La Misura della Forza in Elettronica – Puntata 3

misura della forza in elettronica

Puntata 3 della serie "La Misura della Forza in Elettronica" per la Rubrica Firmware Reload di Elettronica Open Source. 

UTILIZZO DEL SENSORE FSR400

L’utilizzo del sensore è molto semplice: banalmente, basta inserirlo in un partitore di tensione come mostrato nelle figure precedenti e fare una serie di misure di forza note per trovare la curva Forza/Tensione, modellando quest’ultima come una retta. Tuttavia, dalle considerazioni fatte sull’area di contatto del sensore e sull’andamento della curva Forza/Tensione al variare della seconda resistenza del partitore, si possono facilmente applicare un paio di accorgimenti in modo da migliorare le prestazioni del sensore e la precisione nelle misure di quest’ultimo. Per quanto riguarda l’area di contatto, innanzitutto, è consigliabile montare sulla parte superiore (in contatto con un corpo estraneo) e sulla parte inferiore del sensore (in contatto con il telaio) uno strato di materiale cedevole, ad esempio due dischetti di silicone, in modo tale da distribuire la forza presente sul sensore in modo più uniforme su tutta la superficie di quest’ultimo. Per il calcolo della resistenza da utilizzare nel partitore di tensione, la scelta migliore ricade sul valore che permette di allargare la risoluzione del sensore attorno all’intervallo di forze più opportuno per l’applicazione desiderata.

Data, infatti, la non linearità nel comportamento del sensore, diventa utile centrare quanto più possibile la curva Forza/Tensione attorno a valori tipici di forza per l’applicazione desiderata, operativamente se si pensa di lavorare con forze da 100 a 200 grammi (da 0,98 a 1,96 Newton) per centrare la curva bisognerà mettere nel partitore una resistenza pari al valore a vuoto della resistenza del sensore quando su quest’ultimo è presente una forza di 150 grammi. In questo modo, se ad esempio il partitore è alimentato con una tensione di 5 V nel caso in cui sul sensore è presente una forza di 150 grammi in uscita si avrà una tensione di 2,5 V, ovvero si sarà centrata la tensione d’uscita sul valore medio delle forze considerate. Sistemati i sensori dal punto di vista meccanico e dal punto di vista elettrico, bisogna calcolare i coefficienti che meglio descrivono la curva Forza/Tensione dei medesimi. Utilizzando una curva del secondo ordine del tipo: ax2+bx+c=y, ovvero una parabola, dove con x si indicano i valori di forza e con y le tensioni lette, per il calcolo dei tre coefficienti basterebbero tre misure diverse, tante quante le incognite nell’equazione. Tuttavia, acquisendo un maggior numero di campioni si può scrivere un sistema di equazioni con più equazioni che incognite che, con l’aiuto di un programma di calcolo come Matlab o Scilab, verrebbe poi risolto ai minimi quadrati, interpolando numericamente i valori letti nelle varie misure.

A tal proposito, in questa sede vedremo un semplice listato per l’interpolazione della curva di “fitting” delle misure acquisite (ovvero i parametri della parabola) da usarsi in Scilab. SCILAB è un programma di computazione numerica, è liberamente basato sul linguaggio di programmazione C, ed è molto simile nelle sue funzionalità al ben più noto MATLAB, il programma è totalmente gratuito ed è possibile scaricarlo direttamente dal rispettivo sito (http://www.scilab.org/). All’apertura, il programma dà subito accesso alla console, in cui l’utente può facilmente scrivere i comandi da dare al calcolatore. Il programma viene installato con le librerie base che contengono i comandi e le funzioni matematiche più comuni, nel caso in cui una determinata funzione non fosse presente nelle librerie, l’utente può includere altre librerie o creare la funzione desiderata scrivendo, passo dopo passo, l’algoritmo della funzione. Nel nostro caso useremo la funzione Polyfit, la quale purtroppo non è presente nelle librerie standard e che quindi dovremo creare. Selezionando dal menu applicazioni “Sci- Notes”, si aprirà un editor di testo nel quale scriveremo le istruzioni che compongono la nostra funzione; per quanto riguarda queste ultime ho leggermente modificato un listato trovato in rete:

function p = polyfit(x,y,n)
m = lenght(x)
if lenght(y) <> m error(‘x and y must have
same lenght’), end
v = ones(m,n+1)
for i=2:n+1, v(:,i) = x.^v(:,i-1),end
p = (v/y)’
end

Trascurando i dettagli dell’algoritmo, ci soffermeremo invece sulle caratteristiche comuni a tutte le funzioni, ovvero la prima e l’ultima riga, le quali delimitano l’inizio e la fine di ogni funzione. Nella prima riga è contenuto il nome della funzione (polyfit), è buona norma dare lo stesso nome al file ed alla funzione, che sarà quindi il nome da richiamare poi dalla console. Inoltre, sempre nella prima riga, vengono definiti gli argomenti della funzione (x,y,n), nonché i valori d’uscita di quest’ultima (p). Adesso, una volta scritta la funzione, basterà salvarla nella directory di lavoro, per poi poterla comodamente richiamare dalla console o all’interno di un’altra funzione. Ritornando agli argomenti di polyfit, questi sono tre, (x,y) che rappresentano le coordinate dei punti che si vuole interpolare ed (n) che rappresenta il grado del polinomio d’interpolazione desiderato. Le curve di fitting, infatti, vengono restituite in forma di polinomi di grado n scelto dall’utente, così se n=1 la funzione restituirà i coefficienti (a e b) della retta, passante in prossimità dei punti dati, se n = 2 si avranno i coefficienti della parabola, se n=3 della cubica e così via. Maggiore è il valore di n, maggiore sarà il grado di accuratezza della curva di fitting. Nel nostro caso n sarà 2, mentre il vettore delle x conterrà tutti i valori delle forze applicate al sensore e y quelli di tensione lette. Se si utilizza un normale ADC dentro un microcontrollore si possono utilizzare come elementi delle y direttamente i valori in uscita dall’ADC stesso, ottenendo in questo modo la curva Forza/Tick. Ricapitolando, per il calcolo della curva caratteristica del sensore (Forza/Tensione, Forza/Tick), una volta montati su quest’ultimo due strati di materiale “soffice” (ad es. due dischetti di silicone), bisognerà acquisire le letture di alcune forze note (piccoli pesi campione) ed interpolare poi queste misure con un programma di calcolo, utilizzando una curva del secondo ordine. Trovata la curva, il sensore è pronto ad essere usato correttamente; ad ogni lettura il valore della forza agente sul sensore sarà semplicemente espresso dalla soluzione dell’equazione di secondo grado ax2+bx+c- y=0 dove le x, ovvero le forze, sono le incognite, mentre le y sono i valori di tensione/tick letti. Un'ultima considerazione va fatta, però, sull’isteresi meccanica dei materiali che compongono il sensore. Infatti, essendo per natura un sensore deformabile è piuttosto probabile che dopo un numero elevato di utilizzi i materiali che lo compongono presentino un pò di isteresi meccanica, ovvero restino un pò deformati e che questa deformazione si ripercuota negativamente sulla curva di caratterizzazione precedentemente stimata. In questo caso, l’ideale sarebbe rifare la caratterizzazione, ma non è sempre possibile (si pensi ad un sensore montato in posti non facilmente raggiungibili). Un piccolo accorgimento per ovviare a questo problema è quello di modificare il valore del parametro c, ovvero il termine noto della parabola, in modo tale da resettare la distanza dall’asse delle ascisse di quest’ultima. Infatti, avendo considerato nell’equazione della parabola le forze come x e le letture come y, in assenza di forza si ottiene c=y; tuttavia, se il sensore si è deformato, la curva di caratterizzazione è cambiata e in assenza di forze il valore della y letta sarà diversa da c, quindi la soluzione dell’equazione di secondo grado restituirà valori di x diversi da zero, la risultante delle forze di deformazione.

Cella di carico

Figura 1: Cella di carico ad alta capacità per uso industriale

Rifare la caratterizzazione è la soluzione migliore, in quanto si modificano i tre coefficienti dalle parabola. Tuttavia, il coefficiente “a” è legato alla concavità/convessità di quest’ultima, mentre il coefficiente “b” insieme ad “a” identifica l’asse di simmetria, ipotizzando che gli effetti della deformazione siano trascurabili su queste caratteristiche, l’unico coefficiente a variare sarà “c” che restituisce una misura della distanza tra il vertice della parabola e l’asse delle ascisse. Quindi, la soluzione più semplice per ovviare agli effetti delle deformazioni sul sensore è quella di modificare il coefficiente “c” ad ogni avvio dell’applicazione. Ovvero, ad ogni avvio dell’applicazione in cui viene usato il sensore effettuare una lettura a vuoto (in assenza di forze sul sensore) e riassegnare al coefficiente “c” il valore di quest’ultima lettura. In questa serie di articoli, abbiamo brevissimamente introdotto i sensori di forza comunemente usati, per poi soffermarci su un tipo particolare di estensimetro che per la sue caratteristiche di robustezza meccanica, economicità e facilità d’utilizzo può diventare una valida risorsa in tutte quelle applicazioni (già esistenti o ancora confinate nelle menti dei loro creatori) dove la misura della forza tra due o più corpi è fondamentale o semplicemente un valore aggiunto.

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