I circuiti a ponte – Parte 2

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Tutti noi utilizziamo quotidianamente dispositivi elettronici che contengono almeno un circuito a ponte. Molti tra noi hanno utilizzato, almeno in qualche occasione, le sue forme più comuni in fase di progetto. Pochi però possono affermare di conoscere in dettaglio tutte le diverse applicazioni di questo utilissimo schema circuitale, accuratamente descritte nelle pagine che seguono.

AMPLIFICATORE PER STRUMENTAZIONE

Spesso, quando si ha la necessità di fare una misura molto accurata delle impedenze, o nel caso in cui bisogna fare una caratterizzazione di un sensore (strain gauge, sensori di temperatura, etc.) si ricorre ad un circuito come quello mostrato in Figura 1, ovvero il classico amplificatore per strumentazione.

Amplificatore Operazionale per Strumentazione

Figura 1: Amplificatore Operazionale per Strumentazione

Questa configurazione circuitale ha il merito di offrire una elevata impedenza d’ingresso con un guadagno alto, noto e preciso, il tutto in una configurazione differenziale. Inoltre, questo circuito ha un CMRR di valore 1, il che va bene visto che si è interessati all’amplificazione del solo segnale differenziale presente sull’ingresso dei due operazionali costituenti il primo stadio del circuito. Per il calcolo del guadagno si studia il circuito considerando i due stadi che lo compongono (il primo composto dai due amplificatori operazionali in configurazione buffer, presenti tra il ponte e il terzo operazionale, il secondo stadio è costituito appunto dal terzo amplificatore connesso contemporaneamente in configurazione invertente e non invertente) e si applica il principio di sovrapposizione degli effetti. Partendo dal secondo stadio e considerando V2 = 0, il terzo operazionale si trova in una configurazione invertente con tensione d’ingresso V1 quindi:

A questo punto, si annulla V1 e si rifanno i conti, adesso l’amplificatore operazionale si trova in una configurazione non invertente quindi:

La tensione d’uscita vale quindi:

Ora, considerando sempre il principio di sovrapposizione degli effetti si calcolano i valori di V1 e V2 in funzione della tensione d’ingresso che si vuole amplificare. I due amplificatori operazionali che costituiscono il primo stadio hanno in ingresso una componente comune di tensione, Vc, e una componente differenziale, Vd. Lo scopo dell’amplificatore come già detto è quello di amplificare il più possibile la componente differenziale, lasciando inalterata quelle comune. Guardando il primo stadio del circuito si vede come i due ingressi siano perfettamente bilanciati, entrambi gli ingressi, infatti, vedono la stessa impedenza, quindi si può dedurre che la tensione differenziale in ingresso al circuito cada tutta sulla resistenza Rg, e poichè si tratta appunto di una tensione differenziale si può concludere che al centro di Rg la tensione è nulla, ovvero se scrivessi Rg come una serie di due resistenze di valore Rg/2, nel punto in comune tra queste resistenze la tensione sarebbe nulla, ovvero sarebbe un punto di massa. Fatte queste premesse, andiamo adesso a calcolare la tensione V1 e V2, usando sempre il principio di sovrapposizione consideriamo V- = 0 e V+ = Vd+Vc, e calcoliamo V1 e V2:

Allo stesso modo considerando V- = -Vd+Vc e V+, si ottiene:

Riscrivendo tutto:

Nell’espressione finale della tensione d’uscita, in conclusione, appare soltanto la componente differenziale delle tensione d’ingresso ai due operazionali, in quanto, come già detto, il circuito amplifica soltanto la differenza di tensione tra i due operazionali, ovvero la tensione d’uscita del ponte. Inoltre, la tensione d’uscita è direttamente proporzionale al valore di Rg, quindi tenendo fissi i valori delle resistenze R1, R2 ed R3 si può cambiare il guadagno di tutto l’amplificatore modificando il valore di una sola resistenza, per questo in generale, infatti, Rg è proprio una resistenza variabile. Il circuito appena visto è molto utilizzato ed è possibile trovarlo in commercio in un unico componente, contenente all’interno gli amplificatori operazionali e la rete di resistenze, l’utente deve soltanto collegare al componente la resistenza Rg, che definirà il guadagno dell’amplificatore.

Ponte Raddrizzatore

Figura 2: Ponte Raddrizzatore

 

Tensione d’Alimentazione del Ponte

Figura 3: Tensione d’Alimentazione del Ponte

 

Tensione Raddrizzata

Figura 4: Tensione Raddrizzata

CIRCUITI RADDRIZZATORI DI TENSIONI E CIRCUITI DI PILOTAGGIO

Anche in questo caso, la materia di studio è abbastanza ampia, qui si entra nella sfera dell'elettronica di potenza. Questa branca dell’elettronica è piuttosto recente e rappresenta un grande settore di sviluppo nel panorama contemporaneo. In questo articolo, vedremo dapprima il classico ponte di Graetz, di sicuro non una novità in quest’ambito, per poi passare ad una tipologia di circuito molto più recente, figlia dei componenti realizzati negli ultimi anni, ovvero il convertitore full-bridge, che approfondiremo nella Parte 3.

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Figura 5

IL PONTE DI GRAETZ

Si tratta di una tipologia di circuito comunemente usata per la conversione di tensione da alternata in continua, questo tipo di circuito, ad esempio, è presente in quasi tutti i dispositivi che forniscono una tensione continua dalla corrente di rete, quali alimentatori per i cellulari, computer, etc. In figura viene riportato lo schema circuitale del ponte raddrizzatore, conosciuto anche come ponte di Graetz dal nome del suo ideatore. Il circuito è banalmente composto da quattro diodi, collegati come in figura, il ponte viene alimentato dalla tensione alternata da raddrizzare, mentre la tensione presente ai centri dei due bracci del ponte è la tensione d’uscita ed è sempre positiva. Nelle figure seguenti è possibile vedere un esempio di tensione alternata di tipo sinusoidale usata per alimentare il ponte e la conseguente forma d’onda della tensione raddrizzata in uscita dal ponte. Chiaramente, la tensione d’uscita del ponte è pressocché inutilizzabile dai normali dispositivi in continua che, oltre a chiedere una tensione sempre dello stesso segno (positiva), hanno anche bisogno che quest’ultima sia stabilizzata, ovvero costante nel tempo. Il ponte raddrizzatore appena visto è quindi solamente il primo stadio di un alimentatore in continua, successivamente la tensione in uscita dal ponte viene dapprima filtrata mediante l’uso di un paio di condensatori, uno per le alte frequenze e uno per le basse, e infine viene stabilizzata mediante l’uso di particolari regolatori. Per quanto riguarda questi ultimi, la varietà di soluzioni possibili è molta ampia, motivo per cui, al fine di non allontanarci troppo dall’argomento principale, tralasceremo la cosa, mentre per quanto riguarda il filtraggio dedicheremo un paio di righe. Nella figura viene mostrato il ponte raddrizzatore con a valle lo stadio di filtraggio, costituito semplicemente da un carico capacitivo, la resistenza rappresenta il carico alimentato dal ponte. La Figura 1 rappresenta la tensione d’uscita del ponte dopo il filtraggio, il condensatore dopo una fase transitoria in cui raggiunge il massimo della sua carica si comporta nei confronti del carico come un generatore di tensione, infatti, la tensione sul carico non segue più l’andamento della tensione d’uscita dal ponte, ma il carico viene alimentato dalla tensione di scarica dal condensatore.

Tensione Filtrata

Figura 6: Tensione Filtrata

Il cui andamento, come visibile in figura, è di tipo lineare, con la pendenza della retta funzione della capacità e della resistenza di carico. Quando la tensione d’uscita del ponte torna a salire, il condensatore ritorna alla fase di carica e il carico vede nuovamente la tensione del ponte e così via. In conclusione, il carico vede ai suoi capi una tensione che oscilla, tra la tensione massima d’uscita del ponte e una tensione minima, funzione della capacità del condensatore, dal carico (questi due fissano costante di tempo di carica e scarica del condensatore) e della frequenza della tensione alternata, in quanto stabilisce il lasso di tempo tra una picco e il successivo nella tensione d’uscita del ponte.

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