Op Amp Booster: topologie circuitali e principi di progettazione – Parte 1

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Nuovo appuntamento con la Rubrica Firmware Reload nella quale potete leggere gli articoli tecnici della passata rivista cartacea Firmware con all'interno tantissimi articoli sull'elettronica ancora di interesse per makers e professionisti. I comuni amplificatori operazionali necessitano spesso di circuiti di post-amplificazione utili a fornire al carico segnali caratterizzati da tensioni e/o corrente che gli amplificatori integrati monolitici non sono in grado di assicurare. Di questi circuiti, noti come Power Booster Amplifier, discuteremo topologie e principi di analisi e progettazione.

Nell’elettronica applicata si dispone oggi di circuiti amplificatori integrati per tutte le esigenze. Il limite di questi circuiti si manifesta quando la specifica applicazione necessita di segnali di tensione e/o corrente particolarmente elevati che l’amplificatore integrato monolitico non è in grado di assicurare. In questi casi, è necessario progettare o disporre di appositi “output booster,” o “post amplifier”. Tali amplificatori trovano collocazione fisica tra l’amplificatore di controllo o preamplificatore, normalmente di modesta potenza, e il carico. I comuni amplificatori operazionali, per esempio, ma non solo, necessitano spesso di circuiti di questo tipo per interfacciarsi al carico. Tali circuiti, noti come Power Booster Amplifier, presentano topologie circuitali, problematiche e principi di progettazione e analisi ben precise. Alcune application note di produttori di C.I., come National Semiconductor e Texas Instruments, trattano in maniera piuttosto esaustiva la problematica sia da un punto di vista teorico che pratico. Lo studio di questi documenti aiuta a comprendere i principi che sono alla base della progettazione topologica di questi circuiti e del loro dimensionamento, evidenziano le problematiche connesse al loro funzionamento e illustrano le tecniche e gli accorgimenti normalmente adottati per risolverle. Saper riconoscere le cause topologiche, di dimensionamento e di scelta dei componenti che sono alla base della comparsa in questi circuiti di determinati fenomeni è una condizione imprescindibile per un progettista che operi nell’ambito dell’elettronica applicata. Ciò vale, in parte, anche per quanti pur non progettando direttamente questi circuiti ne impiegano di già pronti e disponibili sul mercato.

VOLTAGE BOOSTER, CURRENT BOOSTER E POWER BOOSTER AMPLIFIER

Molti amplificatori monolitici presentano una dinamica di uscita di 24V o ±12V, sebbene alcuni modelli (LM143 per fare un esempio) possano raggiungere escursioni anche di ±35V. Molte applicazioni necessitano comunque di potenze in uscita molto maggiori di quelle che un operazionale monolitico è in grado di fornire. Fornire in uscita da un amplificatore monolitico correnti superiori a qualche decina di milliampere significherebbe infatti integrare transistor piuttosto grossi, con conseguenti problematiche legate alla necessaria dissipazione termica che dovrebbe essere garantita dallo stesso chip. Questo problema diventa più gravoso se l’amplificatore non è del tipo a commutazione, ma in classe B o AB come spesso accade per un booster amplifier. Per avere un’idea di ciò, è possibile pensare al pilotaggio di attuatori, stepper motor, shaker, altoparlanti audio di elevata potenza. Se si desidera un notevole guadagno in tensione e/o corrente per il segnale, invece di integrare questa capacità direttamente all’interno dell’amplificatore monolitico è allora opportuno aggiungere all’applicazione un ulteriore stadio di potenza separato. Si realizzano e si impiegano pertanto booster amplifier (si tratta in pratica di quelli che gli audiofili sono abituati a indicare con il termine “finale di potenza”) realizzati in forma discreta oppure in tecnica ibrida e funzionanti con correnti e/o tensioni di alimentazione normalmente molto superiori rispetto a quelle tipiche di un operazionale o di un comune preamplificatore. E’ da sottolineare, in realtà, come spesso si parli indifferentemente di Power Booster Amplifier sebbene sarebbe opportuno fare distinzione più correttamente tra Current Booster (per ottenere segnali elevati in correnti), Voltage Booster (per ottenere segnali elevati in tensioni) e Power Booster (per ottenere segnali di elevata potenza) amplifier.

APPROCCIO GENERALE AL PROBLEMA E CONSIDERAZIONI SULLE TOPOLOGIE CIRCUITALI

Un current booster è composto tipicamente da un push-pull in classe AB, che utilizza due transistor (npn e pnp) complementari (Figura 1).

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Figura 1: Schematizzazione generale di inserimento di un booster Amplifier nel percorso di feedback del preamplificatore e implementazione del booster come push-pull in classe AB

Topologicamente, si tratta di una configurazione del tutto simile a quella degli stadi di uscita di molti operazionali. Lo scopo è però quello di ottenere la capacità di fornire correnti molto superiori. La prima conseguenza è che questi transistor devono essere caratterizzati dalla capacità di fornire correnti elevate, molto superiori rispetto a quelle garantite dai normali transistor di segnale, specie quelli integrati all’interno dei circuiti monolitici. Non è difficile comprendere il problema, se si fa riferimento alle applicazioni dei push-pull in classe B o AB come finali di potenza in campo audio. Trattandosi normalmente di push-pull in classe AB ed essendo molto diffusi nel campo dell’audio di potenza (anche se questo è solo uno degli effettivi campi di applicazione!) è opportuno ricordare che si tratta di amplificatori che nulla hanno a che vedere, nella topologia e nel principio di funzionamento, con gli amplificatori switching come gli ormai diffusi amplificatori in classe D. Detto a livello generale della loro topologia, occorre comprendere in che modo vengano inseriti nella catena di amplificazione e con quali problematiche. Normalmente, il booster amplifier è inserito all’interno del feedback loop (anello di retroazione) dello stesso preamplificatore (Figura 1), in modo da conservare nel complesso i vantaggi legati alla retroazione come limitati effetti di deriva e variazioni parametriche, stabilità della caratteristica di guadagno e, cosa non meno importante, riduzione della distorsione del segnale. Lo stadio booster deve di conseguenza rispondere anche a due importanti esigenze: integrare accorgimenti che tengano sempre sulla soglia dell’accensione i due transistor complementari, in maniera da ridurre il più possibile gli effetti di crossover (distorsione) senza penalizzare eccessivamente l’efficienza dello stadio stesso da un punto di vista energetico; integrare opportune protezioni contro il corto-circuito dell’uscita e contro le sovracorrenti e quindi contro le sovratemperature che potrebbero danneggiarlo. Questo comporta la necessità di inserire opportunamente sul percorso della corrente di carico, su entrambi i rami dello stadio a transistor complementari, alcuni componenti come diodi di compensazione delle Vbe e resistori di opportuno valore al fine di introdurre circuitalmente dei vincoli su correnti e tensioni che interessano gli stessi transistor. Tali accorgimenti, peraltro già riconoscibili nello schema semplificato di Figura 1, saranno meglio discussi durante l’analisi dei circuiti che verranno mostrati nel corso dell’esposizione. Un voltage booster presenta una dinamica di uscita in tensione molto maggiore della tensione di alimentazione dell’amplificatore di controllo (preamplificatore), ed è per questo normalmente alimentato da una propria tensione di alimentazione adeguatamente elevata. Ciò non significa in ogni caso contemporanea capacità di fornire elevate correnti, dal momento che un voltage booster non è necessariamente anche un current booster. Potrebbe sembrare, da quanto detto, che per realizzare un voltage booster sia necessario sempre disporre di una sorgente elevata di tensione di alimentazione. In realtà, in alcuni casi è possibile ovviare, sebbene in parte, alla necessità di agire in tal senso. A prescindere da altre considerazioni esiste infatti un modo di comporre due amplificatori, sostanzialmente uguali, al fine di raddoppiare semplicemente lo swing di tensione al carico lasciando invariata la loro capacità di fornire corrente. Si tratta della topologia a ponte (Bridging Amplifier) che consente di raddoppiare l’escursione di tensione sul carico (da cui il termine Double Voltage Swing Amplifier) senza per questo dover raddoppiare la tensione di alimentazione dello stadio. Nel caso in cui si abbia a che fare con una coppia preamplificatore-amplificatore buffer di corrente, per esempio, è possibile implementare tale soluzione circuitale come in Figura 2.

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Figura 2: Double Voltage Swing ottenuto mediante connessione a ponte di due amplificatori (Bridging amplifier)

A prescindere dagli specifici componenti impiegati nel suddetto schema, la soluzione rimane topologicamente valida in generale. Nella schematizzazione di sinistra nella figura, il buffer di corrente LH0002 sull’uscita di ciascun amplificatore LF412 garantisce al carico la stessa corrente massima che garantirebbe in ogni caso. Poiché un amplificatore inverte il segnale mentre l’altro non lo inverte, in uscita i due segnali vengono combinati in opposizione di fase. Questo è il motivo per cui i due rami amplificatori sono “sostanzialmente uguali” ma non del tutto (dovendo appunto essere uno invertente e l’altro non invertente). Quando il primo fornisce in uscita un segnale positivo (es. +12V) l’altro fornisce sulla sua uscita lo stesso segnale negativo (es. -12V) e viceversa, per cui ai capi del carico si ritrova uno swing di tensione raddoppiato (es. 24V). In sostanza, il current booster o buffer di corrente dota il circuito della capacità di fornire al carico la corrente desiderata indipendentemente dal bridge, mentre la connessione a ponte aumenta lo swing di tensione massimo ottenibile portandolo al doppio del valore della tensione di alimentazione. Il carico in questo caso diviene svincolato dal riferimento di massa. La stessa cosa si può ottenere inserendo nello stesso circuito componenti differenti come l’LT1012 (preamplificatore) e l’LT1010 (current booster) come schematizzato a destra nella stessa Figura 2. Ovviamente, la connessione a ponte è adottabile se il raddoppio dello swing di tensione rispetto a quello di alimentazione è sufficiente ai propri scopi e se non è possibile disporre in altro modo di tensioni di alimentazioni elevate. E’ da osservare che a parità di carico, raddoppiare lo swing di tensione in uscita significa quadruplicare la potenza fornita al carico stesso. Se la tensione ai capi del carico raddoppia, infatti, la stessa cosa, a parità di carico (e quindi di impedenza di carico) succede alla corrente da cui la quadruplicazione della potenza. Ovviamente, lo stadio booster di corrente deve essere scelto in maniera tale da poter garantire questo incremento di corrente in uscita. Tornando al voltage booster e in particolare al percorso di feedback, è evidente come sia necessario implementare questo opportunamente se l’uscita dello stadio booster presenta uno swing di tensione molto superiore rispetto a quello del preamplificatore. In questo caso, l’uscita deve essere interfacciata al feedback attraverso un opportuno circuito riduttore di tensione. La Figura 3A mostra, per esempio, un modo non corretto di eseguire il loop dal momento che questa realizzazione è sicura solo se l’uscita del booster non supera mai la dinamica ±15V, cosa che normalmente non avviene dal momento che se si alimenta il booster a tensione ±100V è proprio per poterne sfruttare una dinamica altrettanto ampia. È necessario allora utilizzare un’adeguata rete riduttrice, come quella riportata in Figura 3B.

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Figura 3: A) Modo non corretto di implementare il feedback tra booster di tensione e preamplificatore; B) modo corretto di implementare il feedback (rete riduttrice)

In una situazione del genere, bisogna porre particolare attenzione alla resistenza R2 che non deve mai lasciare aperto il percorso verso massa, pena il riporto sul preamplificatore dell’intera tensione di uscita del booster. E’ da osservare comunque che nella maggior parte delle applicazioni si necessita di un aumento di potenza il che comporta la necessità di aumentare sia lo swing di tensione disponibile e l’amplificazione del segnale di tensione che la capacità del booster di erogare corrente al carico. I transistor complementari dovranno pertanto essere in grado sia di sopportare elevati livelli di tensione che essere in grado di fornire la corrente richiesta dal carico. Per esempio, un amplificatore audio con un carico standard da 8 ohm, per erogare una potenza di 100 watt necessita di tensioni di alimentazione del booster intorno a 40V e corrente erogabile di picco maggiore di 5A (considerando anche l’inevitabile potenza dissipata), da cui la necessità di dissipare anche sufficiente potenza termica. La progettazione e/o l’impiego di un booster in ogni caso differisce a seconda dell’applicazione cui lo stadio è destinato (per esempio, a seconda che si necessiti di un booster di tensione piuttosto che di corrente o di potenza). Quando si inserisce il booster all’interno dell’anello di retroazione del preamplificatore si innescano inevitabilmente diverse problematiche. Tale operazione modifica infatti la risposta in frequenza del circuito rendendolo potenzialmente instabile e soggetto quindi all’innesco di oscillazioni. La cosa è facilmente comprensibile dal momento che un ulteriore stadio all’interno dell’anello aggiunge inevitabilmente allo stesso guadagno e scostamento di fase. Il far parte del percorso di feedback, pertanto, se da un lato garantisce ancora l’insensibilità verso derive e stabilità del guadagno e riduce gli effetti di distorsione dello stadio, dall’altro comporta la necessità di apportare spesso adeguate compensazioni in frequenza. La Figura 4 riporta due esempi che illustrano concettualmente e in maniera semplice, in un caso specifico, la possibile soluzione al problema. La Figura 4 mostra l’LT1010, un current booster da 150mA, inserito all’interno del percorso di retroazione di un amplificatore a FET. Alle basse frequenze il buffer è all’interno del feedback per cui lo stadio presenta offset e guadagno molto stabili.

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Figura 4: Cf cortocircuito fuori dal ramo di retroazione, i segnali ad alta frequenza contrastano l’innesco di oscillazioni

La capacità tende a cortocircuitare le alte frequenze estromettendole dal feedback stesso e prevenendo così shift di fase che possano innescare instabilità. In pratica, Cf modifica il comportamento in frequenza del guadagno di anello e del circuito più in generale rendendolo più stabile. Quanto la modifica alla risposta in frequenza e la riduzione della banda sia accettabile, dipende dalla particolare applicazione e in molti casi potrebbe comunque essere utile per filtrare rumori o componenti frequenziali indesiderate ma sovrapposte al segnale utile. E’ ovvio che sul comportamento in frequenza del circuito entrano in gioco anche le caratteristiche in frequenza dei transistor che compongono lo stadio booster. Molti transistor di potenza oggi presentano una risposta in frequenza abbastanza ampia; questo da un lato può essere considerato un vantaggio, dall’altro è un potenziale pericolo in quanto può favorire l’innesco di oscillazione. Opportune reti RC oppure piccoli induttori in serie al carico, come in Figura 1, possono smorzare e soffocare il potenziale innesco di oscillazioni. Da un punto di vista dell’approccio generale al problema, la realizzazione di un booster di tensione o di potenza pone anche ovvi problemi dal punto di vista della sicurezza in considerazione dei livelli di tensione di alimentazione e di quelli di tensione e corrente generati, che possono risultare potenzialmente pericolosi se non letali in alcuni casi.

 

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