Le criptovalute, ormai in circolazione da dieci anni, stanno entrando nella nostra quotidianità; per questo motivo è necessario pensare se queste tecnologie finanziarie che, essendo immateriali, sembrano "green", siano davvero così sostenibili. L'azienda Tesla ha deciso che non accetterà più pagamenti in Bitcoin, perché continuare ad utilizzare monete digitali sembrerebbe avere, in realtà, un grosso costo ambientale. In questo articolo cerchiamo di comprendere se davvero le criptovalute possono essere un problema per l'ambiente e quali sono le alternative. Alcuni economisti, come Alex de Vries, pensano che esistano problemi strutturali che non possono essere risolti. Ma gli investitori Millennials sono preoccupati e chiedono di lavorare ad un accordo per il clima per mitigare l'impatto delle monete digitali sull'ambiente e renderle così più sostenibili.
Criptovalute, Bitcoin e Blockchain
La maggior parte delle persone, pur avendo sentito parlare di criptovalute e blockchain, ha ancora difficoltà a capire come funzionano queste tecnologie. Di cosa stiamo parlando esattamente? Una criptovaluta è una risorsa finanziaria digitale decentralizzata; per questo motivo, non essendo centralizzate, le loro fluttuazioni in borsa sono più drastiche rispetto ai tradizionali prodotti economici. La più nota di queste monete digitali è il Bitcoin, le cui transazioni vengono registrate sulla blockchain, una specie di registro digitale in cui le voci sono concatenate in ordine cronologico, che rappresenta il "libro mastro" in cui vengono registrate le operazioni. Questo registro digitale è condiviso tra gli utenti, che possono quindi visualizzare le transazioni, ma gli scambi di valuta sono criptati, e quindi sicuri. Le monete virtuali possono essere utilizzate come forma di pagamento per acquisti online, essere scambiate con valute reali oppure essere trattate come un prodotto di investimento, quindi conservate e scambiate quando il mercato è più favorevole (potete vedere alcune quotazioni in Figura 1).
Al contrario di quello che succede per le carte di credito, questa tecnologia non ha commissioni e può essere utilizzata anche da chi non possiede un conto bancario, in quanto per ricevere pagamenti basta scansionare un QR-code. Bisogna comunque fare attenzione nella trasmissione del codice; eventuali errori non consentono modifiche e possono causare perdite di denaro. Le transazioni sono inoltre anonime, perciò tutelano la privacy. Ci sono quindi notevoli vantaggi nel loro utilizzo. Ma una moneta virtuale non nasce dal nulla; ha bisogno di essere creata tramite una tecnica chiamata mining.
Mining Farm: come funzionano
Abbiamo detto che la blockchain rappresenta il libro mastro delle valute digitali; perché tutte le transazioni vengano controllate, i nodi, che rappresentano decine di migliaia di computer, si collegano per supervisionare il funzionamento della catena digitale. Devono quindi dare il via libera alla transazione, verificando che sia autentica, e vengono "pagati" per questo lavoro di controllo proprio in criptovaluta. Attualmente, ogni operazione "costa" 6,5 Bitcoin, ad esempio; ma il costo dell'operazione cambia ogni quattro anni. Tuttavia, non tutti i computer che si collegano approvano la transazione, ma soltanto il primo che riesce a risolvere un complicato algoritmo. Si genera quindi una "gara", detta proof of work, in cui migliaia di computer competono per trovare la soluzione; questo fa si che i partecipanti cerchino di avere computer sempre più potenti, in maniera da avere maggiori possibilità di ricevere Bitcoin. Se inizialmente, quindi, bastavano i normali computer per minare criptovalute, oggi è necessario avere centinaia o addirittura migliaia di macchine specializzate per aumentare la probabilità di vittoria; siamo così passati alle "mining farm", di cui potete vedere un esempio in Figura 2.
Attualmente, il 60% delle società che estraggono valute virtuali si trovano in Cina. E questo è uno dei problemi, in quanto le energie rinnovabili impiegate in queste operazioni arrivano a circa il 40% del totale.
Le criptovalute sono insostenibili?
Siamo al punto caldo; le critiche principali che vengono mosse a queste tecnologie sono dovute alle enormi emissioni di anidride carbonica delle mining farm, che devono risolvere complesse operazioni matematiche per validare le transazioni. Le macchine, lavorando in competizione per la stessa transazione, si azionano quindi simultaneamente; questo vuol dire che si consumano quantità elevatissime di elettricità che, ovviamente produce gas serra. La digitalizzazione ha molti vantaggi che renderebbero queste valute più green delle tradizionali; non si utilizzano infatti plastica per carte di credito, o carta, inchiostro e metallo per la valuta cartacea, né tantomeno carburante per il trasporto.
Le criptovalute sono quindi sostenibili o no? Dipende. Alcune valute sono più sostenibili di altre, anche solo per il minore numero di transazioni che vengono effettuate con quella moneta. Ci sono quindi più fattori da considerare, come il numero di transazioni, gli algoritmi e i sistemi utilizzati. Non tutte le criptomonete utilizzano il metodo proof of work; alcune si basano su tecnologie proof of storage, che invece di riservare capacità di calcolo riserva spazio di archiviazione, oppure block lattice, un'infrastruttura simile ad una catena di blocchi in cui ogni utente è proprietario della sua catena e quindi l'intera rete non viene aggiornata contemporaneamente. Questi metodi sono molto più ecologici rispetto al proof of work. Se teniamo conto di queste differenze possiamo stilare una classifica che ci dà un'idea delle monete digitali più sostenibili. A basso consumo, con meno di 1 TWh necessario per l'estrazione, ci sono Bitcoin SV, Dash e Zcash; seguono Monero e Dogecoin. Ethereum consuma intorno ai 44 TWh, ma la moneta peggiore è proprio il Bitcoin, con 114 TWh. [...]
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