
Quando ho fondato Elettronica Open Source avevo in mente solo "Open" e "Condivisione". Il sogno era quello di mettere in comune con tutti i miei progetti ed allo stesso tempo di far condividere i progetti altrui. Questa idea è poi divenuta un vero e proprio stile di vita basato sulla condivisione del know-how. Purtroppo però in questo ambiente alcune persone più scaltre di altri (inteso nell'accezione più negativa del termine) hanno avuto vita facile. Non è certo mia intenzione chiudere l'Open Source, ma sicuramente revisionarne il modello, questo sì. Da un modello utopico di tanti verso tanti si sta passando troppo rapidamente ad un modello di uno verso tanti e questo è un pericoloso collo di bottiglia per l'Open, ed anche per l'uno che si sacrifica. E' bene quindi sottolineare che Open Source non significa gratis, perché c'è sempre qualcuno che ha pagato per quello che oggi abbiamo disponibile, ed è bene che questo venga rispettato, così nella società come nella tecnologia.
Di ritorno dall'IoE & Wireless Day di Bologna, riflettevo su come ormai l'Open Source sia sempre più sfruttato e sempre meno supportato! All'evento ho incontrato anche alcuni utenti della nostra community, soprattutto Abbonati Premium, ma ho anche avuto modo di intrattenermi con alcuni amici progettisti elettronici. In pratica ho raccolto il loro malumore in materia, confrontandolo con il mio, per raggiungere una conclusione che avevo in mente da anni. Sempre la stessa. L'Open Source così come è adesso, non è più sostenibile!
La mia visione di Open Source, sia software che hardware è basata sui principi di Lessig: chi accende una candela da te s'illumina anche lui, ma non ti lascia al buio, ma questa idea, forse utopia direi, deve poi essere messa in pratica. La proiezione quindi, di questo pensiero nella realtà, è a mio avviso rappresentata da due parole che ben identificano la situazione attuale: embrace e leech!
Embrace come abbracciare, come coinvolgere, aiutare, prendere per mano e condurre alla soluzione.
Leechers come sanguisughe, approfittatori del lavoro altrui, parassiti a cui tutto è dovuto.
Sinceramente speravo in regolamentazioni ed in tutele maggiori dalle licenze… speravo in una normativa e dalle varie associazioni in maggiori supporti legali, quanto meno a deterrente, ma quando anche Alicia Gibbs dichiara che Open Source significa "dar via il proprio baby", senza batter ciglio, allora direi che non ci siamo proprio.
Io alla mia "creatura", al mio progetto sul quale ho passato lunghe notti insonni, per il quale ho sacrificato affetti ed anche rifiutato progetti remunerativi CI TENGO, e non voglio darla via così.
Capiamoci bene, NON intendo certo chiudere a chiave i progetti nel cassetto, altrimenti non esisterebbe questo blog, ed è mia assoluta convinzione che la condivisione sia fondamentale (share for life), ma non è giusto che per un ragazzo che viene aiutato nel suo progetto, ci siano altre decine di persone che se ne approfittano.
Io la mia "creatura" voglio darla via, voglio condividerla, ma alle mie condizioni, molto semplici, è cioè che le venga attribuita la paternità dell'opera. Questo piccolo presupposto altro non è che la base delle licenze più comuni, ma che, parliamoci chiaro, quasi nessuno rispetta!
Ma a cosa servono queste piccole clausole se nessuno le osserva?
Se Open Source significa lavorare duramente per alcuni e vedere la maggioranza approfittarsene allora non mi piace! Se significa assistere all'abbandono di progetti meravigliosi per mancanza di aiuto e vedere alcune parti degli stessi progetti riutilizzate gratis da altri per scopi commerciali, non mi piace! E non mi piace nemmeno dover tollerare tutto questo!
Concorderete come me, in molti già lo avete fatto, che questo modello è ormai superato ed è dunque necessario trovare nuove definizioni, nuove forme di tutela a supporto dei makers, dei progettisti etc., e che siano di aiuto anche per chi distribuisce liberamente queste opere.
Per un Arduino che ha avuto successo, ci sono centinaia di altri progetti altrettanto VALIDI che invece sono falliti con enorme dispendio di energie... quelle stesse energie sfruttate e commercializzate da pochi… siamo alle solite.
Una soluzione deve essere trovata per permettere all'Open Source di vivere e continuare la sua strada verso l'embrace, sconfiggendo o comunque limitando i leechers.
Proverei a fare un semplice ragionamento sul quale poi sarebbe bene discutere per esplorare meglio le possibilità e giungere ad una soluzione condivisa.
Conoscete tutti Wikipedia, ma forse non tutti siete a conoscenza della profonda crisi che sta vivendo in questo momento. Un progetto con quella portata ha costi di gestione sempre elevati perché deve sostenere una mole importante di traffico (10 miliardi di pagine viste al mese per la sola versione inglese!) ed è costantemente bersagliata da spammer il cui unico fine è quello di inserire i loro link all'interno dei contenuti per ottenere maggiore visibilità sui motori di ricerca o di farsi semplicemente pubblicità. Questo comporta un enorme costo anche in termini di revisori. Quelli retribuiti costano, quelli non retribuiti, oggi ci sono, domani forse, inoltre spesso non sono affidabili (l'affidabilità delle informazioni su Wikipedia è stata stimata da varie fonti e presentano risultati che vanno dal 40% al 60%, quindi possiamo affermare che su circa la metà delle informazioni ci sono inesattezze, più o meno gravi) oppure hanno secondi fini, al di fuori dello spirito dell'"enciclopedia libera".
L'enciclopedia libera è una gran cosa, ma se ci fosse uno sponsor che pagasse tutte le spese? Non sarebbe meglio avere un'enciclopedia libera sponsorizzata ed affidabile piuttosto che una completamente libera ma con un'alta percentuale di errore?
E se invece si prevedesse il pagamento di un piccolo abbonamento? Magari al costo di 1$ l'anno! Chi non potrebbe permetterselo? Considerato l'alto numero di visitatori si raggiungerebbero in fretta centinaia di migliaia di dollari (a mio avviso in maniera senz'altro più dignitosa rispetto all'inserimento di banner per le donazioni, che fa tanto charity…) ovviamente per i collaboratori l'abbonamento potrebbe essere free e si potrebbe ipotizzare anche un trattamento speciale e gratuito per gli utenti provenienti dai Paesi più poveri, dove anche un dollaro può avere la sua importanza.
Questi i miei two cents, lanciate i vostri ora 🙂

Non so se sono d'accordo… se ci fosse uno sponsor non sarebbe più libera.
Eh…. più o meno tutti qui sanno che io sono tristemente d’accordo con te.
Il privato rende ogni libera iniziativa non più libera ma condizionata ad esigenze di marketing, di budget, di logica aziendale e così via dicendo…
Ciò nondimeno la “domanda” di emanuele resta: il tema della sostenibilità non si può trattare con superficialità. Va approfondito.
Quindi ti ripropongo la domanda: la sostenibilità si affronta come?
Perchè che tutto abbia un costo è un fatto, al di là del desiderio di libertà…
Ma i redattori riveleranno se sono pagati?
http://arstechnica.com/tech-policy/2014/06/wikipedia-creates-new-rules-forcing-editors-to-disclose-if-theyre-paid/
Ciao a tutti, e ciao Emanuele,
è la prima volta che scrivo, sono abbonato da pochi mesi, di elettronica ne so abbastanza poco (sono perito eletronico ma ho sempre fatto software, seppure in ambito industriale) e da anni sono un convinto sostenitore del software libero.
Mi occupo principalmente di sistemi embedded su piattaforma gnu/linux e android, quindi conosco abbastanza le implicazioni del discorso sul lato software, meno su quello hw.
Fatta questa premessa, mi piacerebbe dare il mio contributo a questa discussione:
innanzitutto permettimi di notare che il tuo sfogo, seppure legittimo e sicuramente motivato, non lascia molto capire a quali modalità ti riferisci e quali soggetti o eventi hanno creato in te tanta amarezza.
Forse citando casi più concreti sarebbe più semplice concordare o contestare.
Ok, di sanguisughe è pieno il mondo, a volte piccole, altre volte grosse corporate. Ci sono da prima del software libero e dell'open source e lo sfruttamento e il tentativo di delegittimazione del lavoro altrui è piuttosto diffuso.
Però sinceramente non ci vedo una diretta relazione con il modello open, anzi.
Ovvero, se si decide (nessuno ci costringe) di adottare quel modello io penso lo si debba adottare fino in fondo.
Per questo ho sempre sostenuto le battaglie di un certo Stallman, anche quando qualcuno le derubricava come esagerate e troppo integraliste.
Per questo mi sento di sottoscrivere le parole di Alicia Gibbs; però senza estrapolare una frase dal suo contesto.
Andandomi a leggere il link che tu hai inserito, leggendomi tutta l'intervista, ritrovo tutti i principi che hanno ispirato il movimento del software libero tradotti nel lato hardware.
La frase che tu incrimini (e bisognerebbe tra l'altro vedere se quel "dare via" nella versione originale inglese ha lo stesso esatto significato) è all'interno di un periodo che misento di sottoscrivere 100 volte, e che è alla base dei principi del software libero così come definito nelle 4 libertà fondamentali della free software foundation.
Tutto questo ovviamente non vuol dire rinunciare alla paternità dell'opera, rinunciare ai propri diritti e anche ad un giusto compenso per il proprio lavoro.
Facendo il parallelo con il sw, non si parla di freeware, ovvero di software di libero dominio, ma di free software, ovvero software tutelato da precise licenze che si poggiano sulle stesse leggi del copyright.
Questo pone dei vincoli (a volte anche molto stretti) su chi usa tali prodotti. Allo stesso tempo impone a chi adotta tale modello di "rinunciare" all'esclusività del proprio lavoro.
Però se qualcuno ti chiede di sviluppare un progetto hw o sw che sia, è giusto e sacrosanto che il tuo tempo venga pagato.
A questo punto ovviamente si pone il problema (non piccolo e non banale) della tutela nei confronti delle sanguisuga 🙂
A parte il problema di far eventualmente valere i propri diritti davanti ad un giudice, mi pare di capire che lato hw non ci sia la chiarezza sulle licenze adottate e sugli obblighi che queste impongono… o mi sbaglio?
Forse un maggiore sforzo in questo senso nel definire una serie di licenze anche per i progetti hw aiuterebbe.
Per il concetto di sostenibilità il discorso è molto più ampio e complesso e dipende da caso in caso. L'importante è garantire che chi finanzia tali progetti non abbia troppa influenza poi nelle scelte strategiche, nel mettere paletti e nel limitare eventualmente la libertà dell'utente.
Solo come esempio, il caso openoffice/libreoffice dovrebbe insegnare, ma ce ne sono di altri simili.
Chiudo dicendo che io confido ancora, e anzi sempre di più, che il modello open (se ben attuato e applicato) possa essere il giusto modo per affermare la propria professionalità e attirare i giusti investimenti per dare un giusto compenso al proprio lavoro.
Ovviamente dobbiamo rompere il connubio open=gratis, come giustamente dicevi, e resistere ai frequenti tentativi di delegittimazione o di "finti libertari".
Se però, tornando sul discorso hw, il successo di progetti come arduino vogliono dire qualcosa, se aziende come TI (per dirne una, ma non è la sola) mettono i gerber della beagle bone a disposizione con tutti i BSP, se tutta l'avanzata del movimento maker (seppure spesso relegato a ruolo hobbystico) pone nuove prospettive, io penso che la strada possa essere quella giusta.
Lato sviluppatori e progettisti, si tratta forse di rivedere i modelli di business precedenti e puntare non più a fare soldi "vendendo un'idea o un progetto" ma vendendo competenza e professionalità.
Che questo sia facile da attuare, soprattutto in un mercato come quello italiano, è tutto un altro discorso. Io nel mio lavoro purtroppo non posso applicare questo modello perchè i miei committenti scelgono altro, ma spero che un po' alla volta si possa diffondere questa cultura anche in ambito industriale e si possa capire quante opportunità si potrebbero aprire.
Mi scuso per la lunga, troppo lunga, risposta, ma hai sollevato una questione che richiederebbe settimane di tavole rotonde 🙂
Spero solo che l'amarezza nel constatare l'atteggiamento di alcune mele marce non ti scoraggi nel perseguire un modello che spero abbia ancora molto da dire… ci vuole però più cultura su certi temi, a cominciare dalle scuole, e iniziare ad accettare modelli meno liberistici ma più liberi!
Che bella risposta.
Però facciamo che si parla solo di OpenOffice e non di LibreOffice visto che il secondo è terribile…
Hai ragione quando dici che questo articolo è evidentemente uno sfogo. Non saprei dire se questo lo rende meno valido dato che meno obiettivo.
Ad ogni modo, rendere un privato ininfluente nelle decisioni è assurdo. Così non è un modello gestionale e di business ma una fondazione.
Funziona eh per carità. Ma è un’altra cosa.
La libertà è un bene prezioso, così prezioso che andrebbe razionato…… (cit.)
Salvatore,
il punto è proprio questo, sul quale basare la discussione:
è meglio un’enciclopedia libera MA con informazioni false o incomplete (al 50%) oppure una sponsorizzata, sempre gratuita ma affidabile? Oppure ancora una a pagamento, con prezzo politico di 1$, NON sponsorizzata e quindi “libera”?
Io personalmente preferirei pagare 1$ l’anno ed avere un’enciclopedia affidabile anche se pseudo-libera.
Anche perché non dimentichiamoci che se Wikipedia continua il declinio, avrà ormai gli anni contati…..
Leggendo l’articolo riflettevo sul differente valore attribuito ai contenuti scritti in epoca digitale rispetto alla precedente epoca della stampa.
Ora, con la diffusione di Internet si tende a dare minore importanza ai contenuti disponibili in Rete o comunque ci trova spesso nella condizione di pretendere che tali contenuti siano fruibili gratuitamente. Ma le cose non sono sempre andate così! Se pensiamo all’epoca precedente alla rivoluzione digitale ci rendiamo conto che il concetto di gratuità non viaggiava di pari passo con i contenuti. Chiunque avesse voluto disporre di un contenuto (in questo caso sotto forma di libro) avrebbe dovuto pagare un compenso al suo autore.
L’invenzione della stampa ha fatto sì che ad ogni opera venisse attribuito un autore e che l’autore percepisse una retribuzione per la diffusione della sua opera.
Perché oggi suona invece così bizzarra l’idea di dover pagare per poter fruire di un contenuto di qualità? Perché articoli scritti da professionisti, che si servono di un differente medium per la diffusione dei propri contenuti, dovrebbero “godere” di un trattamento differente?
Certo! Esistono delle tutele per gli autori… si pensi ad esempio al modello del copyleft, ma forse non sono abbastanza! A mio avviso è necessario combattere una forma mentis sempre più diffusa nella collettività che associa il concetto di open con l’idea di gratuità.
Ciao Sara,
concordo con la conclusione del tuo ragionamento e spesso nel LUG che frequento ho dibattuto sull'errore di far passare il mesaggio "Linux e' bello perche' e' gratis" (banalizzo). Per questo parlavo di cultura, di presa di coscienza culturale senza la quale la diffusione del movimento open potrebbe arenarsi in fretta.
Detto questo pero' non vorrei neanche tornare a situazioni "di epoche precedenti" dove per trovare una specifica su un protocollo dovevo pagare centinaia di euro di affiliazione ad un'organizzazione, dove per trovare informazioni tecniche di valore dovevo "per forza" acquistare costosissimi testi di cui magari mi interessava un 20%… insomma, ok la tutela e il giusto compenso ma attenzione a non essere troppo nostalgici 🙂
Una cosa e' il giusto riconoscimento del lavoro svolto, altra cosa e' trattare la conoscenza e le idee come esclusive e propietarie… quanto poi non si deborda in situazione assurde per cui si possono brevettare i bordi arrotondati!
Io continuo ad acquistare testi tecnici sia cartacei che elettronici. Pero' mi si deve spiegare perche', ad esempio, non abbia il diritto di leggermi un ebook acquistato dalla nota azienda americana con il lettore che preferisco.
Oppure perche' un'edizione elettronica costi a volte solo un paio di euro in meno rispetto alla cartacea (su un testo da 30/40euro).
Il modello che descrivi tu (e che tra l'altro non tutela solo gli autori, ma soprattutto le case editrici… vedi anche parallelo SIAE) spero un giorno possa essere superato. O per lo meno possa evolvere.
E spero che anche gli autori "di livello" capiscano che a volte dare maggiore liberta' ai propri utenti/lettori equivale ad un ottimo ritorno di immagine, ad essere chiamati per corsi/workshop/seminari pagati e insomma a favorire il proprio business. Questo pero' presuppone il superamento dell'idea di fare soldi per un'ottima idea che ho avuto o per "quella volta che ho scritto quel magnifico testo/programmato quel bellissimo software/progettato quel bellissimo circuito"…
tutto ovviamente secondo personalissima opinione 🙂
La mia non è una visione nostalgica, bensì un semplice confronto… ogni epoca possiede le proprie assurdità!
Comunque sono d’accordo con te: la giusta via in questi casi è spesso nel mezzo!
Io sono d'accordo con il pagare una cifra bassa, in modo che non sia un peso per l'Open e allo stesso tempo possa aiutare il suo sostentamento, secondo me un esempio potrebbe essere Whatsapp
Beh, non per fare l’avvocato del diavolo, ma Whatsapp non è open source 😉
E lì c’è pure l’aggravante che quel sistema, sebbene offra un servizio, che funziona per carità, non ha inventato niente di nuovo.
Chiamate e messaggi esistono da una vita e funzionano alla grande 😉
Non voglio fare il bastian contrario ma l’Open Source ha lo scopo di diffondere conoscenza e creare avanzamento sullo stato dell’arte basandosi sulla condivisione.
Non è un po’ ardito comparare una filosofia di così ampio respiro con un’operazione commerciale in grande stile? 😀
Beh, non per fare … ma nessuno ha detto che Whatsapp è open source e quant altro menzionato dal tuo commento filosofico 😉
il mio esempio era legato esclusivamente al buon funzionamento del sistema e relativo sostentamento.
Forse c'e' stato un fraintendimento sull'esempio whatsapp (che non uso e non conosco, quindi non mi permetto di giudicare nel merito) e forse Mike voleva solo dire che il caso whatsapp (come altre app) dimostra che gli utenti sono disposti a spendere qualcosina, se le cifre sono basse… ma poi adesso non e' diventata gratis?
Pero' l'esempio, per quanto non sia effettivamente pertinente con il mondo e la filosofia open source, mi da lo spunto per affermare un cosa di cui sono sempre piu' convinto, e forse rientra nella discussione:
La maggior parte delle app per mobile, sia a pochi euro che quelle (paradossalmente di piu') a costo zero, rischiano di fare del male al FOSS in quanto, in maniera piu' "subdola" di quello che fanno costosi software commerciali per PC, rendono gli utenti sempre piu' ignoranti sull'importanza dei principi che stanno alla base del software libero.
Il fatto di poter accedere ad app gratuite o a pochi euro porta ad accettare di installare software proprietario senza porsi troppi quesiti, e minando quindi alle fondamenta lo sviluppo di software open anche in ambito mobile.
Ovviamente esistono eccezioni, esistono app open e free, ma in generale questa diffusione "inconsapevole" rischia di minare le basi del FOSS.
A parte potenziali problemi legati alla sicurezza e alla privacy (cosa fa un'app con i dati del nostro telefono?) esiste proprio un problema di difficolta' maggiore di far percepire l'importanza dei principi del FOSS (per chi ne e' convinto).
Visto che dalle chat siamo partiti: a me utente generico e poco interessato di informatica che cosa mi interessa se skype, whatsapp &co sono a codice chiuso, visto che sono gratis e utilizzabili senza problemi?
Cosa mi interessa se l'app di gestione degli appuntamenti e' proprietaria cosi' come l'app per prendere appunti e note?
Perche' mi dovrei preoccupare di sostenere (e al limite finanziare) un equivalente progetto libero?