Gli alimentatori switching con regolazione sul primario

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Nuova puntata della Rubrica Firmware Reload, all'interno della quale potrete leggere gli articoli tecnici della passata rivista cartacea Firmware, un prezioso archivio con contenuti sempre di interesse per i professionisti dell'elettronica. Uno dei punti spesso critici in un alimentatore a commutazione è rappresentato dal circuito di retroazione tra il secondario e la parte non isolata del dispositivo. I moderni controllori di circuiti a commutazione sono in grado, con opportuni accorgimenti, di fare a meno di questa configurazione, a tutto vantaggio della semplicità e dell’efficienza del circuito.

Una delle primissime cose che bisogna fare quando si realizza un progetto di elettronica è provvedere all’alimentazione. Dopo aver studiato le varie soluzioni in termini di integrati necessari, è importante provvedere alla creazione di una sezione di alimentazione per l’intero sistema, organizzata al meglio e dimensionata a dovere. Per fare questo, è praticamente sempre indispensabile utilizzare dei convertitori DC-DC che regolino i valori di tensione rendendo disponibili solo quelli necessari solo per gli integrati che lo richiedono. A seconda del tipo di convertitore, è possibile che vengano svolte funzioni differenti. Oggi le vediamo insieme, anche applicate ad un caso pratico. Il Buck, ad esempio, è un convertitore a riduzione (step-down) con topologia visibile nella Figura 1.

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Figura 1: Schema esplicativo della configurazione circuitale “Buck”

Il metodo di funzionamento è particolarmente semplice anche da spiegare perché grazie alla chiusura dell’interruttore, l’induttore è connesso e così si carica. Aperto il contatto, invece, l’energia viene trasferita sul carico. Il tempo di commutazione è piuttosto importante nel funzionamento del dispositivo, ma sebbene sia così, il modo di funzionamento, cosiddetto “continuo”, non è l’unico perché esiste anche la possibilità della modalità “discontinua”; quando, infatti, la quantità di energia richiesta dal carico è bassa, essa viene trasferita prima del tempo che serve per effettuare la commutazione e, in questo caso, la corrente attraversa l’induttore ma si riduce man mano fino ad annullarsi entro il termine del periodo.

Questo stabilisce una differenza tra i due modi di funzionamento perché l’induttore viene completamente scaricato prima di raggiungere la fine del ciclo e questo si riflette nelle equazioni caratteristiche e nella dipendenza dal cosiddetto “duty cycle", ovvero il rapporto tra il “tempo di ON” (alto) ed il periodo completo. Dallo schema si capisce che il modo più semplice per abbassare il valore della tensione continua è utilizzare un partitore di tensione.

Si tratta di un metodo evidentemente poco efficace perché l’energia in eccesso viene semplicemente dispersa sotto forma di calore. Un convertitore di questo tipo può avere un alto valore di efficienza, anche intorno al 90% (quando parliamo di circuiti integrati). Viene utilizzato per tensioni tipiche pari a 12 V ma anche per alimentare integrati che ne richiedono di inferiori. Il Boost, in qualche modo il complementare del precedente, è rappresentato in Figura 2.

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Figura 2: Schema esplicativo della configurazione circuitale “Boost”

Si tratta, infatti, di una configurazione ad accumulo, ovvero un elevatore (in inglese, boost, per l’appunto). Questo lo qualifica come un convertitore DC-DC di tipo step-up che ha una tensione di uscita maggiore rispetto a quella dell’ingresso. L’analisi circuitale restituisce un funzionamento in due stati; come nel caso precedente, infatti, abbiamo lo stato “ON” e quello “OFF”. Nel primo, il commutatore è chiuso, il che causa lo scorrere della corrente all’interno dell’induttore. Nel secondo, invece, il commutatore è aperto e pertanto l’unico percorso possibile per la corrente va dall’induttore, attraverso il diodo, direttamente sul carico. Anche in questo caso, abbiamo il modo di funzionamento “continuo” e quello “discontinuo”. Nel primo, la corrente all’interno dell’induttore non scende mai a zero mentre nel secondo, dal momento che l’energia richiesta dal carico è inferiore a quella che il circuito può fornire, il trasferimento avviene in un tempo più breve rispetto alla durata dell’intero ciclo di commutazione e quindi ci si ritrova nella situazione analoga al caso di prima. Ancora una volta, il rapporto tra il tempo di “ON” ed il periodo del circuito influenzano il valore di tensione. A fronte di quanto detto finora, possiamo immaginare un convertitore buck-boost come una combinazione delle due soluzioni, ovvero un convertitore riduttore-elevatore che si riferisce a due tipologie diverse che possono produrre una tensione maggiore rispetto a quello in ingresso. Tra le peculiarità c’è la possibilità di realizzare l’inversione del valore di tensione oppure utilizzare un riduttore prima ed un elevatore poi in maniera tale che la tensione di uscita abbia la stessa polarità dell’ingresso ma di valore maggiore o minore. Sostanzialmente, una configurazione non invertente.

Anche per questa si definiscono un meccanismo di funzionamento in modo “continuo” ed uno “discontinuo”; siamo nel primo caso se la corrente all’interno dell’induttore non raggiunge mai il valore zero durante il ciclo di commutazione. Sempre nella condizione in cui l’energia richiesta dal carico fosse più bassa di quella che si può effettivamente trasferire all’interno di un periodo, saremmo in regime “discontinuo”, in cui la corrente scorre sempre all’interno dell’induttore ma in questo caso arriva al valore zero durante il periodo. Naturalmente, come per tutte le configurazioni, nel corso del tempo sono state immaginate diverse varianti; alcune di queste lavorano a frequenze più basse oppure con tensioni più elevate e possono anche utilizzare transistor bipolari piuttosto che MOSFET. Una delle varianti è quella sincrona, nella quale, invece di utilizzare diodi che semplicemente rispondono alla polarità della tensione applicata, vengono impiegati quattro MOSFET sincronizzati. Il “pulse skipping” merita una menzione particolare perché si tratta di una misura per ridurre l’afflusso totale di corrente dall’alimentazione, allo scopo di prolungare la durata della batteria. Esiste, infine, per concludere questa breve panoramica sulle possibilità che la conversione offre, una configurazione che prende il nome di flyback, illustrata in Figura 3.

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Figura 3: Esempio di configurazione “Flyback”

Si tratta di un alimentatore a commutazione (switching power supply) dotato, comunemente, di isolamento (di tipo galvanico) tra l’ingresso e l’uscita. La topologia di base, come vedete dalla stessa figura, è il medesimo di quello di un convertitore buck-boost in cui l’induttore è sostituito da un trasformatore o, per meglio dire, da due induttori accoppiati. Si tratta, probabilmente, dell’alimentatore più utilizzato al momento della realizzazione di una serie di dispositivi tra cui monitor, televisori, lettori ottici e via dicendo. Lo schema di principio di un convertitore flyback è molto semplice, dal momento che si tratta dell’equivalente di un convertitore buck-boost in cui l’induttanza viene sostituita da due induttori accoppiati. Il principio di funzionamento di entrambi i convertitori risulta particolarmente simile ed in entrambi i casi ci sono una fase di accumulo di energia all’interno del circuito su base magnetica ed una di restituzione dell’energia, ovvero di trasferimento. Il dimensionamento del circuito, dal punto di vista magnetico, serve a definire la quota parte di energia che può essere immagazzinata.

Non solo, però, perché così viene anche specificata la velocità che si può raggiungere nelle fasi di accumulo e di prelievo dell’energia stessa. Anche il funzionamento di questo commutatore può essere diviso in due fasi a seconda dello stato, “ON” o “OFF”. Nel primo caso, l’interruttore resta chiuso, il primario è collegato alla sorgente e quindi si ha un aumento del flusso magnetico, la tensione ai capi del secondario è negativa e compare una polarità inversa (interdizione) ai capi del diodo. Il condensatore all’uscita fornisce l’energia richiesta. Nel secondo stato, invece, l’interruttore risulta aperto e l’energia, una volta immagazzinata, viene trasferita dal trasformatore al carico. Anche per questo convertitore succede che la quantità di energia richiesta dal carico può essere bassa, nel qual caso verrà trasferita in un tempo così breve da essere inferiore al periodo totale; qui il flusso che circola nel trasformatore è nullo per la seconda parte del ciclo (cioè il tempo di “ON” è inferiore alla metà del periodo). L’isolamento galvanico che qui risulta evidente non è l’unica possibilità ma ce ne sono tante altre tra le quali si può scegliere anche e soprattutto in funzione della specifica applicazione. Il circuito che analizzeremo in questo articolo è illustrato nella Figura 4.

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Figura 4: Circuito completo dell’alimentatore con NCP1075

Rappresenta un alimentatore molto interessante, in una soluzione semplice, controllata dal lato primario, che produce 10 W in uscita. La sigla del componente principale è NCP1075, prodotto da ON Semiconductor. Si tratta di una soluzione interessante perché questa tipologia viene spesso impiegata in applicazioni di bassa potenza ma è frequentemente adottata in diversi dispositivi consumer come i lettori ottici, DVD e non, gli LCD e tanti altri ancora. Si tratta di un progetto di alimentazione che può essere impiegato su strumentazione oppure apparecchiature industriali in cui la tensione d’uscita può essere pari a 12 V (o superiore).

Vediamo, fin da subito, alcune delle caratteristiche principali:

  • Tensione di ingresso: 90-267 Vac
  • Potenza d’uscita: 10 W
  • Topologia: flyback
  • Isolamento: 2.5 kV
  • Tensione d’uscita: 12 Vdc +/- 5%
  • Ripple: 100 mV
  • Corrente nominale: 800 mA
  • Corrente massima: 1.2 A
  • Corrente minima: 50 mA per Vout<13 V
  • Contenitore: SO-223

Ed ecco qualche caratteristica tra le principali:

  • Rilevamento sul primario, nessun opto-isolatore per il feedback
  • Fino a 10 W in uscita
  • Filtro EMI in ingresso
  • Rettificatore Schottky in uscita per alta efficienza
  • Controllo in corrente tramite MOSFET interno

Il progetto non usa lo schema convenzionale di rilevamento/ritorno costituito dal TL431 e dal foto-accoppiatore, utilizzando al loro posto la misura sul primario con la linea di alimentazione Vcc derivata da un avvolgimento ausiliario del trasformatore.

Questa configurazione permette una regolazione di linea fine ed una regolazione di carico tipica che si attesta su un valore pari a +/- 5%, la quale è più adeguata ad una maggiore varietà di applicazioni. La regolazione di carico accettabile viene raggiunta da un accoppiamento (avvolgimento bifilare) tra i 12 V secondari e i 12 V aux dal trasformatore, che in Figura 5 appare in una rappresentazione schematica del tutto semplificata. Il circuito di rilevazione della tensione prevede l’utilizzo di un transistor BJT npn, Q1, ed uno Zener, Z1.

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Figura 5: Schema semplice del trasformatore ad avvolgimento bifilare

Quest’ultimo, in particolare, serve a fissare il valore della tensione di polarizzazione del transistor stesso al valore nominale. La regolazione ai capi del carico nell’intervallo di riferimento ed i valori di tensione d’uscita nominali possono essere anche ottimizzati, salvo ulteriori verifiche, tramite la sostituzione delle resistenze R5 ed R6 con dei valori che permettano soluzioni migliori. La limitazione rispetto ad un eccessivo valore di corrente viene realizzata tramite la rilevazione del valore di picco della corrente stessa grazie al MOSFET interno dell’NCP1075. Una volta che si supera il valore di riferimento, la soglia di 450 mA, infatti, il circuito si sposterà automaticamente in modalità “a singhiozzo” fino a quando il valore non si sarà abbassato, ovvero finché la condizione di sovraccarico non sarà stata eliminata. Tramite l’utilizzo di un altro diodo Zener, Z2, viene realizzata anche una protezione da sovratensione; questa permette di controllare il valore della tensione ed evitare problemi in condizioni di assenza di carico. In questa condizione, il valore d’uscita, infatti, sarà fisso a 15 V (con valore nominale pari a 12) e qui uno Zener da 500 mW effettuerà il taglio per rendere il valore accettabile. Tramite l’utilizzo dello stesso diodo è possibile abbassare il valore sino a 14 oppure 13 V, a seconda delle specifiche esigenze.

Alcune osservazioni:

  • Il valore della resistenza R4 dipende dal Vout setpoint
  • R1 può essere opzionale
  • Le linee più marcate indicano i piani di massa raccomandati
  • Per quanto riguarda Q1 si suggerisce l’MMBT2222A
  • L1A/L1B sono 7447728102 della Wurth

Nella Figure 6 e 7 riportiamo due grafici molto interessanti che danno l’idea del funzionamento del circuito. Il primo rappresenta la regolazione del carico in uscita mentre il secondo rappresenta il grafico dell’efficienza in funzione del carico come risultato descrittivo delle prestazioni del sistema.

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Figura 6: Diagramma della tensione in uscita in funzione del carico

 

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Figura 7: Diagramma di efficienza di conversione in funzione del carico

In definitiva, suggeriamo l’impiego di questa soluzione per applicazioni in cui sia necessario effettuare un controllo fine sulle prestazioni soprattutto nei sistemi che richiedono 10 W in uscita.

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