Nel blog di Elettronica Open Source vi è grande visibilità a quella che in gergo viene definita come la quarta rivoluzione industriale, ovvero la digitalizzazione e interconnessione dei dispositivi nel mondo reale. Leggendo di plotoni di camion autoguidanti, agricoltura smart, e industria 4.0, dopo lo stupore iniziale e il fascino naturale per queste innovazioni, nasce spontanea la domanda su quali risvolti tutto ciò possa avere in termini di occupazione e reddito dei lavoratori.
Il dibattito è aperto e anche tra gli esperti del settore le opinioni sull'argomento sono discordanti. Ad esempio il sociologo del lavoro prof. Domenico De Masi più volte ha sottolineato le sue idee sull'automazione spinta e la necessità nel prossimo futuro di un cambio di paradigma del modello del lavoro il cui obiettivo sarà lavorare meno per lavorare tutti. Il fondatore di Microsoft Bill Gates, nel corso di un’intervista, aveva ipotizzato la necessità di istituire nuove tassazioni sulla robotizzazione per poter sostenere i costi sociali della riduzione occupazionale. Dal lato opposto della barricata, studi come quello del Boston Consulting Group cambiano prospettiva sull'argomento prevedendo le perdite ampiamente compensate dalle nuove opportunità in ambito IT.
Ben lontani dal trovare una risposta risolutiva a questo dilemma, è possibile però individuare una tendenza: i lavori che più rischieranno di andare perduti saranno quelli ripetitivi e che richiedono scarse competenze. Già oggi nella nostra quotidianità possiamo imbatterci in esempi lampanti di tutto ciò, come le casse automatiche dei supermercati, o i distributori di carburante senza più personale.
Il livello di istruzione sembra essere una determinante chiave per ridurre il rischio di perdere il lavoro a causa dell’automazione. Nel prossimo futuro quindi, sarà importante capire come la propria professionalità possa trovare un'opportunità all'interno del mondo IIoT piuttosto che un pericolo. Ad esempio se restringiamo lo sguardo al nostro paese, in Italia il mercato delle app ha creato 97500 nuovi posti di lavoro (dati Progressive Policy Institute). Numeri di una certa entità, ma non cosi entusiasmanti se si pensa che in UK i posti creati da questa economia sono stati più di 300 mila. Un dato che sicuramente risente di un problema annoso del nostro paese, ovvero lo scarso investimento in formazione e innovazione.
Le ipotesi per superare indenni questa rivoluzione sono molte: chi avanza l’ipotesi di tassare i robot, chi punta sul salario minimo e chi propone un reddito universale. Ma forse le strade migliori sono altre: investimenti in innovazione e industria 4.0 da un lato, istruzione e formazione continua dall’altro.
Voi che ne pensate?
Di sicuro ci saranno enormi cambiamenti nella nostra società. Purtroppo in Italia la maggior parte rema contro e questo non migliorerà l’occupazione.
Fondamentale sarà l’istruzione ed è per questo che credo che tutto il nostro apparato scolastico debba subire modifiche.
Tassare i robot credo sia la cosa peggiore da fare, sarebbe la rovina definitiva. Dipende da come verrebbe applicata ma già le grandi industrie se ne vanno dal nostro paese, immaginate poi.
Le altre opzioni non bisogna neanche considerarle, sempre secondo la mia opinione.
In questi tempi di transizione e piena diffusione dell’ “industria 4.0”, credo che l’istruzione sia la cosa su cui puntare.
secondo me l’opzione di ridurre le ore lavorative non sarebbe da tralasciare. In Italia si lavora (mediamente) 40 ore settimanali, mentre in altre nazioni tipo il Belgio si lavora 35 ore con stipendi superiori. Credo che potremmo migliorare sotto molti aspetti.
In relazione alla mia modesta esperienza più ventennale nel campo dell’automazione nell’industria dei semiconduttori, faccio delle riflessioni. L’automazione si sviluppa ad una velocità maggiore rispetto a quella del turnover del personale operativo che ha un background scolastico in grado di stargli dietro. La vita lavorativa degli “anziani” cresce sempre di più e anche investendo in formazione non si riuscirà mai ad occuparli tutti perchè il rapporto unità uomo unità macchina diminuisce sempre di più, Nel senso che per il funzionamento di una catena automatizzata, laddove adesso sono necessarie 10 persone tra operatori e manutentori, potrebbe essercene bisogno solo di qualcuno. Anche volendo formare ad un livello di supporto ingegneristico, ad esempio, quel tipo di esuberi, si rischia sempre di creare figure fittizie a fianco degli specialisti e ricercatori che hanno già formazioni universitarie e che sono già in grado di adempiere alle loro mansioni da soli. Quindi andrebbe a finire che il peso sui bilanci porterebbe le aziende a cercare di snellire un organico che ha ancora un bel pezzo di cammino lavorativo da fare ponendoli di fronte alla difficoltà di cercare opportunità in un limbo nel quale la recessione della propria condizione sociale è inevitabile. Quindi, come se esce?
Gentile Raimondo, pone una questione per la quale vale la pena usare il termine epocale. Io non sono un sociologo del lavoro, ma ribadisco un concetto che condivido appartenente al prof. De Masi; “Lavorare meno, lavorare tutti”. Se non proprio tutti, almeno molti.
Considerazioni più che giuste che probabilmente si avereranno.
Non saprei come uscirne. Il signor Gaparra ha citato un’idea che ho già sentito in altre occasioni e che potrebbe il primo step per una soluzione.
Scherzosamente parlando potrei dirti che, di sicuro, avremmo bisogno di persone per la colonizzazione dell’universo.
Il concetto del Professor De Masi potrebbe essere una delle strade percorribili, ma come la pensano le imprese che dovrebbero aumentare il salario orario alla singola unità? Siamo sicuri che vogliano redistribuire al personale l’aumento degli utili conseguente all’aumento di produttività o preferiscono aumentare i dividendi agli azionisti, specie quelle quotate in borsa? Questo è un tema politico e la sua soluzione dipende, a mio avviso, da come la politica intende gestire l’influenza della finanza su se stessa. Ma c’è da rifletterci, perchè cominciano a profilarsi scenari sociali inquietanti.
Condivido l’inquietudine. Il punto è quello, avere una classe politica lungimirante.
L’avvento del big data per esempio collegato con l’IIoT portera’ a nuove figure professionali di analisti: ottimizzare i dati per produrre meglio!
Già, ma vedo abbastanza ambizioso formare un operaio cinquantenne, presumibilmente in possesso di un semplice diploma tecnico conseguito trent’anni prima, ad un livello tale da competere con un neolaureato in informatica. Ci sarà da pensare molto allo sviluppo di questi modelli di riqualificazione. Non mi sembra un percorso facile e adatto a tutti.
http://www.factory4now.it/11_IT/INTERVISTA-A-I-ASIMOV-TRE-LEGGI-ED-UNA-TASSA.html
😀