Le emissioni di CO2 in Cina si riducono del 25% come conseguenza di una delle più gravi epidemie virali del secolo. Il consumo di energia della Cina è fortemente dominato dalle industrie ad alta intensità energetica e dal comparto produttivo. Conseguentemente all'epidemia di COVID-19, gli scenari cambiano e con essi gli impatti sulla domanda di energia, produzione industriale ed emissioni inquinanti.
L'epidemia virale di COVID-19 (cfr. The New York Times per la mappa aggiornata in tempo reale) ha temporaneamente ridotto le emissioni di CO2 in Cina, a seguito del black out industriale imposto come misura di contenimento. Attualmente la Cina è il paese con le più alte emissioni di CO2 globali che contribuiscono in modo determinante ai cambiamenti climatici causati dall'uomo. A seguito dell'epidemia di coronavirus, tali emissioni sono diminuite di circa il 25%. Le misure per contenere il COVID-19 hanno portato a riduzioni dal 15% al 40% della produzione in settori industriali chiave, è molto probabile che questo abbia spazzato via un quarto o più delle emissioni di CO2 del paese come conseguenza dello stop prolungato della produzione industriale, normalmente in blocco solo durante il periodo del capodanno cinese. I settori industriali che hanno rallentato la produzione comprendono carbone, acciaio, petrolio ed altiforni, con un consumo medio di carbone nelle centrali elettriche sceso al minimo dagli ultimi quattro anni. Tuttavia, se da un lato rappresenta un vantaggio per la stabilità del pianeta e della vita umana che queste industrie fortemente inquinanti siano messe in pausa, dall'altro è un danno ingente per l'economia cinese.
Scenari e previsioni
Gli indicatori di attività settoriale forniscono per l'andamento delle attività industriali un quadro abbastanza chiaro. In particolare, a subire una forte contrazione sono stati il consumo di carbone nelle centrali elettriche, la produzione di carbone, l'impiego delle cockerie, in aggiunta ad una drastica riduzione dei livelli di NO2 su base satellitare e dell'utilizzo della capacità di raffinazione del petrolio. Dalle analisi delle indagini di settore, complessivamente in Cina si assiste ad una netta riduzione dei tassi operativi di capacità industriale, la domanda di elettricità e la produzione industriale rimangono di gran lunga al di sotto dei livelli abituali:
- il consumo di carbone nelle centrali elettriche è diminuito del 36%;
- i tassi operativi per i principali prodotti siderurgici sono diminuiti di oltre il 15%, mentre la produzione di acciaio grezzo è rimasta pressoché invariata;
- la produzione di carbone è scesa del 29%;
- l'utilizzo delle cokerie è sceso del 23%;
- i livelli di NO2 su base satellitare sono inferiori del 37%;
- l'utilizzo della capacità di raffinazione del petrolio è stato ridotto del 34%.
I tassi di funzionamento di altiforni, acciaierie, così come quelli delle raffinerie, sono scesi al livello più basso dall'autunno 2015, indicando una prospettiva fortemente ridotta della domanda di petrolio. Durante il 2019 la Cina ha rilasciato circa 800 milioni di tonnellate di CO2, ciò significa che il virus avrebbe ridotto le emissioni globali di 200MtCO2 fino ad oggi. Le prime analisi dell'International Energy Agency (IEA) e della Organization of the Petroleum Exporting Countries (OPEC) suggeriscono che le ripercussioni dell'epidemia potrebbero raddoppiare fino al mezzo percento sulla domanda mondiale di petrolio tra gennaio e settembre di quest'anno.
Analisi dei dati
La fonte più attendibile sono gli indicatori di utilizzo della capacità industriale - centrali a carbone, altiforni, coke, prodotti siderurgici, raffinerie - che si sono ulteriormente deteriorati nella settimana che inizia il 10 febbraio, quando si prevede che le attività riprendano ufficialmente dopo il capodanno cinese. Le misure adottate dalla Cina e da altri paesi per contenere il virus stanno anche avendo un impatto drammatico sui volumi del trasporto aereo. Il fornitore di dati del settore segnala riduzioni del 50-90% della capacità sulle rotte in partenza dalla Cina continentale ed una riduzione del 60-70% sui voli nazionali all'interno della terraferma. Sulla base delle stime dell'ICCT (The International Council on Clean Transportation), tali voli erano responsabili del 17% delle emissioni totali di CO2 del trasporto aereo passeggeri nel 2018, il che implica che le sospensioni e le cancellazioni di voli in corso hanno ridotto le emissioni globali di CO2 dei voli passeggeri di circa l'11% (3Mt ). Nel periodo di quattro settimane a partire dal 3 febbraio 2020, il consumo medio di carbone nelle centrali elettriche che riportavano dati giornalieri è sceso al minimo di quattro anni, senza alcun segno di recupero nei dati più recenti relativi a domenica 1 marzo. Similmente, i tassi di funzionamento della raffineria nella provincia di Shandong, principale sito del paese per la raffinazione del petrolio, sono scesi al livello più basso dall'autunno 2015, inoltre la domanda sottostante di prodotti petroliferi, acciaio ed altri metalli, è diminuita molto più della produzione. Le riduzioni nell'uso del carbone e del petrolio greggio indicano una riduzione delle emissioni di CO2 del 25% o più, rispetto all'equivalente periodo di due settimane dopo le vacanze di capodanno cinesi relative al 2019, ciò corrisponde a circa 100MtCO2 in meno.
Un'eccezione alla più ampia recessione è stata la produzione di acciaio primario, che ha continuato a funzionare per tutto il nuovo anno e le vacanze prolungate, al contrario, la produzione dei principali prodotti siderurgici è in calo di un quarto.
Un'ulteriore conferma della riduzione dell'uso di combustibili fossili deriva dalle misurazioni satellitari di NO2, un inquinante atmosferico strettamente associato alla combustione di combustibili fossili e proveniente dai trasporti e dalle fabbriche. La prima riduzione di NO2 ha riguardato Wuhan per poi diffondersi in tutto il paese. Nella settimana dopo le vacanze del capodanno cinese del 2020, i livelli medi erano inferiori del 37% sulla Cina rispetto allo stesso periodo del 2019, come illustrato in Figura 1.
In Figura 2 e Figura 3, immagini fornite dalla NASA, viene mostrata la riduzione di biossido di azoto (NO2) e dell'inquinamento pre e post coronavirus.
Qualsiasi impatto prolungato sull'uso di combustibili fossili verrebbe dalla riduzione della domanda che gli indicatori iniziali suggeriscono possa avere un impatto notevole. Dal punto di vista della domanda, l'effetto diretto a più lungo termine delle chiusure di fabbriche potrebbe essere molto più limitato, dal momento che la riduzione del 25% del consumo di energia e delle emissioni per due settimane ridurrebbe solo i dati annuali di circa l'1%. A parte le festività annuali del capodanno cinese, gli arresti di una settimana o più non sono eventi rari in Cina che possiede una sostanziale sovraccapacità in tutte le principali industrie che emettono CO2, il che significa che i volumi di produzione e le emissioni possono recuperare rapidamente se è presente la domanda. D'altra parte, se la domanda dei consumatori viene ridotta, ad esempio a causa di salari non pagati durante la recessione, la produzione industriale e l'uso di combustibili fossili potrebbero non recuperare anche se è disponibile la capacità per farlo. Lo sfondo di questo scenario è che il 2020 doveva essere l'anno della vetrina per i risultati economici della Cina, segnando il raggiungimento dell'obiettivo del "building a moderately prosperous society", fissato un decennio fa.
Puntare sugli investimenti in energia pulita ed efficienza energetica sarebbe un modo naturale per conciliare la necessità percepita di sostenere la crescita economica e l'ambizione dichiarata dalla Cina di contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici. Attualmente il settore dell'energia pulita sta funzionando ben al di sotto delle capacità, a causa del rallentamento degli investimenti in fonti energetiche non fossili ed in veicoli elettrici nel 2019.
Prospettive future
Se il governo cinese istituisse una sorta di pacchetto di stimolo per rilanciare l'economia a seguito di questa recessione, tali riduzioni temporanee di emissioni potrebbero essere compensate entro solo la fine dell'anno e le prossime misure di rilancio economico da parte del governo cinese in risposta all'interruzione potrebbero superare questi impatti a breve termine sull'energia e sulle emissioni. Gli investimenti in grandi progetti di costruzione per risollevare l'economia cinese potrebbero essere di gran lunga dispendiosi in termini di CO2, a causa dell'energia utilizzata per produrre acciaio, cemento, metalli non ferrosi, vetro ed altri materiali da costruzione di base. La domanda chiave è se gli impatti sono sufficientemente sostenuti oppure saranno compensati, o addirittura invertiti, dalla risposta del governo alla crisi per rilanciare l'economia cinese. Il fattore chiave che determinerà la dimensione di questo impatto sarà la velocità con la quale si tornerà alla "normalità".
Spero che il coronavirus insegni all’umanità che è importante conciliare l’ambiente, la salute e l’economia. E’ riprovato che l’ambiente inquinato, riducendo le capacità di difese dell’organismo, agevoli la diffusione del virus. Non si può più fare proroghe, la natura ci sta avvisando.
Grazie per l’articolo che approfondisce un tema attualissimo; avevo già visto le immagini della NASA e ne ero rimasto profondamente colpito; davvero dovremmo cogliere l’occasione (infausta) di questa pandemia per imprimere un cambio di rotta in materia di emissioni, inquinamento, sfruttamento sconsiderato delle risorse del pianeta. La storia ci ha mostrato come per l’uomo i momenti peggiori di crisi abbiano saputo tirare fuori il meglio, a volte anche inaspettato. Sarà così anche questa volta?
Saluti.
L’esperienza del COVID-19 ha insegnato all’uomo a vivere; la natura si è ribellata ad uno stato di cose che non poteva andare più avanti: un consumismo esasperato, un volere tanto e anche l’inutile, una globalizzazione accelerata al massimo. L’uomo ha fatto progredire l’economia senza tener conto della natura e quindi della propria salute; non siamo macchine e dobbiamo vivere in ambiente sano sia fisico che mentale. Se abbiamo un acquario, facciamo in modo che l’acqua abbia caratteristiche chimiche adeguate a quel tipo di pesci. Lo stesso vale anche per l’uomo. Non dimentichiamo poi che gli economisti e i politici dei paesi industrializzati hanno creato un divario tra paesi sviluppati (chiamiamoli così) e quelli sottosviluppati a causa di colonizzazioni portando quest’ultimi a situazioni catastrofiche. Spero che siamo giunti ad un bivio e che una delle strade sia un reset totale dove a guidare i popoli siano uomini veri e che le scelte future siano non solo ecologiche ma anche morali..
Il legame fra tasso di inquinamento, stato dei polmoni e incidenza del COVID-19, tenendo anche conto della densità di popolazione, è una ipotesi interessante di lavoro per chi cerca di capirci qualcosa di questa pandemia. L’incidenza di malattie polmonari è aumentata moltissimo negli ultimi 15 anni, e nessuno capisce il perché. E lo stesso vale per il tasso di mortalità della semplice influenza. Forse abbiamo stressato troppo l’ambiente in cui viviamo con le nostre porcherie, e tutto ciò ci si sta ritorcendo contro.
Qualcuno ci ha già provato ed è già pronto un preprint sull’argomento, “Exposure to air pollution and COVID-19 mortality in the United States” (https://projects.iq.harvard.edu/covid-pm).
Certamente da questo lato il virus ha provocato un dato positivo , la diminuzione dell’inquinamento dell’aria , mi ricordo quando diversi anni fa c’erano i periodi di fermo totale la domenica , dove non si poteva circolare per contrastare l’inquinamento atmosferico. Da questo dato si potrebbe determinare la differenza tra l’inquinamento industriale e l’inquinamento civile, dato importante per progettare sistemi di riduzione dell’inquinamento atmosferico per il futuro.
Sarebbe molto interessante e di sicuro sono stati fatti degli studi su questo argomento. Dubito che un solo giorno alla settimana di fermo avesse degli effetti marcati di riduzione dei liveli di inquinamento, però si può sempre verificare. Sempre ammesso che si trovino dei dati affidabili in proposito.
La relazione tra malattie alle vie respiratorie e maggiore mortalità da Covid-19, se ulteriormente provata da studi scientifici, dimostrerebbe ancora una volta che preservare l’ambiente in cui viviamo non serve a “salvare” la Terra (che se non si useranno armi nucleari è destinata a roteare nello spazio ancora per milioni di anni) ma le condizioni necessarie agli esseri umani per poter sopravvivere su questo pianeta. Per non fare la fine dei dinosauri, insomma.
Senza alcun dubbio. Che il tasso di inquinamento aumenti moltissimo l’incidenza delle malattie respiratorie è un fatto assodato, presentato in decine e decine di articoli scientifici. Sarebbe sorprendente se non succedesse lo stesso anche con il COVID-19, ciò che vale la pena stabilire è solo l’entità del fenomeno.
Prima dello scoppio di questa pandemia si parlava moltissimo del riscaldamento globale causato dall’inquinamento e di come questo avrebbe causato gravissimi danni alla vita sulla Terra entro i prossimi venti o trent’anni. Poi è arrivato il coronavirus e tutta l’attenzione si è spostata su quello.
In realtà i due argomenti sono strettamente correlati, preservare il pianeta su cui viviamo può servire non solo ad evitare di bollirci sopra ma anche a renderci meno soggetti all’attacco di un virus sconosciuto.