I misteri del nostro cervello e le sue nebbie sono argomenti sui quali da tempo ci interroghiamo e, con queste, le domande si moltiplicano velocemente non appena si tenta di far luce sulla chimica che sta dietro le emozioni od i pensieri. Ciò nonostante, il cervello resta l'ultima frontiera e l'idea di realizzare un cervello artificiale resta in piedi e tiene banco. D'altronde, per dirla con le parole di Emerson M. Pugh, “Se il cervello umano fosse stato così semplice che fosse stato possibile per noi capirlo, noi saremmo stati così semplici che non lo avremmo capito.”
Sembra un po' la proverbiale situazione del cane che si morde la coda, in verità. Nel corso della sua storia, l'uomo ha cercato di chiarire tutti i misteri che lo hanno riguardato: dalla fisica alla tecnica. Dal ciclo dell'acqua alla microbiologia. Uno degli orizzonti che ancora, però, resta inesplorato è il cervello. Il suo funzionamento, la sua meccaniche, le sue dinamiche intricatissime restano tuttora un mistero.
Un'altra della attività che l'uomo trova affascinante, è indubitabilmente, quella di imitare o ricreare ciò di cui padroneggia il funzionamento o il principio base. Ecco come nascono, oggi, e perché si svilupperanno sempre più reti neurali e similari.
Dalla fervida immaginazione degli scenografi più arditi, inoltre, son nati film epocali (chi non ha visto Matrix?!) che hanno dato un'idea di cosa sarebbe capace di fare un'intelligenza artificiale e noi tutti oggi ci chiediamo: ma come sarebbe un cervello artificiale?
Gli studi, finora, in materia hanno portato risultati davvero interessanti riguardo quella che va sotto il nome di “computational theory of mind”; essa spiega come il cervello lavora allo stesso modo di un computer, ovvero preleva informazioni dal mondo esterno, le elabora applicando algoritmi comunque complessi al fine di trasformare il “segnale” in un output. Quest'ultimo può esser dato sotto forma di stato mentale o emotivo, di azione o di reazione. In altre parole, ci si indirizza al cervello come un processore di informazioni in cui la mente non è altro che il sistema operativo che permette all'hardware di eseguire operazioni.
È sotto gli occhi di tutti, comunque, che questa definizione è piuttosto ardita, se non palesemente errata, non foss'altro per una questione cronologica. Essa, infatti, parte dal presupposto che sia possibile effettuare un paragone diretto tra il cervello ed una macchina, assumendo che sia la seconda a preesistere.
Secondo alcuni sostenitori della teoria in oggetto, “se all'attività del cervello si guarda come ad una funzione che può essere matematicamente calcolata, allora dovrebbe essere possibile effettuare questi conti su un computer”. E ancora, una falsa dicotomia proposta è: “se credi che ci sia qualcosa di mistico o <<vitale>> nella capacità cognitiva dell'uomo, allora ci stai credendo troppo”.
Si tratta di una specie di gioco al quale gli “adepti” della teoria partecipano senza troppa coscienza del fatto che questo è tutt'altro che un gioco. Infatti, l'assunto di base è che la teoria computazionale della mente si propone come alternativa alla metodologia per la quale esiste un elemento soprannaturale oppure un elemento antagonista (che dia luogo ad una logica dualistica). Il che è buffo perché la teoria in sé non fa eccezione a questo paradigma, dimostrandosi, nei fatti, dualistica anch'essa.
Alla base di tutto, infatti, vi è il fatto che la mente sia distinta dal cervello, come strati differenziati non indipendenti né tanto meno incorrelati.
In antitesi, però, una teoria totalmente non dualistica che parli della mente avrebbe bisogno di partire da un assunto per il quale mente e cervello coincidono. Essendo la stessa cosa, però, vien meno, o forse vien solo mortificata, la distinzione ovvia che sussiste tra intelletto come complesso delle reazioni biochimiche che ne determinano altre, emotive e non, e complessa struttura biologica.
Ciò non implicherebbe necessariamente che il cervello umano sia impossibile da “realizzare” in maniera artificiale; si tratterebbe solo di una questione di programmazione, il che rassomiglierebbe molto a ciò che fa un programmatore di sistemi embedded o uno smanettone che progetta software per pc nel tempo libero.
Inoltre, vorrebbe dire che l'hardware del quale si è dotati non è di grande rilevanza perché sarebbe semplicemente uno “specchio” di quanto già in dotazione presso il cervello.
Ciò rappresenta un notevole grado di complicazione perché la cifra dei neuroni che si è in grado di implementare in una rete neurale al momento o in un modello di cervello artificiale dovrebbe almeno toccare quota 1 miliardo ma non si è ancora, come dicevamo in apertura, capaci di caratterizzare completamente il funzionamento e le interazioni tra 300 neuroni veri.. come si può pensare di simulare 10^13 neuroni??
Nello studio di questa materia ci si accorge presto di diversi aspetti di grande interesse; la prima cosa è che lo stesso cervello non ha una struttura simile ad una macchina di Turing. Ne discenderebbe che già la sua definizione di assimilazione al pc non sarebbe teoricamente accettabile (a voler essere pignoli). Infatti, si tratta di una rete di processori che lavorano in parallelo o di una serie di nodi neurali che non è comunque comparabile con una rete qualsiasi. Si tratta di una struttura di interconnessioni che può cambiare nel tempo anche per effetto di stimoli esterni, il che è del tutto assolutamente incompatibile con la naturale evoluzione di una macchina classicamente intesa.
Anche i processi cognitivi e la libera associazione di idee svolgono nella realtà di tutti gli esseri umani ruoli che certamente non sono assolutamente propri di un personal computer, a meno di una nuova programmazione (che comunque non sarebbe risolutiva nel caso di una limitazione hardware e, quindi, strutturale).
La dissonanza cognitiva, ad esempio, è l'abilità che la mente ha di credere a cose che possono anche essere evidentemente errate. È possibile, e non è necessariamente vero che trattasi di “semplici malfunzionamenti”, che questo processo interagisca con la “polarizzazione cognitiva”, ovvero l'abilità connessa con lo “scoprire” o ricercare prove che siano conformi alle teorie o che semplicemente le "calzino", ignorando anche i processi di dissonanza cognitiva.
Nessuno dei due aspetti del cervello è semplice da spiegare attraverso operazioni di computazione, e quindi da modellare.
La domanda, che deve venire in mente allora, è: ma è possibile esprimere tutto questo attraverso la matematica?
Una matematico direbbe certamente di si. D'altronde a rigore ha ragione: la matematica è un linguaggio. Se lo si può esprimere a parole, perché dovrebbe essere difficile esprimerlo a simboli? Pur tuttavia queste difficoltà restano.
Anche perché a questo punto si innesta un altro grande problema: le abilità non sono divisibili in aree precostituite. La “circuiteria” neurale è sviluppata in logica fuzzy e da un punto di vista relativo all'hardware, è certamente non ottimale. Differentemente da quanto accade per le porte logiche, le differenti regioni del cervello lavorano attraverso l'interazione diretta tra le aree limitrofe e non solo, in una sinfonia di scambi di correnti ioniche che a tutto assomiglia meno che a un partizionamento arido e rigido.
Se le porzioni del cervello che noi consideriamo associate all'essere Umano - non solo l'intelligenza ma la consapevolezza di sé - sono proprietà notevoli del cervello, piuttosto che quelle meramente funzionali come sembra probabile, la teoria computazionale della mente diventa ancor più debole. Basti pensare alla coscienza e alla volontà come il risultato dall'attività di miliardi di connessioni neurali, simili a come un'economia nazionale è il risultato di miliardi di transazioni differenti. Non è una perfetta analogia ma potrebbe rendere il concetto che sottende alla complessità. Per molti aspetti, la struttura di un'economia nazionale è più semplice di quella del cervello e nonostante il fatto che si tratti di una proposta molto più strettamente matematica, è incredibilmente difficile da modellare con qualsiasi tipo di precisione.
La mente si comprende meglio, a dispetto di quanto accade con un software, ma piuttosto se la si considera una proprietà del cervello. Quindi, la costruzione di un intelligenza artificiale con lo stesso livello di complessità di quella umana non è un problema di ricerca di algoritmi da mettere insieme, perché il cervello è molto più complicato di così. Da ciò discende anche la probabilità che non sia semplicemente riconducibile a quel tipo di approccio, almeno non più di quanto non lo siano i sistemi economici (e la crisi degli ultimi anni dimostra univocamente come il sistema economico non possa essere trattato con tanta approssimazione!).
In ultimo, si può capire perché diventa un fine di tanta gravosità produrre una intelligenza al livello di quella di un essere umano. E' possibile costruire computer in grado di imparare e risolvere problemi complessi ma risulta molto meno chiaro se c'è una strada facile che conduca ad un computer dotato del tipo di proprietà che caratterizzano il cervello umano.
Ed ora, a voi: che cosa ne dite?
É una strada che ha senso percorrere?
Quando credete che farebbe bene all'umanità?
E se fosse anche solo un cavia, un cervello artificiale non avrebbe tra le sue caratteristiche l'auto-coscienza?
Leggi anche:
Ludwig Wittgenstein: i computer parlano la nostra stessa lingua?
Ciò che l'occhio della rana comunica al cervello della rana: da Kant alle reti neurali artificiali
Perché la logica Fuzzy è stata un fallimento?
E' possibile simulare il funzionamento del cervello umano?
Ottimo articolo 😉
Il filosofo (anche se fa altre mille cose) Ray Tallis, in un articolo pubblicato sulla rivista New Scientist “You won’t find consciousness in the brain”, sostiene che lo scontro accademico tra i due schieramenti, di chi ritiene possibile spiegare la coscienza attraverso l’osservazione dell’attività cerebrale e chi contesta questa tesi , sia dannoso per i pazienti in stato vegetativo.
Stabilire che si è coscienti solo in presenza di attività cerebrale equivale ad autorizzare il distacco della spina ai pazienti in stato vegetativo.
Se, invece, si ammettesse che la coscienza è disgiunta dalle misurazioni neurofisiologiche, bisognerebbe trovare un nuovo confine che separi la vita dalla morte.
Vedi l’idea stessa di morte com’è cambiata dopo il rapporto di Harvard e la riflessione portata dal filosofo Hans Jonas.
Invece il filosofo Dreyfus ( che muove una critica Allen Newell e Herbert A. Simon) ci ricorda che dobbiamo considerare le strette connessioni tra la filosofia, le scienze cognitive, l’intelligenza artificiale e la robotica, partendo dal presupposto che la tradizione di pensiero a cui si riferiscono i cognitivisti é il razionalismo filosofico (Hobbes,Cartesio,Leibniz) ovvero quella tradizione che,se non sbaglio, sfocerà nel funzionalismo (Putnam, Dennett, Churchland) come teoria della mente e nell’approccio computazionale.
Se pensiamo all’uomo solo come un animale razionale come il razionalismo ha fatto, la teoria della mente che ne conseguirebbe sarebbe solo la descrizione delle capacita razionali dell’uomo, intese innanzitutto come elaborazione e manipolazione di simboli
Esattamente ciò che anche un computer è in grado di simulare e non a caso furono le prime realizzazioni dell’AI forte.
Descrizione che però secondo Dreyfus non terrebbe conto dell’intenzionalità (John Searle, la stanza cinese) e degli stati soggettivi (Thomas Nagel,che effetto fa essere un pipistrello?) della coscienza.
Ma se pensiamo all’uomo come dasein , nella prospettiva ontologica della filosofia indicata dal filosofo tedesco Heidegger, ne conseguirebbe una teoria della mente molto più ampia e non riducibile a modelli formali (computazionali) , per quanto sofisticati essi possano essere. Rompendo con la tradizione epistemologica iniziata con Cartesio, Heidegger propose un’indagine ontologica della realtà, trasformando la relazione tra conoscenza e oggetto conosciuto, nel rapporto tra il nostro essere ciò che siamo e il nostro essere nel mondo.
Heidegger propose quindi un rovesciamento del cogito cartesiano in “sum, ergo cogito”.
Dalla riproduzione artificiale della mente forse dipenderebbe la convalida della tradizione razionalista e la conseguente smentita della prospettiva indicata da Heidegger.. infine vi fu chi come il neuroscienziato cileno Varela scelse una terza via nominata da lui neurofenomenologia.
sì, sono abbastanza d’accordo con te. In tempi come questi, e avendo per le mani materie così complicate, è assolutamente indispensabile che il numero ed il tipo di studiosi le cui competenze collaborino sia grande.
Oggi come oggi non è più possibile pensare che ci sia una sola persona che si occupa di tutto, anche soltanto quando si studia il concetto che sta dietro ad un’idea.
Dicevi di un virus o programmato per avviare una batteria? non ho letto niente al riguardo… Hai qualche indirizzo da suggerirmi per informarmi? Dove lo hai letto?
personalmente adoro la filosofia… Gli anni del liceo sono stati estremamente interessanti proprio perché ho potuto conoscere questa materia.
Heidegger, tuttavia, non è tra i miei autori preferiti.
Molto di quello che ha detto non condivido affatto. In realtà, però c’è del vero nel rovesciamento che hai menzionato; indubitabilmente non sarebbe possibile un aforisma del tipo “non sum sed cogito”.
Se concordo sul fatto che la potenza infinita del punto di sintesi di Cartesio indicava come l’esercitare una volontà senziente fosse la dimostrazione dell’esistere, non condivido in tutto l’asserzione speculare perché essere non vuol dire necessariamente ragionare ed essere in grado di esprimere un parere pertinente.
Oggi, la dimostrazione di questo è sotto gli occhi di tutti: esistono tante persone che scelgono di non avere un’idea, di vivere nell’indifferenza, dimostrando che Cartesio aveva certamente ragione e che Heidegger è molto plausibile che avesse torto 🙂
Una citazione da “Il teatro degli Orrori” che mi piace tantissimo è: “è nell’indifferenza che un uomo, un uomo vero, muore davvero”.
Bene, io ritengo che questa frase sia vera e che quindi non sia necessariamente vero che Heidegger avesse ragione.
Spero di essermi espresso in maniera chiara 🙂
Un altro argomento interessante che hai toccato è lo stato vegetativo…
Indubitabilmente, devo confessarlo, ho scelto di non affrontare direttamente questo tema ma speravo che ci si potesse arrivare 🙂
Credo che sia molto pertinente anche con il dualismo di cui abbiamo parlato finora.
Però vorrei prima sentire voi…
Che ne pensate?
Perché da questa discende un’altra domanda molto interessante: che cosa ci rende umani?