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Prima di entrare nel vivo dell’argomento, vale la pena di conoscere meglio l’uomo che si trova al centro di tutti i nostri discorsi, Gordon Moore. Nato nel 1929 a San Francisco, California, si è laureato in chimica nel 1950 all’università della California, Berkeley. Ha poi conseguito la laurea in fisica al California Institute of Technology, nel 1954. Nel 1957 è stato uno dei famosi “otto traditori” che abbandonarono il Semiconductor Laboratory di William Shockley, premio Nobel per l’invenzione del transistor. Nel settembre dello stesso anno raggiunsero un accordo con Sherman Fairchild, uomo d’affari ed inventore che fondò oltre 70 aziende, dando vita alla Fairchild Semiconductors. Sherman Fairchild era “figlio d’arte”, suo padre è uno dei fondatori di IBM. Fairchild Semiconductors in pochi anni divenne una delle maggiori industrie del suo settore oltre che incubatore di quella che sarebbe poi stata chiamata Silicon Valley. Più o meno direttamente, essa fu coinvolta nella creazione di dozzine di aziende tra cui AMD ed Intel. Restando a Gordon Moore, insieme a Robert Noyce, egli fondò nel luglio del 1968 quella che sarebbe poco dopo diventata Intel Corporation.
Moore rimase vicepresidente esecutivo fino al 1975 per poi diventare presidente. Egli non ha mai lasciato realmente Intel, essendo dal 1997 Charman Emeritus, carica onorifica che mantiene ancor oggi. Vive attualmente alle Hawaii, occupandosi con la moglie della fondazione Gordon and Betty Moore Foundation, attiva soprattutto nella conservazione dell’ambiente. Appassionato di pesca, il suo genoma è stato il primo al mondo descritto alla piattaforma di estrazione Personal Genome, partecipando all’inizio dell’era delle applicazioni genetiche disponibile al grande pubblico. Può sembrare curioso che Mr. Moore non fosse laureato in elettronica. Chimica e fisica sono però i mattoni fondamentali su cui la moderna tecnologia elettronica integrata è stata costruita, anche da Moore ed altri come lui. Nel 1965 la rivista Electronics chiese a Gordon Moore, all’epoca direttore della ricerca e sviluppo di Fairchild Semiconductor, di fare una previsione circa lo sviluppo dell’industria dei semiconduttori nei successivi 10 anni. La rivista stava preparando il numero celebrativo del 35º anniversario della propria fondazione. In un articolo pubblicato su tale rivista, appunto il 19 aprile 1965, Moore osservò che il numero di componenti in un circuito integrato era fino a quel momento approssimativamente raddoppiato ogni anno e commentò che tale tendenza sarebbe continuata per almeno i successivi 10 anni (vedi riferimento 1). Con il suo articolo Gordon Moore intendeva promuovere le possibilità ed il futuro dei circuiti integrati monolitici, recentemente introdotti (si ritiene che il primo chip fu creato nel 1959 da Jack Kilby in Texas Instruments, in risposta a una richiesta dell’U.S. Army).
Lo spirito dell’articolo emerge chiaramente dal frammento seguente, traduzione del primo paragrafo dell’articolo originale. Leggendo, il lettore tenga ben presente che queste parole sono state scritte nel 1965, sedici anni prima dell’introduzione sul mercato del Personal Computer IBM. “Il futuro dei circuiti integrati è il futuro dell’elettronica stessa. I vantaggi dell’integrazione porteranno ad una proliferazione dell’elettronica, spingendo questa scienza in molte nuove aree. I circuiti integrati porteranno a meraviglie come gli home computer, o almeno terminali connessi a computer centrali, controlli automatici per automobili e apparecchi di comunicazione personali portatili. L’orologio da polso elettronico ha solo bisogno di un display per essere realizzabile oggi.” Ora quel display è ampiamente disponibile e pervade le nostre case e le nostre vite, come tutti sappiamo. Fa tenerezza quel cenno di prudenza relativo alla previsione dell’arrivo degli home computer, visto con il senno di poi, quasi Moore stesso temesse di aver osato troppo. Malgrado il fatto che Moore non abbia mai usato il termine “legge” nel suo articolo, la “Legge di Moore” è diventata un’icona, un modello di business de-facto che guida il settore dei semiconduttori. Nel mondo tecnico scientifico si è soliti riferirsi ad una legge per descrivere una relazione tra grandezze con il supporto di una verifica sperimentale. La legge di Moore è invece sostanzialmente un’osservazione empirica, che descrive l’evoluzione esponenziale di un parametro tecnologico e, in ultima analisi, economico. La velocità di espansione descritta è diventata, nei fatti, un riferimento per i consigli di amministrazione delle maggiori società di semiconduttori nell’ultimo quarto di secolo. Dieci anni dopo, nel 1975, in una sessione del “IEEE International Electron Devices Meeting” Moore argomentò che la velocità di innovazione iniziasse a rallentare e riformulò la sua previsione, indicando un raddoppio del numero di componenti ogni 24 mesi anziché ogni 12.
A questo punto anche Moore parla di “legge” allineandosi all’uso ormai diventato comune. In realtà, la riformulazione è stata più sottile, passando dalla discussione relativa al numero di componenti di un circuito integrato dal costo ottimale, reale formulazione del suo articolo del 1965, ad una previsione più generica del numero di componenti integrati nei chip più complessi realizzabili. In questo modo una valutazione economica è stata trasformata in una misurazione della complessità tecnica raggiungibile. Varie versioni della legge di Moore sono circolate nel corso degli anni. All’iniziale calcolo di componenti si è affiancato e sostituito il numero di transistor componenti i microprocessori, oppure la velocità di calcolo dei computer, intesa come numero di istruzioni per secondo. Questa dispersione, unita alla mancata considerazione dei fattori economici ciclici, rende difficile la verifica sperimentale della legge di Moore. Come si vede nelle figure, in funzione del parametro considerato, il trend può apparire assai meno regolare di quanto previsto da Moore. Del resto, possiamo osservare che la legge di Moore non è mai stata priva di detrattori.
La sua formulazione non tiene assolutamente conto dei fattori economici legati all’investimento necessario a realizzare un’integrazione sempre più spinta. Moore dichiara poi esplicitamente di non vedere limiti nel miglioramento delle rese di produzione, considerandolo possibile semplicemente grazie all’applicazione della tecnologia esistente, visione decisamente semplificata della realtà. Un tasso di sviluppo così elevato lascia evidentemente presagire un inevitabile rallentamento, seguito da decadenza della validità della legge. Questo concetto del resto è la base della prima revisione effettuata nel 1975 da Moore stesso. Oggi che vediamo in produzione componenti composti da miliardi di transistor (Xeon Ivy Bridge, processore di fascia alta di Intel ha oltre 4 miliardi di transistor) i limiti fondamentali sono identificati non tanto dalla complessità della circuiteria integrata nei chip, quanto da fattori economici e fisici. Costruire una moderna fabbrica di chip a tecnologie sub-micrometriche costa cifre nell’ordine di qualche miliardo di dollari, comparabile con l’intero bilancio di un piccolo Stato. Evidentemente sono poche le aziende indipendenti in grado di investire cifre del genere. Un altro limite si trova nelle dimensioni fisiche delle strutture elementari (transistor) realizzabili. I processi di integrazione attuali sono sostanzialmente strutture planari, a due dimensioni, dove i componenti vengono realizzati uno di fianco all’altro e poi interconnessi da metallizzazioni. Le prossime generazioni di processi vedranno dimensioni elementari dell’ordine dei 10 nm. Uno strato elementare di silicio ha dimensioni di circa due decimi di nanometro.
Questo significa che ci apprestiamo a lavorare con 50 strati di cristallo di silicio, avvicinandoci notevolmente alle dimensioni dell’atomo di silicio. A livelli di miniaturizzazione inferiori i fenomeni di elettro-migrazione e la naturale variabilità del processo di fabbricazione, solo per citare due tra i principali effetti, sono tali da rischiare di compromettere rese di produzione e vita utile dei dispositivi. Infine, come già previsto da Moore nel suo articolo originale, l’estrazione del calore generato diventa un problema sempre più difficile da risolvere, malgrado la riduzione della tensione di alimentazione, sofisticate tecniche di progettazione volte a ridurre il consumo e la regolazione dinamica della tensione interna. Malgrado tutto questo, la più volte annunciata decadenza della legge di Moore è stata negli anni di volta in volta rinviata, grazie a evoluzioni tecnologiche applicate alle apparecchiature di produzione (fotolitografia anzitutto) e ad altre iniziative più strutturali di cui parleremo tra poco. Per quanto riguarda la rivista Electronics, essa interruppe definitivamente le pubblicazioni, dopo alterne vicende, nel 1995. Gordon Moore perse la sua copia della rivista Aprile ‘65 e molti pensano questa sia una delle ragioni per cui Intel offrì un premio di $ 10.000 per una copia originale della rivista nell’aprile del 2005. Prima di dare uno sguardo al dopo Moore, occupiamoci ancora un attimo dei festeggiamenti dell’anniversario, in casa dell’azienda che forse più di tutte nell’immaginario collettivo incarna la moderna microelettronica, Intel. Per ricordare i cinquant’anni della legge di Moore, Intel ha organizzato l’evento “Intel Future Showcase” con l’intento di celebrarne il passato, il presente e il futuro (vedi riferimento 2). Si tratta di una sorta di esposizione delle tecnologie più interessanti sviluppate ed in corso di sviluppo presso i propri laboratori, per dimostrare non solo i progressi già consolidati grazie alla finora inarrestabile marcia della miniaturizzazione dei chip, ma anche quanto ci attende nell’immediato futuro. Le applicazioni evidenziate sottolineano la semplificazione dell’utilizzazione delle apparecchiature tecniche, computer ma anche televisori, grazie ad una più sofisticata interfaccia uomo macchina, sempre più vicina all’uomo ed al suo modo di esprimersi.
A questo proposito, basta pensare alla tecnologia Intel® RealSense™ che sta portando il controllo gestuale negli ambienti di lavoro, con dispositivi come HP Sprout, un’interfaccia solo “touch” che può essere controllata direttamente con le vostre mani. Invece di usare un dispositivo come il mouse, frapposto tra voi e il vostro computer, Sprout è più intuitivo. Esso consente di controllare i contenuti (una volta chiamati “file”) e le attività semplicemente muovendo le mani, pizzicando, afferrando e persino sorridendo al vostro dispositivo. Questa tendenza si ripete in tantissime applicazioni tecnologiche presenti e future associando una maggiore capacità abbinata a una sempre minore visibilità. Ci si avvicina alla celebre citazione di Arthur Clarke, “non c’è fondamentalmente differenza esteriore tra la magia ed una tecnologia sufficientemente sofisticata”. La seconda tendenza di riferimento è la portabilità delle applicazioni elettroniche, con le loro capacità di memorizzazione ed elaborazione di dati e di supporto alla comunicazione. Già oggi tutta l’elettronica di un personal computer è integrabile delle dimensioni di una chiavetta USB appena più grande di quanto utilizzato come memoria (vedi riferimento 3). Massimo interprete di questa tendenza sarà lo smartwatch. Oggi questi computer agganciati al nostro polso si occupano sostanzialmente di monitoraggio del battito cardiaco e ci inviano notifiche di messaggi o comunicazioni ricevute. Intel sostiene che entro tre anni gli smartwatch diventeranno il nostro punto di accesso al mondo e saranno cervello ed interfaccia per l’Internet delle cose. L’utente diventa quindi il centro delle attività, ovunque egli si sposti, eliminando e superando la necessità di andare in un certo posto per fare una certa cosa (alla scrivania dove si trova il computer desktop per navigare o scrivere, nell’angolo di casa dove è installato il telefono per fare una telefonata e cosi via). Il tasso di sviluppo previsto dalla legge di Moore potrà essere mantenuto solo per ancora un decennio, secondo l’opinione oggi diffusa.
Già da tempo vediamo iniziative di vario genere per mantenere ed addirittura accelerare il rapporto di integrazione, in applicazione di un nuovo paradigma chiamato “More than Moore”. Possiamo riconoscere sostanzialmente tre tendenze in cui il nuovo paradigma si traduce in dispositivi di produzione. Forse, la più interessante, realizza funzioni non digitali e addirittura non elettroniche utilizzando processi di produzione tipici dei circuiti integrati. Troviamo in questa classe ad esempio i MEMS (Micro Electro Mechanical Systems), strutture meccaniche ed elettroniche integrate tra loro e miniaturizzate su un chip a realizzare sensori e/o attuatori (vedi riferimento 4). La seconda tendenza storicamente definita consiste nella combinazione di più chip prodotti indipendentemente e connessi tra loro all’interno di uno stesso contenitore del circuito integrato. Si parla di “System in Package” (o SiP) per indicare ad esempio un microprocessore completato dalle sue memorie di lavoro, montati interconnessi uno sopra l’altro a formare un sottile sandwich nello stesso contenitore plastico. Realizzazioni del genere sono tipiche della telefonia cellulare e delle moderne memorie ad alta capacità. La tecnologia emergente più complessa è però quella che vede accanto alla diffusione planare la realizzazione di componenti sviluppati anche in altezza: è il passaggio da 2D a 3D. È questo il caso delle tecnologie digitali in corso di introduzione basate su nuovi transistor FinFET (vedi riferimento 5). La combinazione di vecchie e nuove tecnologie è destinata a dare un nuovo impulso alla miniaturizzazione, a supporto di tutte le applicazioni che abbiamo ricordato, ed in ultima analisi a continuare la spinta propulsiva della legge di Moore.
In conclusione, sia che si consideri la legge di Moore come il “motore principale” del processo di integrazione, o più semplicemente una legge empirica che descrive processi industriali e socio-economici ben più complessi, o una imprecisa ma suggestiva rappresentazione della realtà, essa testimonia qualcosa di finora unico nella storia dell’umanità. Se facciamo un rapporto tra i 4 miliardi di transistor del processore Xeon e di 50 componenti dei circuiti integrati dei tempi in cui Moore enunciò la sua prima legge, siamo in presenza di un fattore di sviluppo pari ad 80 milioni, tasso assolutamente unico e finora mai eguagliato in alcun settore dell’attività umana. Certamente il considerare il numero di componenti elementari anziché l’oggetto monolitico che viene effettivamente venduto può creare perplessità ed apparire discutibile. Ogni perplessità, però, cade considerando che ognuno dei componenti elementari è in pratica oggetto di attività di progettazione, produzione, collaudo, garanzia di qualità. Il fatto che buona parte di queste attività siano oggi automatizzate sposta di poco il discorso. Le procedure automatizzate possono, infatti, essere considerate in questo ambiente come lavoro umano precedentemente eseguito e cristallizzato in un programma di calcolatore.
Nota: tutti i marchi citati appartengono ai legittimi proprietari.
Articolo della rivista cartacea Firmware (Anno 2015 - Numero 113)