La cultura dell'Open Source per combattere la crisi, le potenzialità dei sistemi Open come modello da seguire ed opportunità da perseguire! Non è solo questione di risparmio, ma anche di rilancio dell'economia, ad esempio, puntando sulle risorse interne piuttosto che su licenze estere. Un modello economico vincente per chi riesce a portarlo avanti dinamicamente! EOS-Book ne è l'esempio sia come progetto che come risorsa utile per sviluppare altri progetti moltiplicando le opportunità in una struttura di fatto peer-to-peer.
La definizione di Open Source si è diffusa con l'avvento di internet e la nascita di software open source per poi allargarsi a molti altri settori, tra cui l'hardware open source. Nel corso degli anni si è spesso, erroneamente, associato il termine open source a gratis, ma non è così, o almeno non sempre. Infatti il principio base dell'open source non è la gratuità del prodotto (hardware o software che sia) ma la possibilità di vedere come è fatto e se, se ne hanno voglia e capacità, di migliorarlo.
Questa possibilità, grazie all'esplosione della rete, ha prodotto degli effetti domino di incredibili proporzioni, mai immaginabili prima, tanto è vero che anche la Nasa ha reso open source alcuni suoi programmi.
Immaginate di realizzare un software ed avere migliaia di persone sparse in tutto il mondo che lo testano e rilasciano versioni stabili, oppure di poter acquistare un qualsiasi prodotto con scheda elettronica e poterlo personalizzare e questo può valere per la lavatrice come per l'impianto antifurto!
Le potenzialità dell'Open Source sono enormi!
Ma non finiscono qui, infatti quasi tutti i prodotti open source sono gratuiti o acquistabili a fronte di micropagamenti. L'abbattimento dei costi è il primo effetto del coinvolgimento delle community, se un software può raggiungere migliaia, se non milioni di utenti, allora bastano pochi centesimi, o addirittura zero centesimi ciascuno per far produrre ricchezza agli sviluppatori.
Non voglio però addentrarmi ora nelle possibilità offerte dall'economia della rete con i nuovi modelli di business realizzabili, ma porre l'attenzione su come l'open source possa aiutare a combattere la crisi rilanciando l'economia interna!
Ubuntu (sistema operativo Linux) è sicuramente un esempio da quale partire, ma anche software applicativi come Open Office (insieme di programmi per scrittura, presentazioni e foglio di calcolo) o Gimp (programma di grafica) ma esistono tantissimi altri esempi validi di software open source.
Raspberry PI invece è un esempio vincente di hardware open source, infatti al modico costo di 29 euro è possibile avere un Computer! Si, una scheda pc-all-in-one al quale basta aggiungere solo mouse, tastiera e monitor (o televisore). Il sistema operativo e la maggior parte dei software applicativi sono gratis e open source! Senza dubbio una rivoluzione e non solo nel campo consumer, ma anche nell'industrial, basti pensare ai costi dei pc industriali!
Fatta questa introduzione, credo doverosa per chi non si occupa di open source, vediamo come tutto questo possa aiutare veramente a produrre crescita, innovazione e sviluppo.
Con i costi presentati sopra è doveroso approfondire il discorso, soprattutto per i webmaster e le software house ancora legate al vecchio modello di business: realizzare da soli un portale base e poi personalizzarlo per i vari clienti.
Alcune di queste aziende vedono il modello open source come una minaccia, invece che come una opportunità, proprio perché il costo zero iniziale rischia di sminuire il proprio lavoro. Ma non è così, perché è dovere del venditore proporre delle offerte e, discrezione del cliente scegliere la migliore per il suo budget. Se ad esempio il cliente necessita di una installazione base, si potranno applicare i costi di cui sopra, bassi certo, ma l'azienda avrà lavorato solo un paio d'ore.
Mentre poi il vero business potrà essere implementato nelle personalizzazioni, quindi nella creazione di nuovi moduli che svolgeranno le specifiche funzioni richieste dal cliente. Attenzione non stiamo parlando di milioni di euro per fare un modulo, ma con budget di qualche migliaio di euro è possibile realizzare praticamente qualsiasi tipo di ottimizzazione e personalizzazione, anche perché l'azienda potrà basarsi su moduli simili, che essendo open source potranno essere modificati e poi sull'aiuto di una vastissima community che si dedicherà sicuramente a risolvere eventuali problematiche, gratuitamente, molto spesso! (Quest'ultimo punto si è trasformato nel tempo e quindi questa affermazione non è più scontata come un tempo, vedremo semmai in un prossimo articolo questa evoluzione)
L'Open Source come risposta alla crisi
Un altro esempio sono i sistemi operativi, Linux è l'unico che non ha bisogno di pagare una licenza, semmai di essere supportato da dei mini corsi, che possono tranquillamente essere svolti dai nostri giovani laureati, sempre più spesso in cerca di occupazione.
E' essenzialmente un problema culturale. Poniamo un caso estremo, l'amministrazione pubblica è ormai abituata ad usare un tipo di software e non gradisce cambiare anche per motivi semplici, come il posizionamento delle voci del menu… ebbene con un software open, questo si può modificare! Quindi invece di pagare la licenza per 10.000 postazioni relativa all'aggiornamento (ad esempio) si può incaricare una software house italiana di fare quella modifica che sicuramente costerà una frazione del costo dell'aggiornamento di tutte le licenze, ed inoltre i soldi saranno rimasti in Italia!
Penso ormai sia evidente che il Pil aumenta (anche se oggi va piu di moda dire lo spread diminuisce) se aumentano le esportazioni, ma aumenta anche se diminuiscono gli acquisti "esteri" a favore di prodotti interni. Certo in Italia non ci sono produttori di tablet che possono competere con i colossi Americani e Coreani, ma una scelta responsabile verso un sistema open, si, quella possiamo farla, in modo che una percentuale di questo mercato possa rimanere in Italia, magari a favore di una startup, la stessa startup software che con quei fondi, un domani potrebbe investire nell'hardware e realizzare un tablet competitivo in Italia.
Tutto questo sopra potrebbe essere sintetizzato con una sola parola: crescita!
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Come giustamente hai scritto l’Open Source é una “Cultura”, ossia un modo di pensare, un’impostazione mentale che molti non hanno ancora, vuoi per convenienza (proteggere interessi in essere) o per paura di non guadagnare o lavorare senza raccogliere i frutti di ció che si é creato.
Questo é, se vogliamo, ancora uno strascico del modello di business americano degli anni 50, ideare, brevettare, produrre con lo scopo di monopolizzare/dominare il mercato e massimizzare i profitti. Questo modello non é piú sostenibile, i costi, le risorse che diminuiscono, la domanda, che a causa della crisi diminuisce, sono fattori che stanno sgretolando le fondamenta di quel vecchio modello di impresa/produzione.
La globalizzazione si ritorce contro coloro che l’hanno inventata e ce l’hanno spacciata come salto evolutivo. Le aziende arrancano sempre piú ad operare in un mercato globalizzato e, proporzionalmente, fanno meno profitto di piccole realtá locali, che puntano all’open, al chilometro zero, alla domanda interna. Queste realtá sono ancora poche e, soprattutto in Italia, sono ostacolate dalla politica corrotta, la burocrazia ottusa e ignorante, la disinformazione generalizzata… Fortunatamente é solo questione di tempo.
E’la crisi stessa che spingerá verso il cambiamento, che ispirerá nuovi imprenditori che sapranno lavorare in un mondo dove le idee e i progetti circolano liberamente e vengono condivisi. Questo nuovo imprenditore non vorrá conquistare il mondo con un singolo prodotto, ma punterá a curare il proprio territorio con diversi prodotti nati e sviluppati da progetti Open Source, smetterá di inseguire il mito (molto anni 80) del magnate col jet privato che fa colazione a New York e cena a Parigi, e capirá che si vive molto meglio se il proprio profitto, anche se minore, é solidamente radicato sul rispetto altrui, dei propri clienti, e sulla qualitá dei propri prodotti.
Ciao
Secondo me la questione dell’open source è alquanto delicata sicuramente porta sviluppo ma con margine di guadagno (dei singoli) ridotti rispetto ad applicazioni non open.
Se ad esempio consideriamo linux che poi è uno dei primi grossi progetti open source i suoi guadagni non sono paragonabili a quelli di microsoft sia perché il guadagno è infinitamente minore, sia perché il costo è minore sia perché sono nate un’infinita di versioni diverse.
Questo ha 2 conseguenza la prima economica che la ricchezza prodotta viene distribuita tra un numero di società maggiori e questo nel mondo commerciale sicuramente non è visto di buon occhio.
il secondo aspetto come già accennato prima e come giustamente hai fatto notare tu nell’articolo questo ha portato ad uno sviluppo del sistema e alla nascita di community che svolgono assistenza anche molto qualificata (sicuramente più qualificata di quella della microsoft).
Comunque non sono d’accordissimo sarà che sono uno studente e ancora non sono entrato nel modo del lavoro ma vedendo le cose dall’estendo non mi sembrano cosi.
Andando in ambiente universitario che in genere è molto open source quando poi si inizia a parlare di progetti commerciali o comunque con la possibilità si venderli tutto questo open source scompare dalle schede ai programmi di sviluppo al codice.
il discorso e che la maggior parte degli oggetti open source (soprattutto software sono scopiazzature di sistemi commerciali sia programmi office (nelle varie versioni) che i vari sistemi operativi.
Ma lo stesso Arduino che è l’hardware open source per eccellenza è la copia di schede commerciali rivisitate per ridurre i costi e renderle più semplici per coprire fasce di mercato hobbistico.
Perchè non condividere con tutti (forse meglio soltanto con i competenti) le fasi di realizzazione, le scoperte ed invenzioni di qualcosa in tutti i campi?
Non solo negli ambiti elettronici o informatici, ma anche nella medicina e quindi nella ricerca, nello studio dell’ambiente e così via…
Ecco secondo me perchè ancora non è possibile:
Non esiste ancora una vera e propria legge che tutela il creatore e/o ricercatore da eventuali copiature e quindi in base al tipo di prodotto realizzato o scoperta fatta, dopo aver investito chissà quante risorse come denaro e tempo di lavoro potrebbe arrivare Mr. X che gli piace il prodotto/scoperta ed è felice che sia stato reso open source non perchè così facendo è possibile assistere ad un miglioraramento e maggiore sviluppo del prodotto o scoperta, Ma bensì perchè può molto facilmente ricavare un profitto senza avere investito un centesimo.
Quello che affermi è condivisibile, ma il problema è proprio nella divisione dei progetti. L’open source (gratuito) da una parte il sistema chiuso blindato (a pagamento) dall’altra.
Nuovi modelli di business invece prevedono la contaminazione dei due ecosistemi fornendo sistemi a pagamento ma open e sistemi open source ma a fronte di un micropagamento.
Questa a mio avviso è la strada da seguire.
Pensa un attimo a Wikipedia….. secondo te è giusto che venga supportata solo dalle donazioni e…. stia alla fame, così tanto che ogni anno il fondatore debba chiedere finanziamenti elemosinando quasi quello che invece andrebbe supportato di diritto? Non sarebbe più giusto imporre (si lo sò è brutto come termine, ma è ancor più brutto scroccare informazioni gratis) un abbonamento di 1 euro?
Sarebbero milioni di euro per Wikipedia che finalmente smetterebbe di chiedere fondi e si concetrerebbe sulla qualità che di fatto scarseggia?
Lo stesso discorso vale anche per Open Office e tante altre situazioni.
certo che sarebbe giusto il problema è che il sistema così com’è non permette questo o meglio la forza di wikipedia è proprio il fatto che è gratuita e che tutti possono accedervi, se diventa a pagamento (anche per un euro) chi cerca informazioni saltuarie non vi aderirebbe o comunque cercherebbe informazioni su altri siti visto che su internet c’è di tutto.
in fin dei conti è prima di wikipedia si usavano le enciclopedie online a pagamento con la sua nascita esse sono praticamente scomparse a discapito di quest’ultima se essa diventerebbe a pagamento nascerà una nuova wiki che farà lo stesso.
Inoltre chi scriverebbe più nuovi articoli sapendo che c’è qualcuno che ci guadagna? e poi le informazioni su di essa sono state scritte da chiunque, non sono sempre corrette ed è praticamente impossibile controllarle tutte data la quantità di informazioni.
Per quanto riguarda l’aspetto economico sicuramente è un punto importante per la gestione dei siti ma esistono altri mezzi come la pubblicità.
Infondo se gestita in maniera corretta non da fastidio nella navigazione e per il numero di visualizzazioni che ha wiki avrebbe un grandissimo ritorno economico.Inoltre ci sono società “giuste” a cui puoi fare pubblicità come le banche etiche per esempio e quindi fai utile e dilettevole.
D’altronde le pubblicità hanno fatta la fortuna ti tanti (anche persone che stimo poco) un esempio lampante è la rai e mediaset la prima a pagamento con il canone le seconda gratis.Anche se entrambe fanno schifo per la prima siccome la gente paga direttamente si sente più autorizzata a criticare per la seconda invece qualunque porcata è tollerata.
L’errore più grande che si può commettere è quello di reinvetare la ruota, utilizzando strumenti open-source si può ridurre drasticamente il tempo di sviluppo, condizionando il proprio lavoro ad essere a sua volta open source.
Aver paura di perdere il proprio lavoro per una mera copia indica una scarsa confidenza con il risutato prodotto, l’importante è saper guardare ai miglioramenti posti dagli altri e sfruttarli a propria volta.
Si crea un mercato sicuramente più complesso ed agressivo, dove i prodotti mediocri sono automaticamente tagliati fuori.
Però non bisogna mai perder di vista che il semplice rilascio dei sorgenti, non significa che chiunque sia in grado di metterci mano, Linux non si paga, ma il supporto non viene offerto gratis.
E’ un mercato diverso.
E’ un modello vincente, dove sei libero di contribuire in denaro, tempo o competenza. Io ad esempio negli anni dell’univeristà contribuivo alla versione Italiana, come riconoscenza per uno strumento fondamentale.
La varietà di argomenti è imparagonabile con qualsiasi altra enciclopedia ed i contenuti sono sempre di buon livello (soprattutto nella versione en), scarseggia credo sia assolutamente fuori luogo.
Guarda io sono pienamente d’accordo con te wikipedia è uno degli strumenti più potenti in mano agli studenti soprattutto nella versione inglese come giustamente hai detto anche tu.
Per il resto io penso che lo “scarseggia” di Emanuele gli sia scappato e non sia voluto siccome l’ha portata come esempio positivo dell’open source e non come negativo.
Il discorso penso sia il fatto che un sistema cosi grande come wikipedia sia difficile da gestire come open source senza i capitali di una grande azienda a scopo di lucro.
Tutti possono scrivere e posso solo immaginare la fatica degli amministratori ad gestire la quantità di dati quindi capisco anche che alcune pagine soprattutto se specifiche siano meno curate e controllate,però questo penso sia un dato di fatto che nessuno può negare.
Non metto certamente in dubbio lo spirito costruttivo della critica di Emanuale, ma trovo wikipedia molto più curata di altre enciclopedie che abbia consultato, a patto di non confonderla con un manuale tecnico.
Lo sforzo dietro è enorme, ma Wikipedia è a mio avviso uno stupendo esperimento di autogestione, con risultati davvero interessanti.
Saluti,
Dario.
Il problema principali sta nella frase “Si crea un mercato sicuramente più complesso ed aggressivo, dove i prodotti mediocri sono automaticamente tagliati fuori.” Pensa se tu fai parte di una azienda che sviluppa un prodotto innovativo investendo un enorme capitale. Lanci il prodotto sul mercato distribuisci i sorgenti.Il famoso Pinco-Pallino si accorge che questo tuo prodotto può essere migliorato, perché ha una idea banale (magari gli e venuta da test di mercato del tuo prodotto) che magari tu avevi scartato pensando che non potesse funzionare ma che invece fa la fortuna del suo progetto e la sfortuna del tuo.
Come ti sentiresti, come ti giustificheresti con i superiori, come pagheresti i fornitori e gli operai?
Personalmente ho sempre apprezzato e visto di buon occhio tutte le espressioni dell’Open Source, sia a livello software che hardware. Il non tenere celati certi aspetti implementativi, anche quelli più “nascosti” (si pensi al kernel di Linux, per esempio), o i dettagli progettuali di una board o di uno shield (Arduino sopra tutti) funge da stimolo per tutti i progettisti e aiuta a creare una community di utilizzatori appassionati.
Per anni la filosofia dominante è stata quella sintetizzata dall’equazione: Sapere = Potere. Chi aveva le conoscenze, se le teneva strette, perchè ciò poteva metterlo in posizione vantaggiosa rispetto ai “competitors” (purtroppo, la cosa poteva succedere anche all’interno di una stessa organizzazione…). Oggi non è più così, almeno nella stragrande maggioranza dei casi. Oggi si tende a distribuire le conoscenze (e le responsabilità) in modo uniforme, c’è una mentalità open che vuole favorire la crescita individuale senza creare barriere artificiali (alla fine, questa scelta diventa vantaggiosa anche per le aziende stesse).
Internet ha senz’altro fatto la parte del leone in questo cambiamento, senza il web non riesco a immaginare l’open source.
Personalmente non mi ritengo un fan sfegatato della Apple, però mi piace citare uno slogan che la casa americana utilizzò anni fa come campagna pubblicitaria: “Think different”. Prendo in prestito da Apple questo slogan e lo rigiro ai più giovani, come consiglio da seguire nella propria vita professionale e non.
Se hai sviluppato open source e sei partito da codice open source, hai rispartiamo tempo di sviluppo e debug. Se vuoi fare tutto in casa, rischi di arrivare tardi al mercato, con il rischio di doverlo giustificare a superiori, fornitori ed operai.
L’open source non può essere applicato su qualsiasi scala e poi è sempre da considerare cosa è open source, un prodotto open source può contenere parti non aperte per scelta di mercato o tecnologica. Ad esempio, Atmel spinge tanto sull’open source, ma non rilascia di certo i disegni su silicio dei propri microcontrollori.
E’ una possibilità ed una possibile scelta, ma quello che vorrei rimarcare è che senza open source alcune realtà non esisterebbero, il web è la più nota e non si può certo dire che non abbia generato un’economia.
Saluti,
Dario.
Hai ragione, ad esempio non esisterebbe nemmeno questo blog…
Ma il fondatore ha creduto nella sua idea, ed eccoci quì 🙂
Questa come tante altre idee open source che sono venute alla luce.
Quindi ecco le poche e principali cose che ho appreso per farsì che un progetto open source abbia successo:
– Credere nella propria idea e fare di tutto per farla “camminare”
– Pubblicizzare l’idea che si sta sviluppando, così da avere il massimo supporto da coloro che verranno a conoscenza di questa idea e vorranno partecipare
– Scrivere molta documentazione sul progetto. Così facendo coloro che verranno a conoscenza del progetto possono studiarlo e comprenderne tutte le capacità.
– Rendere il progetto il più Open Possibile
Questo è esattamente quello ho espresso in un mio commento…
Quindi il successo di un progetto open source oltre al fatto della bravura del creatore e degli altri fattori che ho scritto dipende anche da altri tre fattori che sono:
– Fortuna
– Quanto migliore renderà la vita questo progetto
– Semplicità
Infatti la fortuna è un fattore importante che influenza il successo o l’insuccesso del progetto perchè se ad esempio ci si trova in un periodo in cui non si sà apprezzare questo prodotto o questa idea innovativa, molto probabilmente il progetto
non avrà successo.
Se il progetto realizzato potrà senza ombra di dubbio migliorare la vita quotidiana allora avrà molto successo-
Forse il più importante aspetto: La semplicità. Se il prodotto sarà altrettanto semplice da utilizzare quanto interessante ed utile il successo è GARANTITO
Senza dubbio le intenzioni di Jimmy Wales non sono solo nobili, ma anche straordinarie nella loro realizzazione e Wikipedia è veramente qualcosa che supera le barriere culturali e non solo permettendo a tutti di accedere al “sapere”. Il problema però è che tutto questo per essere mantenuto, e mantenuto bene, ha un costo , un costo non indifferente.
Può uno dei siti più visitati al mondo mantenersi con le donazioni e gestire milioni di pagine/documenti basandosi sui volontari?
Evidentemente no, altrimenti NON sarebbe in crisi e NON peccherebbe di qualità.
Quando dico che Wikipedia scarseggia in qualità intendo dire che molte delle sue pagine riportano notizie prese da altri siti e spesso superficialmente controllate da un moderatore/volontario. Moderatore che a sua volta spesso non è un esperto di settore, ma soltanto “uno che aveva voglia di partecipare”. Inoltre tantissime pagine sono prese d’assalto da spammer che tentano di inserire le loro pubblicità occulte (backlinks) e quindi per un ristretto team di moderatori e un comunque limitato numero di volontari (a loro volta non sempre in piena buona fede) è facile comprendere come tutto questo possa sfuggire facilmente di mano.
Ovviamente lodevole il suo intento, ma evidentemente insufficiente in alcuni casi. Insomma Wikipedia non può essere un testo di riferimento proprio perchè le informazioni sono modificabili da tutti e tutti possono fare i moderatori e tutti sono volontari. Insomma Wikipedia è una fonte secondaria che andrebbe sempre verificata.
A mio avviso il principale problema di Wikipedia è la sua staticità, in un periodo storico dove il web è freneticamente dinamico e tutto si evolve a velocità incredibili, mantenere il passo con un modello ormai decennale, lo trovo per forza problematico.
Trovo che spesso, sempre per dirla tutta, sia molto importante interrogarci su che cosa facciamo, come lo facciamo ma soprattutto quali siano i risultati (anche soltanto potenziali) delle nostre azioni e delle nostre scelte!
Voi lo sapete come la penso io, non ne ho mai fatto mistero: l’open source per me è una filosofia di vita. Molte persone qui lo definirebbero nello stesso modo.
E sono anche convinto che sia una vera opportunità.
E come tutte le vere opportunità, le scelte più difficili ma anche, nel contempo, le più giuste, viene abbracciata sempre da meno persone.
Sono perfettamente d’accordo: non si tratta soltanto di una questione di risparmio però ritengo che rilanciare l’economia sia solo l’ultima delle conseguenze possibili.
Del fatto che qualcuno confonda Open con free, sinceramente sono addolorato. Anche perché questo favorisce la crescita di un substrato di incoscienza che, a dirla tutta, non possiamo più permetterci!
Oltre al fatto che questo è in netto contrasto con l’idea che Open Source sia sinonimo (o una forma) di “cultura”…
Non è più tempo di approfittatori, finti tonti, gente che spera di tirare a campare, persone che approfittano del lavoro degli altri…
Questo è il tempo della responsabilità!
Il lavoro va retribuito!
La creatività, ripagata!
Qualcuno probabilmente vivere per lavorare ma la verità è che tutti lavoriamo per vivere. 🙂
Non tutti abbiamo la fortuna di lavorare in un ambiente che preferiamo oppure facendo cose che ci piacciono alla follia però lavorare è doveroso ed essere ripagati del duro lavoro non può essere una questione di opinionismo.
Secondo me!
E si tratta di un aspetto del problema che non ritengo marginale… affatto!
Un mondo fatto di Open Source è una realtà poliedrica e sfaccettata all’interno della quale tutti noi ci muoviamo per costruire e cambiare quello che c’è reinventando prima il nostro modo di pensare e poi la soluzione ad un problema.
Liberi di farlo!
Che questo sia fatto di concetti divulgati piuttosto che di versioni stabili di un programma che viene rilasciato in realtà cambia poco, secondo la mia modestissima e piccola opinione.
Ecco, in questo panorama, e con queste premesse, mi trovo particolarmente d’accordo con gli esempi che sono stati fatti. Il lato software è assolutamente indispensabile perché si tratta della prima e più immediata interfaccia con la quale tutti noi abbiamo a che fare, dal momento che il computer è diventato uno strumento indispensabile…
Il sistema operativo è il miglior esempio di elaboratore grazie al quale possiamo verificare noi stessi, sulla nostra pelle, quali siano le reali potenzialità dell’Open Source.
Chiunque abbia mai utilizzato Windows 98 sa bene che cosa sia cambiato nel corso del tempo e come la Microsoft abbia imparato dai propri errori continuando ad attingere a piene mani dalle idee e dalle creazioni del mondo dell’Open Source.
Non è un caso, affatto, se questi “prelievi” hanno poi restituito un grande successo in termini di vendite.
L’esigenza di lavorare con programmi di videoscrittura adesso è diventata indispensabile e centrale nella vita di ogni genere di studente, a qualunque livello. E dalla scuola si passa al mondo produttivo, al settore dell’informazione e così via dicendo. Tutti hanno questa esigenza, oggi.
Anche semplicemente il fatto che non esista più soltanto OpenOffice ma che da esso sia nato un fork, LibreOffice, dà l’idea di come un progetto possa essere modificato, supportato diversamente oppure scartato perché non altrettanto interessante o stabile o fruttifero o probabilmente semplicemente funzionante…
Il punto è che chiunque potrebbe riprendere quel progetto e ricomincia a lavorarci su.
Ecco, credo che sia un errore sottovalutare questo aspetto della questione…
Vorrei, poi, se posso, fare soltanto un appunto rispetto al PIL.
L’utilizzo di questo indicatore è stato largamente sopravvalutato nel corso del tempo. Molti economisti oggi suggeriscono quello che tanti altri per tanto tempo hanno suggerito nel passato: sostituirlo o quantomeno affiancarlo.
Da cosa?
Dal BIL.
Quasi un gioco di parole che però introduce un concetto fondamentale, quello di benessere.
Dal momento che una nazione tipicamente non produce beni però permette alle persone di vivere, non sarebbe più giusto valutare il loro soddisfacimento quindi la capacità che la società ha di offrire una vita di qualità alle persone?
Così si potrebbero valutare, per esempio, come cambiano i loro bisogni ed effettivamente se la nazione stessa riesce a soddisfare i bisogni vecchi ma soprattutto i nuovi.
Questa è solo un’idea però suggerisce che forse sarebbe il caso di aggiornare anche il metro di valutazione di quello che si sta facendo perché probabilmente, molto probabilmente, continuare a pensare ed agire con strumenti, diciamo, classici probabilmente non sta dando i risultati sperati ed anzi si sta rivelando completamente fuorviante.
E adesso, in ultimo, vediamo perché penso di essere d’accordo con lo spirito di questo editoriale.
EOS-Book è, semplicemente, tutto questo insieme!
O quantomeno si tratta, in tutta franchezza, di un tentativo in questa direzione!!!
Una valutazione complessiva ed un modo di reinventare questo stesso portale in una chiave diversa al fine di continuare il lavoro già intrapreso, ovvero quello di divulgazione e di coinvolgimento della comunità, ma facendo in modo che la qualità salga e che il livello delle competenze tecniche disponibili e possedute da ciascuno possa crescere al di fuori di ogni altro schema precostituito.
Molte persone hanno deciso di avvicinarsi a questo progetto per collaborare. Spesso a titolo gratuito o previo piccolo (ancora, per ora!) compenso.
Piccolo, per l’appunto perché sebbene lo spessore tecnico e scientifico degli articoli che pubblichiamo sia davvero valido, gli autori partecipano con grande passione alla nascita ed allo sviluppo di un progetto che fa dell’open source la sua filosofia e della partecipazione il motore di crescita.
Se posso permettermi, assolutamente senza fare nomi e cognomi, di riportare una dichiarazione rilasciata per e-mail da uno dei nostri più affezionati lettori che tra breve pubblicherà con noi, ve lo dimostro:
“Tra qualche anno, quando EOS-BOOK sarà arrivato al 100° numero e avrà centinaia di migliaia di lettori, potrò dire di essere stato uno dei primi ad aver pubblicato un articolo !! Sarò una specie di “guru” !! 😀 😀 :D”
Io credo davvero in questo progetto e credo che se utilizzassimo tutti un po’ più di open source nella nostra vita quotidiana la crisi mondiale sarebbe risolta non dico in un mese ma quasi… 🙂
Mi domando, però: siamo in grado di imporre questo nel mondo che conosciamo oggi? Anche nel nostro, per cominciare.
Basterebbe farlo noi stessi nel nostro piccolo microcosmo.
Così, per cominciare, dando l’esempio.
Dovrebbe essere un po’ come gettare sassolini in uno stagno… Ci aspettiamo che le onde si propaghino…
Non saprei, ma prima o poi lo stagno si riempirà 🙂
A quel punto i sassolini saranno così tanti che l’evidenza della loro superiorità sarà innegabile 😀
Sad but true… 🙁
Io però ci credo…secondo me è davvero solo una questione di tempo… 😀
Posso rispondere almeno sull’ultima domanda?
Io sono uno che finanzia Wikipedia.
Ci credo! E sento il dovere di partecipare, pur nei limiti della mia condizione economica, il più possibile. 🙂
Wikipedia, italiana o meno, è una risorsa incredibile.
E il fatto che ci siano paesi nel mondo in cui è interdetta e censurata è il segno più tangibile della sua indispensabilità! 🙂
E se anche qualcuno guadagnasse un euro al mese per ciascun utente io la finanzierei comunque, te lo garantisco.
Si tratta del mio personalissimo pensiero, naturalmente, ma spero che sia un altro sassolino da buttare nello stagno 😀
io credo che in un “mondo open source” le persone potrebbero trovare la loro vera strada, e chi è veramente valido avere successo in maniera trasparente
non conta solo l’informazione ma anche l’uso che se ne fa
a parità di informazioni non tutti sono bravi uguali, e qui escono le persone con del talento vero che possono, perchè no, essere assunte e risultare utilissime all’azienda dalla quale qualche anno prima avevano “copiato” un programma o una sedia o qualunque altra cosa
tra l’altro non ha molto senso parlare di costi elevatissimi di produzione, un progetto open nasce sicuramente da informazioni open e quindi costa poco!!
anche riservarsi i diritti su qualcosa costa tanti soldi, spesso buona parte dei ricavi, e pubblicizzarlo per farlo comprare anche, un progetto open si pubblicizza da solo perchè tutti hanno l’interessa ad usarlo
anche ikea è un po’ open se vogliamo… e direi che funziona alla grande!!