcune limitazioni concernenti il periodo di accensione e spegnimento, nonché la presenza di un ritardo di attuazione dovuto alla presenza del filtro passa-basso. Di contro le buone performance consigliano l’utilizzo della modulazione, infatti con questa soluzione è possibile trasferire fino a 100 Mbit/s di dati e di ottenere un isolamento di 500 V.
Isolamento ottico (fotoaccoppiatore)
Questo metodo utilizza la luce per trasmettere i dati in assenza di collegamento elettrico diretto. Con questa tecnica è possibile di inviare informazioni senza modulare il segnale (come invece avviene con l’induzione magnetica). Esistono due tipologie di componenti:
» fotoaccoppiatore;
» isolatore fotovoltaico.
Il fotoaccoppiatore
Il fotoaccoppiatore è un componente incapsulato formato da un piccolo diodo LED e da un fototransistor, posti a una minima distanza tale che il primo possa illuminare il secondo. I due componenti sono elettricamente isolati. Quando il diodo LED si illumina e la sua luce colpisce il fototransistor, si genera una corrente di base che porta in saturazione il transistor. Esso può in questo modo pilotare i carichi presenti a valle senza interferire sull’ingresso. In commercio esistono fotoaccoppiatori molto evoluti che permettono di generare valide tensioni TTL. Contengono infatti opportuni driver di generazione logica. Uno dei parametri principali di valutazione di un fotoaccoppiatore è il CTR (Current Transfer Ratio = rapporto di trasferimento di corrente) che esprime, in percentuale, il rapporto tra la corrente che scorre sul diodo LED e la corrente di collettore del fototransistor. E’ paragonabile al beta di un normale transistor. Esso non è un dato che garantisce la valutazione ottimale, in quanto cambia molto facilmente con la temperatura e con l’età del componente. Il fotoaccoppiatore presenta alcuni svantaggi dal momento che generalmente è un componente lento, in cui il tempo di commutazione supera facilmente i 10 us. Esistono comunque alcuni modelli, più costosi, il cui tempo di attesa scende anche a 1 us; inoltre il tempo necessario allo spegnimento è maggiore di quello di accensione, in quanto le cariche accumulate attorno alla regione di base impiegano molto tempo per la loro eliminazione.
Isolatore fotovoltaico
E’ costituito da uno o più LED accoppiati otticamente a una serie di fotodiodi usati come generatori fotovoltaici. I fotodiodi, quando illuminati, producono una tensione di 5 V o 10 V con correnti di 1040 µA. E’ quindi spesso necessario amplificare tale corrente per permetterne il pilotaggio di ulteriori dispositivi digitali o analogici. Possiedono inoltre alcuni aspetti interessanti, non richiedono infatti alcuna alimentazione sull’uscita, si possono considerare quasi dei componenti passivi. Sono capaci anche di pilotare direttamente un MOS, ma data la bassa corrente generata implicano una commutazione molto lenta. Esistono in commercio dei relay fotovoltaici che prevedono anche la presenza di un PowerMos e che quindi possono pilotare carichi robusti.
La sicurezza
Le apparecchiature elettriche ed elettroniche utilizzate in ambienti medici e ospedalieri necessitano, dato il loro particolare utilizzo, di standard di sicurezza molto elevati e rigorosi. I trasformatori dedicati alle applicazioni elettromedicali devono soddisfare al massimo i requisiti normativi di qualità e sicurezza secondo alcuni standard:
» i trasformatori di isolamento per alimentazione di siti medicali devono possedere una tensione di alimentazione massima pari a 1000 Vac, tensione di uscita massima inferiore pari a 250 Vac, frequenza inferiore a 500 Hz, la potenza compresa tra 3 kVA e 10 kVA, monofase o polifase;
» tali trasformatori di alimentazione devono essere adeguatamente protetti contro il sovraccarico (protetti per costruzione, protetti non per costruzione o a prova di guasto), gli avvolgimenti devono essere adeguatamente isolati in modo da limitare la corrente di dispersione entro i valori normativi imposti attraverso l’eventuale introduzione di particolari schermature elettrostatiche fra gli isolamenti dei vari avvolgimenti per aumentare l’isolamento galvanico;
» molta attenzione è rivolta alle differenze fra le apparecchiature che vengono a contatto in misura differente con il paziente (Patient care equipment oppure Non-patient care equipment). Ancora una volta sono stabiliti con precisione i valori massimi della corrente di dispersione, dell’isolamento galvanico, delle protezioni di sicurezza, l’autoestinguenza e i circuiti necessari per eseguire tali prove. I trasformatori per applicazioni elettromedicali hanno caratteristiche molto differenti rispetto ai trasformatori di impiego generico, e le aziende hanno l’obbligo di realizzare e collaudare tali oggetti indispensabili per realizzare quelle apparecchiature di controllo, diagnosi e cura fondamentali per la nostra salute.
Ho realizzato spesso degli optoisolatori, usando un diodo Led e una fotoresistenza, e incapsulati all’interno di un contenitore nero.
Bellissimo articolo, semplice e chiaro. Aggiungo che tra gli isolatori a luce non ci sono solo i fotoaccoppiatori classici (nella forma più semplice e comune composti da un LED e un fototransistor) ma anche i più recenti basati su fibre ottiche (dunque sempre una sorgente luminosa ma questa volta laser e un elemento sensibile alla luce) che garantiscono distanze di isolamento più elevate proprio grazie all’utilizzo della fibra ottica.